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Samuel Taylor Coleridge e "la ballata del vecchio marinaio"

di Francesco Lamendola - 10/05/2007

 

 

 

 

 

 

I grandi viaggi di scoperta a carattere scientifico del XVIII secolo, culminati nella triplice navigazione antartica di James Cook che sfatò per sempre il mito della "Terra Australis Incognita", preludono all'ingresso dei Poli nell'immaginario collettivo del pubblico occidentale. Mediatrice di tale irruzione, carica di echi suggestivi e fantastici, è stata la letteratura che, appunto in area romantica, ne ha definito le caratteristiche alla luce della poetica del "sublime". Il sublime, categoria fondamentale della sensibilità estetica del primo '800, confina - come già notava acutamente il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer - con l'altra grande categoria dell'immaginario romantico, quella dell'orrido, con la quale si trova in un rapporto di attrazione e repulsione. I paesaggi polari fatti di ciclopiche barriere di ghiaccio, di mari eternamente corrucciati e tempestosi, di cieli coperti color cenere, di lunghissime notti rischiarate dal fenomeno spettacolare dell'aurora polare, sono sospesi fra l'orrido e il sublime e generano nella cultura europea un fascino assolutamente particolare, evocando immagini e simboli che giacciono, forse (come avrebbe detto Jung) nelle profondità misteriose e inafferrabili dell'inconscio collettivo. Si tratta di un fascino esotico, ma completamente diverso, ad esempio, da quello evocato dai paesaggi tropicali, specialmente polinesiani, fatti di cieli azzurri, di spiagge dalla sabbia finissima, di barriere coralline popolate da pesci multicolori, e di palme che stormiscono alla brezza sullo sfondo di un cielo quasi sempre sgombro e inondato di luce. Eppure quei mari artici e antartici, ove solo le pinne di creature gigantesche e minacciose come l'orca o il capodoglio (si pensi alla vera e propria epopea di Moby Dick o la "balena bianca", creata da Herman Melville); quelle pianure ghiacciate che si perdono all'infinito, su cui si muovono solo orsi bianchi, foche o frotte di impettiti pinguini; quel senso d'immensa solitudine, non rotta ma anzi acuita dal pericolo sempre incombente dei ghiacci galleggianti, capaci di stritolare come una noce la nave più robusta: tutto questo ha sempre evocato nel pubblico europeo un senso sottile di deliziosa inquietudine. Forse semplicemente perché, come osservava già nel I secolo il poeta latino Lucrezio,

      Suave, mari magno turbantibus aequora ventis,

      e terra magnum alterius spectare laborem (1);

e il pubblico "borghese" che, nel corso del XIX secolo, viene via via sostituendo il pubblico aristocratico, ama sognare tremendi pericoli e climi inclementi mentre se ne sta seduto, accanto al caminetto, con un buon libro aperto sulle ginocchia.

 

SAMUEL TAYLOR COLERIDGE E "LA BALLATA DEL VECCHIO MARINAIO".

Non è certo questa la sede per dilungarci sulla biografia di Coleridge, sul suo percorso letterario, o per addentrarci in una valutazione complessiva della sua opera poetica; pertanto non ci limiteremo che a qualche cenno essenziale. Nato a Ottery Saint Mary (Devonshire) nel 1772, ultimo di una numerosa figliolanza di un pio pastore anglicano, muore a Londra nel 1834, dopo una vita sregolata e geniale, devastata dall'abuso della droga e percorsa da fondamentali intuizioni estetiche, che saranno alla base di tutto il futuro Romanticismo inglese. Spirito disordinato e profondo, spazia con eguale disinvoltura dalla filosofia alla poesia, dal giornalismo alle conferenze; cerca di conciliare Platone con Berkeley, sensibilità romantica e spirito scientifico. Mario Praz, uno dei nostri maggiori anglisti, ha scritto che "la tragedia della vita del Coleridge, carattere dispersivo e passivo, è una tragedia della volontà. Di qui tutte le sue travagliose vicende: i rapidi entusiasmi, altrettanto veementi quanto caduchi, il suo umiliarsi dinanzi al Wordsworth, la sua dedizione all'altrui volere, dal matrimonio dietro consiglio del Sothey fino alla sottomissione al regime del dott. Gillman per guarirsi dall'abuso dell'oppio, - quest'abuso stesso (episodio che accelerò, ma non determinò la dissoluzione della personalità) che importa un'evasione dal proprio "io", - il non sentir bisogno d'indipendenza economica, vivendo del soccorso altrui (dei Wedgwood prima, dello Stato poi) e permettendo che la famiglia fosse mantenuta dal Southey; - infine l'elasticità stessa di questo carattere che, dopo aver toccato il fondo dell'abiezione, riesce a riabilitarsi grazie soprattutto alla propria passività, che gl'impedisce di esser decisamente cattivo. Nella sua vita mentale si nota la stessa assenza del senso di proprietà, che si manifesta nel trascrivere come propri passi d'altri autori, e nell'attribuire ad altri, passi di propria invenzione; - la dispersione in mille tramiti secondari dell'attenzione, incapace di seguire a lungo un solo pensiero: ciò che si traduceva, nella conversazione in soliloqui continui, nella lettura in minute annotazioni su singole frasi; - lo sbrigliarsi della fantasia dietro a progetti monumentali di un magnum opus; - la ripugnanza ogni qualvolta si trattava di mettersi a scrivere e le accorate confessioni d'impotenza, come quando, in quello zibaldone misto d'autobiografia, di filosofia, e di critica che è la Biographia Literaria (pubb. 1817), tenta di velare, con l'introduzione ex abrupto della finta lettera d'un amico, l'incapacità a concludere sistematicamente. Tragedia della volontà, ma tragedia di un tipo quale solo più tardi riceverà un nome nella cultura europea, dal russo Cechov. Perché Coleridge non aveva solo due personalità, ma cinque, ciascuna con la propria calligrafia. Una di queste personalità avrebbe potuto innalzare col canto un palazzo eccelso, sì da stupire gli uomini, come si legge nella chiusa di Kubla Khan." (2)

