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In nome della Madre

di Massimo Cacciari - 09/05/2007



Da domani a Bologna una serie di incontri e letture
Il termine "patrius" è comune a tutti gli idiomi indo europei, mentre non si registra "matrius"
Con timore e tremore la mitologia e anche la cultura classica cercano la figura materna, il Grembo
È Rhea (o Terra o Hera) ad allevare Zeus e a permettere al nuovo Dio di vincere il padre
Il cristianesimo costruì l´immagine della Vergine che genera lo stesso Dio

La diffusione della figura della Madre lungo tutto il neolitico africano e asiatico, anatolico e mediterraneo, segna innegabilmente un´era nella quale, attraverso i volti di distinte divinità e differenti simboli, il mondo del divino si struttura attorno alla Signora, alla Donna come «potnia», colei che detiene il potere supremo. Di questo antico, pre-storico predominio, che non va inteso (e banalizzato!) in senso giuridico-politico, recano testimonianze evidenti tutte le mitologie e culture successive.
Gli dèi olimpici, il Comando del Padre Zeus si «innalzano» ancora su questo fondo, abissale e tremendo, invisibile e inattingibile come quello dell´alto mare, vero, cioè, fondo pelasgico, e sempre ne ricordano, loro malgrado, la pre-potenza. La mitologia greca narra, a saperla ascoltare, di un polemos incessante tra il dio del Cielo, svettante e ricoprente la Terra, e la Grande Madre ingenerata, come ingenerati sono Notte e Chaos, Gaia infaticabile.
Da lei lo stesso Urano stellato. Da lei la stessa stirpe di Zeus. È lei, Rhea (stesso nome di Terra, così come lo è Hera, la madre argiva) ad allevare Zeus, a permettere al nuovo dio di sopravvivere al padre. È lei a difendere il Figlio e a consentirne la vittoria.
E così le grandi dee dell´Olimpo conservano nomi pre-ellenici: Artemide ha in Efeso la sua dimora, Athena in Lindos. Nessun mito è più drammaticamente caratteristico della lotta condotta dagli olimpi per sottrarre alla Madre il dominio di quello di Athena generata dal Padre! Con quanta e quale fatica il Padre appare qui costretto ad avvalersi della natura della donna per prevalere! E tuttavia è Athena ad imporre il suo nome alla polis per antonomasia. E l´eroe eponimo, Eretteo, reca il nome della terra (Era) confitto nel proprio.
Con timore e tremore la mitologia e la cultura classica volgono lo sguardo alle Madri. E´ questo il viaggio più seducente e pericoloso. Lo sa ancora il Faust di Goethe, e ancor più la sua «guida» Mefistofele, che invano lo mette in guardia dal voler sprofondare nel loro regno. Esso è l´«inesplorato inesplorabile», «ciò» che dà vita e la toglie, grembo e tenebra, inizio e compimento, letto nuziale e talamo di Persefone. Dà vita a ciò che morrà, e dalla morte trae vita. A nessun ente permette di stare fisso nella forma in cui si manifesta. Per tutti è pharmakon: ciò che alimenta e ammala. Coincidenza di opposti.
Una lunga via conduce dalle leggi antiche, non scritte delle Madri alla esclamazione di Athena, generata dalla mente di Zeus: «del tutto io sono del Padre». Né le Erinni sono alla fine sconfitte e negate. E´ necessario conciliarle al nuovo potere. E ciò avviene sul luogo stesso, la collina dell´Areopago, dove le Amazzoni avevano stabilito il loro campo nella lotta contro il maschio Teseo. Oreste, difeso da Apollo, primo tra gli olimpi dopo Zeus, non viene sacrificato per l´uccisione della madre, ma «a patto» che Athena stessa assuma in sé gli attributi materni, che venga venerata nel Metroon di Atene. Insomma, che Atene sia metropoli, città della Madre.
