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«Passaggio a Occidente»

di Roberto Esposito - 08/05/2007


Globalizzazione e glocalizzazione, identità e differenza. Capire l’oggi con Marramao


Per sapere cosa è l’oggi bisogna fissare un punto apparentemente lontano nel tempo e nello spazio

Nel suo lucido intervento compreso nel volume Figure del conflitto, Ida Dominjanni lega il grande rilievo della riflessione di Giacomo Marramao all’interno della discussione filosofica contemporanea alla sua piena appartenenza a quell’ontologia dell’attualità a suo tempo teorizzata da Michel Foucault. Rapportarsi all’attualità significava già per Foucault considerare la modernità non più come un’epoca tra le altre, ma come l’attitudine, la volontà, di assegnarsi il proprio presente come compito. C’è qualcosa in questa opzione - di Foucault come di Marramao - una tensione, un impulso che va anche aldilà della definizione hegeliana della filosofia come il proprio tempo appreso nel pensiero, perché fa del pensiero la leva che sottrae il presente alla continuità lineare del tempo, sospendendolo alla decisone su ciò che siamo e su ciò che possiamo essere.
Ma l’elemento più caratterizzante della ricerca di Marramao non è solo questa domanda di fondo sull’attualità, quanto la prospettiva apparentemente inattuale - nel senso che Nietzsche ha dato a quest’espressione - attraverso cui egli cerca di darle risposta. Per sapere cosa è l’oggi - e anche dove situarsi rispetto ai conflitti che lo solcano - bisogna fissare un punto apparentemente lontano, nel tempo e nello spazio, anche se in realtà, guardato da una prospettiva sagittale, coincidente con esso.
È quello che fin dall’inizio degli anni Ottanta Marramao ha inteso richiamare con la categoria di secolarizzazione all’interno di una riflessione sicuramente all’altezza di quelle messe in campo prima da Loewith e poi da Blumenberg - naturalmente in dialogo critico con la teologia politica di Schmitt.
L’elemento centrale di tale riflessione, che distingue radicalmente tra secolarizzazione e laicizzazione, sta non tanto nella trasformazione lessicale, quanto nel nucleo di permanenza del sacro all’interno della desacralizzazione - nel continuo affiorare dell’arcaico nell’attuale. Tale dialettica è al centro anche dell’ultimo libro, Passaggio a Occidente, come il ripiegamento localistico non solo compresente, ma prodotto delle stesse dinamiche globali. In questo senso si può dire che - ed è il tratto più innovativo dell’ermeneutica di Marramao - tra teologia e politica, così come tra globale e locale, si determina insieme la massima divergenza e la massima convergenza. Del resto, come hanno sostenuto in modo differente Gauchet, Nancy e Vattimo, ad avviare la secolarizzazione è stato lo stesso cristianesimo attraverso un’opera di continua autodecostruzione.
L’altro vettore teoretico dell’opera di Marramao - evidente in Passaggio a Occidente, ma già operante in Dopo il Leviatano e forse ancora prima - sta nella relazione costitutiva tra la trasformazione del politico e il mutamento del rapporto tra interno ed esterno, dove interno ed esterno vanno intesi e in senso spaziale e in senso temporale. La globalizzazione - sia nella semantica del globus sia in quella del mundus - è definibile come la scomparsa dell’esterno, del fuori, in uno spazio liscio che tende ad interiorizzare ogni difformità. Ma ciò - tale movimento - può essere interpretato anche in direzione contraria, vale a dire come l’occupazione, da parte dell’esterno, di ogni interno, come l’esteriorizzarsi di ogni dentro.
Direi anzi che il punto di vista più radicale, nell’ottica sinottica adottata da Marramao, si situi proprio nel punto di giuntura e di frizione tra queste due prospettive contrapposte - nella sovrapposizione antinomica tra interiorizzazione ed esteriorizzazione: come un fuori che si fa dentro e insieme, nello stesso tempo e nello stesso spazio, un dentro che si fa fuori. Quello che ci si potrebbe chiedere - ma non vorrei spingere la riflessione di Marramao in una direzione che non le appartiene - quale sia la natura, la sostanza, la materia, di questo «fuori» che invade il dentro scompaginando le categorie politiche classiche nel tempo della fine del Leviatano.
Marramao giustamente sostiene che il conflitto attuale non riguarda solo o tanto gli interessi, quanto soprattutto i valori identitari dei soggetti. Ma chi sono questi soggetti? I soggetti formali dotati di volontà e ragione, le persone titolari di diritti inalienabili, gli atomi logici dell’autorappresentazione moderna? Oppure anche e soprattutto corpi viventi? Ma se è così, basta operare sulla relazione, ancora classica, hegeliana, tra identità e differenza, tra individuale e universale, o non bisogna porre in campo anche un altro lessico che ha a che fare con l’impersonalità della vita biologica? Sono dubbi, domande, che un pensiero rigoroso ed audace come quello di Marramao è in grado di stimolare.