Andate a lezione di tango e scoprirete che noi donne siamo scomparse
di Marina Terragni - 08/05/2007
A
NORESSIA, INSEMINAZIONE ARTIFICIALE, SINGLE SFINITE, PERVERSE AL SILICONE. COSÌ MUORE LA DIFFERENZA SESSUALES
iamo proprio diventate veri maschi. Sogniamoanche il loro stesso sogno, cancellare
la differenza sessuata, tenere chiuso
il corpo materno nello scantinato, come
Norman Bates-Anthony Perkins in “Psycho”.
Lo scrive Marina Terragni in un libro
bello e importante, che esce oggi e che si intitola
“La scomparsa delle donne” (Mondadori,
235 pagine, 16 euro). Un titolo apparentemente
iperbolico che racconta una verità
concretissima, perché quella scomparsa
non è soltanto simbolica, ma attraversa le
vite di tante e di tanti. Essere cadute nell’equivoco
di considerare “lavoro, emancipazione
e libertà” come modi diversi per dire
la stessa cosa, ha fatto sì che il modello di libertà
sul quale plasmare se stesse, le proprie
ambizioni, i propri desideri, compreso
il desiderio sessuale, per tante donne finisse
per essere il modello maschile. Per questo
appaiono come un grande inganno tutte
quelle “spericolate teorie su sesso e genere
(Judith Butler, Donna Haraway e così via)”
che, scrive la Terragni, arrivano “a concludere
che il corpo con cui si nasce conta poco
o niente”, perché tutto è cultura e quindi
anche la differenza per eccellenza, la differenza
sessuale, è un rottame del patriarcato.
La presunta libertà di scegliersi il genere,
di costruirlo come un leggero bricolage
di identità, porta semplicemente all’azzeramento
del femminile: “Quello che mi pare
di vedere – dice Marina Terragni – è che ciò
che si stacca dal corpo diventa quasi sempre
maschio”. Dimenticare il proprio corpo,
staccarsene, non è soltanto l’operazione sofisticata
e militante di cui parla la Butler. E’,
più banalmente, quello che le donne fanno
quando negano il materno o lo accantonano
fino al momento in cui sarà il corpo a reclamare
il “fuori tempo massimo”. Lo fanno
quando cercano di essere più realiste del
re, grate per essere state ammesse nella meravigliosa
“terra straniera” di un lavoro che
è, sempre o quasi, a misura di maschio. Una
terra straniera dove per vincere, a volte
semplicemente per resistere, è necessario
diventare straniere a se stesse. Mentre “di
slegarsi dal proprio corpo alla stragrande
maggioranza dei maschi è sempre interessato
poco. Loro stanno benissimo così, vengono
alla luce in un mondo tagliato a misura,
trovano la loro lingua bell’e fatta, escono
dall’alvo materno per infilarsi direttamente
nell’Assoluto, comandano, guadagnano
un sacco di soldi e fanno tutto quello che gli
pare. Tolta la fatica iniziale di staccarsi dal
corpo della madre – fatica che pure nella loro
vita non finisce mai –, finora per loro è
sempre stato tutto molto più semplice”.
Ma ora, scrive Marina Terragni, è arrivato
davvero il momento di scegliere. Ora che
l’emancipazione è al suo climax, ora che
“stiamo diventando tutte veri uomini senza
nemmeno avere saputo come sarebbe stato
essere vere donne” è urgente capire come
riaffermare quella differenza: “La questione
è se ri-legarsi a sé, se salvare la propria
differenza femminile o slegarsene definitivamente”.
Ma non è possibile nessuna restaurazione,
nessun semplice “tornare indietro”,
nessun oleografico “voglio tornare
a casa”, come recitava il titolo di un vecchio
libro di Christiane Collange, che con una
ventina d’anni d’anticipo sul fenomeno delle
casalinghe di ritorno decantava le gioie
della vecchia femminilità. Si tratta, invece,
scrive Marina Terragni, della “più grossa
questione politica che abbiamo da affrontare,
il più importante lavoro politico che ci
tocca: politico perché ha a che fare con la
felicità o l’infelicità di tutti – anche degli uomini
–, e non c’è definizione di politica che
mi convinca di più”. Si è già visto abbastanza
per deciderci, si è visto “quanta solitudine
e quanta violenza può esserci in un mondo
fatto di soli maschi e di loro omologhi, in
cui la speranza costituita dalle donne, dalla
loro capacità di fare perdere peso alle cose,
di vincere la gravità e la dittatura dell’utile
vengono progressivamente meno, in cui le
donne spuntano occasionalmente fuori solo
come revenant di un’umanità perduta o come
un paio di superbe tette di silicone, immagine
grottesca della dea negata”. Di
scomparsa delle donne ci parlano “le anoressiche,
il loro corpo come campo di battaglia,
le sterili inseminate con sperma ghiacciato,
la morte del desiderio, le single sfinite,
le skeleton mummy e i loro figli affamati,
le perverse pluri-rifatte, Lyndie England,
tutte quelle che al momento del divorzio vogliono
la testa di Garcia”. Ormai sappiamo
perfettamente, scrive Marina Terragni “ che
cosa significa avere tutti i diritti tranne
quello alla propria identità sessuale. La
scomparsa delle donne genera la depressione
del mondo, perché diminuisce il tasso
di compassione e di agàpe circolante”.
Si parla molto, è vero, di “femminilizzazione”
degli uomini, di “tutti questi homme
mou, questi maschi mammi, lisci, depilati,
palestrati, eleganti, abbronzati, piagnucolosi,
metrosexual”. Ma quello della femminilizzazione
maschile è “un epifenomeno buono
per le allodole, non lasciamoci incantare.
Lo dice benissimo Luce Irigaray: il maschio
‘accetterà perfino di diventare un po’
donna, piuttosto che confrontarsi con una
rivoluzione di pensiero oggi inevitabile”,
cioè piuttosto che ammettere l’irriducibile
alterità dell’Altra. Si rassegnerà a inglobarla,
che poi è un altro modo di ridurre l’Altra
all’identico a sé”. Ma anche il maschio, in
questo gioco, perde. Perché negare l’alterità
è distruggere la possibilità stessa dell’amore,
è perdere se stessi. “Provate a prendere
qualche lezione di tango e vi renderete conto
che oggi per una donna la cosa più difficile
è abbandonarsi come una dolce zavorra,
lasciarsi sbatacchiare, cedere con fiducia.
Ma per gli uomini è anche più dura:
stanno lì, come sacchi di patate, non guidano,
non prendono iniziative, cercano di scaricarti
addosso ogni responsabilità”. Non
solo per ballare bene il tango, ma per continuare
a esistere come donne e come uomini,
per non patire la lontananza da sé che affligge
le une e gli altri, oggi “la questione è
far ritornare le donne. Tornare donne. Tornare
in noi e fare festa”. Perché, conclude
Marina Terragni, quello si può fare per gli
uomini “è onorare la mia, di differenza.
Quello che posso fare per loro è semplicemente
essere una donna”. Ed è tutto quello
che le donne possono fare per sé.