La ballata del vecchio marinaio (The Rime of the Ancient Mariner), un'opera capitale della letteratura non solo inglese, ma europea, apparve nel 1798 all'interno delle Lyrical Ballads, pubblicate insieme a William Wordsworth (1770-1850). Più tardi l'edizione francese, abbellita dalle stupende incisioni di Gustave Doré, avrebbe amplificato enormemente l'impatto emozionale di quest'opera suggestiva, densa di significati allegorici e morali, imprimendola per sempre nella "geografia interiore" della moderna cultura occidentale. Si tratta di un poemetto di 625 versi, suddivso in sette parti e preceduto da un breve sommario: "How a Ship having passed the Line [ossia l'Equatore] was driven by storms to the cold Country towards the South Pole, and how from thence she made her course to the tropical Latitude of the Great Pacific Ocean; and of the strange things that befell; and in what manner the Ancient Mariner came back to his own Country".

Nella prima parte un vecchio marinaio dall'aria alquanto strana, quasi minacciosa, incontra tre giovanotti invitati a una festa di nozze, e ne trattiene uno che, dopo un momento di impazienza e quasi di repulsione, rimane affascinato ad ascoltarne il racconto, docile come un bambino. Il vecchio marinaio gli narra come la sua nave, tanti anni prima, era salpata verso sud con venti favorevoli e, oltrepassata la linea dell'Equatore, era stata afferrata da una tempesta e trascinata vorticosamente in direzione del Polo Sud. La descrizione del desolato continente antartico è tratteggiata con grandiosa, ossessionante drammaticità:

      And through the drifts the snowy clifts

      did send a dismal sheen:

      nor shapes of men nor beasts we ken -

      the ice was all between.

    

      The ice was here, the ice was there,

       the ice was all around:

       it cracked and growled, and roared and howled,

       like noises in a swound!

Ghiaccio dappertutto, dunque, e solitudine e desolazione (e si noti la straordinaria efficacia delle onomatopee); allorché un grande albatro giunge attraverso la nebbia e, accolto dai marinai come un segno propizio, accompagna la nave sulla rotta che la riporta lentamente verso nord, in mezzo agli icebergs vaganti alla deriva, in un magico paesaggio notturno illuminato dalla luna. Il giovane convitato, pur avendo sentito iniziare la musica del pranzo nuziale, è ormai come ipnotizzato dal racconto, e chiede al vecchio - che si è interrotto per un momento - il motivo del suo sguardo sconvolto, la natura dei fantasmi che lo perseguitano. Allora questi gli rivela che, con la balestra, egli compì un'azione sacrilega: colpì a morte l'albatro.