Così noi, millenni dopo il processo decisivo rappresentato insuperabilmente da Eschilo nelle Eumenidi, dopo l´affermazione dell´Olimpo, da un lato, e del Dio Padre di Gerusalemme, dall´altro, continuiamo a dire «metropoli», a dire «lingua madre». Poiché sentiamo, senza più comprenderlo, che le radici del nostro linguaggio risalgono a un «fondo»che rimane incatturabile, a un grembo sempre generante e invisibile. Mentre invece l´artificio delle leggi che regolano la nostra esistenza e la determinatezza dello spazio in cui provvisoriamente viviamo, sono patrii, appartengono alla « evidenza» del padre. Il termine patrius è comune a tutti gli idiomi indo-europei. Mentre nessuno di essi conosce qualcosa di analogo a «matrius». Patrius indica ovunque il possesso, la salda, indiscutibile condizione del possedere. Le antiche leggi di Mani, tremendo testo delle origini indo-europee, stabilisce che madri, spose e schiave non posseggano nulla. Esse non possono avere «patria potestà». Vi è, sì, in latino «mater familias», ma l´espressione non ha assolutamente significato analogo a quella di «pater familias». Essa indica semplicemente colei che ha generato i filii, i discendenti liberi.
Rimanda, cioè, alla maternità, al maternus. E il suffisso «inus» indica sempre ciò di cui qualcosa è fatto, la materia di qualcosa.
Forse nulla, insomma, «giudica» il carattere delle nostre culture più del fatto che in tutti i nostri idiomi esista «maternus» e non «matrius». E tuttavia il dominio del Padre non può evitare di subire i ricorsi della Grande Dea, in forme sempre nuove, ma sempre sul fondamento del Simbolo originario.
Le forme necessariamente invecchiano. E più rapidamente ancora le leggi e le patrie. Il pensiero lo comprende ed è spinto, come Faust, a fare ritorno, oltre esse, alla Madre. Ma «dove è la Madre?». Non in questo o in quello, non in questa o quella fonte. Ma nella possibilità in generale che qualcosa sia, oltre ogni forma o apparenza. Nella forza che fa incessantemente che l´essere sia, senza arrestarsi mai nell´apparire determinato di questo o quell´ente. Nella forza che fa «correre» gli enti lungo un sentiero che lei sola conosce, e custodisce gelosa. L´opposto di quella «passività» del carattere femminile che è l´idea dominante delle epoche in cui il «diritto paterno» pretende di mascherare la propria avvenuta decadenza.
Quando gli dei maschi, che Plotino vede caratterizzati dal Nous, dal Pensiero, protraggono la loro vita, a difesa della propria forza e del proprio stato, aggrappati alle loro «leggi scritte» come potessero durare in eterno, allora necessariamente ricorre quel grido «alle Madri!»; «giù» di nuovo, per risalire alla potenza del grembo di tutte le forze, a nuove nascite, che nessuna legge può descrivere o prevedere. «Giù» di nuovo, «in alto», alla Grande Dea, generatrice magica delle apparenze, alla Aurora, Mater Matuta, che coccola il bimbo di sua sorella Notte, il Sole. Così avvenne con i trionfi tardo-antichi delle dee di Oriente, di Iside in particolare. Ma fu anche con tali simboli che il cristianesimo costruì la grande immagine della Vergine, di colei che è così potente nella sua umiltà da generare lo stesso Dio. Senza una tale immagine non si potrebbe spiegare la «lunga durata» del cristianesimo stesso.
Così forse sta avvenendo nel nostro secolo. Lo Spirito che soffia dove vuole e che col suo soffio rigenera, oltre ogni umana attesa e speranza, è «sophia» della Madre, sua sapienza e sua arte. «Mia Madre, lo Spirito»: questo affermano le grandi epoche di crisi, di contro al monoteismo astratto e assoluto di quello Spirito che analizza e dissacra, che conosce soltanto il linguaggio dell´utile e del possesso, incapace di danza e di dono, e i cui trionfi hanno perciò sempre il sapore della pesantezza, della vecchiaia e dell´impotenza, alla fine.