Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Stalin innamorato pazzo

Stalin innamorato pazzo

di Marcello Sorgi - 08/05/2007

 
Josef Stalin
Prima di diventare lo spietato tiranno il giovane Josef visse una travolgente storia d’amore
 
Stalin innamorato. Pazzo d'amore, a poco più di vent'anni, per una giovane sartina. Stalin poeta, rammollito dai suoi sentimenti, che abbozza versi mielosi. E poi cantante, corteggiatore, animatore di serate goduriose. E ancora clandestino, fuggiasco, combattente. Piccolo, brutto, butterato, ma affascinante come solo un rivoluzionario che è anche un bandito può esserlo. Se non fosse il frutto delle ultime ricerche di Simon Sebag Montefiore, tra i più autorevoli biografi di Josef Djugasvili (Young Stalin, edito da Weidenfeld & Nicolson, in libreria da pochi giorni), sembrerebbe incredibile. Invece è tutto vero e in qualche modo coerente col carattere feroce del personaggio. Ribelle, già in seminario: bestia nera dei preti istitutori, maestri solo «nello spionaggio, nella tirannia, nella violazione dei sentimenti e della vita privata».

E nel 1905, a soli 27 anni, capo di una banda di georgiani dedita a rapine, ricercatissimo, inafferrabile. Josef approda a Tiflis, l'odierna Tblisi, in cerca di un rifugio, e si rivolge all'amico Alyosha Svanidze. Alyosha decide di nasconderlo nella sartoria delle sue tre sorelle, Alexandra, detta Sashiko, l'unica sposata, Maria (Mariko) ed Ekaterina (Kato), la più giovane, non ancora ventenne.

Come abbia fatto colpo Josef sulla ragazza, è difficile dirlo. Djugasvili, Soso per gli amici, è basso, tarchiato e ha un braccio malmesso, tanto che si lamenta di non poter ballare perché non può «cingere le donne per la vita». Ha il volto butterato e non ha ancora le guardie del corpo che si preoccupino di incipriarlo. È trascurato, malvestito, stazzonato. In più, all'Atelier Hervieu (questo il nome francesizzante della sartoria) deve tenersi appartato, perché le tre sartine cuciono anche uniformi per la polizia.

Sedici mesi: tanto, o così poco, durerà la storia tra Soso e Kato, dal giorno in cui, non si sa se per corteggiarla, proverà a vestirsi un po' meglio, una camicia rosa sotto un vestito grigio, o a volte, esotico, la classica tunica georgiana, o un mantello scapolare gettato sulle spalle. Che lei sia presa dal fascino del bandito più che dall'aspetto fisico, se ne accorgerà il marito di Sashiko, Mikheil Monoselidze. Ma che anche lui cominci a sciogliere il suo cuore di pietra, a un certo punto si vede. È quando, uscendo sfinito da una riunione di rivoluzionari latitanti, che - incosciente - ha tenuto in una stanza dell'atelier, dopo un paio di bicchieri è pronto a intrattenere l'intera famiglia Svanidze con novelle, poesie e struggenti canzoni georgiane. È brusco, parte e si ferma senza preavviso, ride e s'incupisce senza ragione. Ma quello strano misto di calorosità georgiana e freddezza nordica, quella pelle scura, olivastra, quegli occhi infuocati, che potevano diventare mielosi e poi ingiallire di odio, a Kato faranno perdere definitivamente la testa.

C'è una svolta drammatica alla fine del 1905 che mette in difficoltà lo zar Nicola II. Seguono disordini e dura repressione. Stalin intanto, dalla Svezia, dov'è andato a partecipare al congresso bolscevico, tornerà irriconoscibile: col cappello, la pipa, un abito su misura. «Non lo avevo mai visto vestito così bene», confesserà Kato, trasognata, a Sashiko.

Si sposano in chiesa, mentre Stalin scherza, senza nessun rispetto per la messa come ai tempi del seminario, il 15 luglio del 2006. Come tanti mariti, lui, ora che ha l'anello al dito, getta la maschera: alterna tenerezza e irascibilità; arriva, come racconta l'amico di famiglia Ketevan Gelovani, «a bruciare le mani di Kato con una sigaretta durante una sfuriata». È sempre ubriaco, predilige la compagnia dei suoi amici rivoluzionari, con i quali, secondo altre testimonianze, spesso ha condiviso «una vita sessuale disordinata», violenze, donne di strada, forse pure figli illegittimi abbandonati al loro destino.

Ma quando Kato, incinta di quattro mesi, viene arrestata dai militari che erano andati a cercarlo dopo una soffiata, Stalin impazzisce. Vuole subito trasferirsi, da Tiflis a Baku. Aspetterà la nascita del figlio Yacov, metterà a segno, il 13 giugno 1906, con una banda composta anche di donne, una maxi-rapina a due corriere portavalori. Poi andrà a Baku, incurante delle difficoltà a cui va incontro la famiglia e Kato in particolare.

Una grotta come casa, caldo e freddo impossibili da sopportare, la debilitazione di una madre che allatta, aggravata da cibo pessimo e fatiche indicibili. Un marito che non c'è mai. Una febbriciattola trascurata, che di giorno in giorno si fa più insistente. Quando, a ottobre, su insistenza degli Svanidze, Stalin si rassegna a riportare a Tiflis moglie e figlio, Kato è grave. Sopporta male il viaggio. Un sorso d'acqua, bevuto in una stazione di passaggio, una dissenteria che presto rivela il tifo, una serie di emorragie inarrestabili: Soso farà appena in tempo a rientrare a Baku, per subito tornare indietro. E Kato morirà tra le sue braccia.

Il dolore di Stalin per la perdita della moglie è fortissimo. Rimorsi, rabbia, sfoghi con i compagni «che dovettero togliergli la pistola nel timore che si ammazzasse». Lui che negli ultimi tempi si chiedeva «se il matrimonio potesse essere compatibile con i doveri di un rivoluzionario», lui che sgridava Kato ammalata, se restava alzata ad aspettarlo, la veglierà morta una notte intera con una mano sul cuore, mentre pian piano si raffredda. Il giorno dopo, nella chiesa in cui si erano sposati si svolge il funerale, ma lui già scappa, abbandonando il figlio ai nonni e presto, senza una vera ragione, scatenando anche contro di loro il terrore. Tolta Sashiko, morta di cancro, tutti gli Svanidze di lì a poco saranno arrestati e messi sotto accusa. Stalin se ne farà un vanto. Quando andavano a implorarlo le vedove di altri scomparsi, se ne usciva così: «Cosa volete da me, anche la mia famiglia è agli arresti!».