Nella seconda parte riprende il racconto. I venti favorevoli continuano a soffiare da sud, ma l'equipaggio è inquieto e rimprovera aspramente al marinaio il misfatto commesso. Il meraviglioso uccello bianco, che veniva perfino a mangiare dalle mani degli uomini, non segue più la nave, ed essi temono che la brezza abbia a cessare. A questo punto accade un fatto imprevisto: la nebbia si dirada; e i marinai, mutata bruscamente opinione, lodano il marinaio per l'azione compiuta, poiché pensano che fosse l'albatro a portare con sé la nebbia gravida di pericoli. In tal modo divengono solidali col crimine commesso, e si attirano inconsapevolmente il castigo divino. Questo, però, non arriva subito; venti favorevoli spingono la nave, attraverso l'Oceano Pacifico, sino all'Equatore (così scrive Coleridge, ma con qualche incongruenza, poiché essa raggiungerà l'Equatore solo nella quinta parte) o, più probabilmente, ai Tropici; quivi giunta, però, il vento cade e le vele pendono inerti. È la bonaccia, più tremenda ancora della tempesta: mentre un sole rosso come sangue pare librarsi immobile nel cielo, esseri viscidi strisciano sul mare sulle loro zampe immonde, mentre fuochi fatui si accendono misteriosamente e l'abisso medesimo del mare sembra sul punto d'imputridire.

       Water, water, every where,

       and all the boards did shrink;

       water, water, every where,

       nor any drop to drink.

 

       The very deep did rot: O Christ!

       That ever this should be!

       Yea, slimy things did crawl with legs

       upon the slimy sea.

Assetati, spaventati, disperati, i marinai sono certi che uno Spirito li sta tormentando, mentre segue la nave immerso sotto la superficie; perciò appendono al collo del loro compagno, a mo' di crocifisso, il corpo dell'albatro ucciso, in un estremo gesto di espiazione.

Nella terza parte, il vecchio marinaio racconta di come vide avvicinarsi qualcosa sullo sconfinato orizzonte marino; e, pur con la gola riarsa dalla sete, gridò che una vela era in vista. Ma, mentre l'oggetto misterioso continuava ad avvicinarsi, un tremendo presentimento s'impadronì dell'equipaggio: com'era possibile che si trattasse di una nave, se non soffiava un alito di vento ed il mare era piatto come una tavola? Infatti non è che lo scheletro di una nave, orribile, sospinto da correnti innaturali. Quando giunge vicino, gli uomini possono vedere due figure spaventose che si profilano sul ponte: due donne scheletriche, che sono Morte e Vita-in-Morte. Le due megere si son giocate ai dadi l'equipaggio, e il vecchio marinaio è vinto dalla seconda; tutti gli altri, dalla prima. Dopo il tramonto, quando la luna si leva in cielo, uno dopo l'altro tutti i compagni del vecchio marinaio stramazzano privi di vita.

      One after one, by the star-dogged Moon,

      too quick for groan or sigh,

      each turned his face with a ghastly pang,

      and cursed me with his eye.

 

      Four times fifty living men,

      (and I heard nor sigh nor groan)

      with heavy thump, a lifeless lump,

      they dropped down one by one.

Nella quarta parte il giovane convitato esprime il timore di aver a che fare con uno spettro; ma il vecchio marinaio lo rassicura: non lo colse la morte sul mare in bonaccia. Stremato, angosciato dallo spettacolo tremendo dei compagni morti, egli aveva cercato di levare al Cielo una preghiera, ma non v'era riuscito. E negli occhi dei morti gli sembra di leggere una implacabile maledizione. Sotto il cielo stellato le creature del mare vagano intorno allo scafo della nave, meravigliose nelle loro forme eleganti, nella scia luminosa che si lasciano dietro. Lo spettacolo da esse offerto è così suggestivo che egli si sente invaso l'animo da un impeto di amore verso esse, e le benedice inconsapevolmente. È questo l'evento che mette in movimento l'inizio del suo riscatto e che avvia la rottura del cattivo sortilegio. Grandiosa e affascinante è la descrizione dei serpenti marini che, da creature spaventose e malefiche (quali erano nei racconti dei marinai dell'epoca) la fantasia del Coleridge trasforma in esseri di luce, evanescenti come un sogno e tuttavia bellissimi come esseri di un mondo beatifico); forse, in questo passaggio, ha avuto in mente il celebre Notturno del poeta greco Alcmane:  Dormono dei monti le vette e le convalli/ e le balze e le forre/ e le specie animali quante nutre la terra nera/ e le fiere montane e la stirpe delle api/ e i mostri negli abissi del mare cangiante;/ domono/ le specie degli uccelli dalle ampie ali. (3)

      Beyond the shadow of the ship,

      I watched the water-snakes:

      they moved in tracks of shining white,

      and when they reared, the elfish light

      fell offin hoary flakes.

  

      Within the shadow of the ship

      I watched their rich attire:

      blue, glossy green, and velvet black,

      they coiled and swam; and every track

      was a flash of golden fire.

Nella quinta parte la Vergine Maria manda al marinaio il dolce sonno che gli concede una pausa di ristoro. Una pioggia provvidenziale lo risveglia, rinfrescandolo e rianimandolo. Per un attimo, egli crede d'essere divenuto uno spirito senza più corpo. Mentre fra cielo e mare si levano suoni misteriosi e appaiono enigmatiche visioni, si scatena il temporale e l'acqua scorre in abbondanza sul ponte della nave morente, spazzato da un vento gagliardo. Allora si verifica qualcosa d'inconcepibile. I morti si ridestano e ciascuno di essi riprende il suo posto sulla nave, dal nocchiero all'ultimo marinaio; ma si muovono in silenzio, come un equipaggio di fantasmi. Intanto la nave, pur nell'assenza di vento, comincia a muoversi: ad animare i corpi dei marinai è una schiera di spiriti beati, inviata dal santo protettore; che all'alba, esaurito il loro compito pietoso, abbandonano dolcemente le loro dimore provvisorie. Intanto il cielo è tutto un canto di allodole e di ogni altro uccello conosciuto, che si propaga come da abissali distanze e che sembra accompagnare la partenza degli spiriti buoni.

      Around, around, flew each sweet sound,

      then darted to the Sun;

      slowly the sounds came back again,

      now mixed, now one by one.

 

      Sometimes a-dropping from the sky

      I heard the sky-lark sing;

      sometimes all little birds that are,

      how they seemed to fill the sea and air

      with their sweet jargoning!

Intanto lo Spirito del Polo Sud, che accompagna la nave fin dalla regione dei ghiacci e delle brume, si ferma e con esso anche la nave, giunta ormai all'Equatore. Pur avendo obbedito alla volontà delle schiere celesti, lo Spirito vuole ancora vendetta: la nave è scossa da un fremito e il vecchio marinaio cade sul ponte, svenuto. Prima di perdere i sensi, egli ode le voci di due spiriti dell'aria che lo indicano e ricordano il suo misfatto: l'uccisione dell'albatro, caro allo Spirito del Polo Sud. Quest'ultimo ritorna verso la sua dimora solo dopo che uno dei due esseri riconosce che l'uomo ha già pagato con una dura penitenza, ma che ancora dovrà espiare prima di estinguere il suo debito.

Nella sesta parte vediamo la nave filare verso il nord a velocità folle, mentre il marinaio continua a giacere svenuto. Infine, di notte, si risveglia: la nave ora avanza a una velocità più moderata, e i morti, di nuovo, si rialzano, fissandolo con occhi spaventevoli, scintillanti nella luce lunare. Ed ecco, l'incantesimo è finalmente rotto: un docile vento gli scompiglia i capelli e sospinge ancora la nave, sempre più sicura, verso il paese natìo del vecchio marinaio. Bellissima la descrizione del vento propizio che riporta vita e speranza nel cuore dell'uomo, finalmente purificato dal dolore:

      It raised my air, it fanned my cheeck

      like a meadow-gale of spring-

      It mingled strangely with my fears

      yet it felt like a welcoming.

 

      Swiftly, swiftly flew the ship,

      yet she sailed softly too:

      sweetly, sweetly blewthe breeze-

      on me alone it blew.

Allora, mentre appaiono la baia e la chiesa della sua infanzia, il vecchio marinaio vede gli spiriti angelici abbandonare, questa volta per sempre, i corpi dei compagni morti; ma da ogni corpo emerge un corpo di luce, un serafino splendente. Ciascuno saluta con la mano, mentre un senso di pace ineffabile scende nell'animo del marinaio. Ormai  si ode un tonfo di remi, perché una scialuppa si sta avvicinando; e si ode la voce del vecchio eremita che da tempo immemorabile viveva nel bosco presso il villaggio.

Nella settima parte l'eremita, stupito, si avvicina alla nave con la sua barca; quando a un tratto, senza alcun preavviso, la nave si capovolge e affonda. Il vecchio marinaio si ritrova a bordo della scialuppa che, poco dopo, tocca terra, mentre il pio eremita continua a pregare, intuendo che quel sopravvissuto reca con sé una storia dolorosa e terribile. Non appena sbarcato, infatti, il marinaio gli chiede di confessarlo e gli racconta tutta la sua storia, dopo di che si sente sollevato. La sua penitenza sarà continuare a vivere, e, di tempo in tempo, essere riafferrato dai fantasmi del passato, che lo sospingono a riprendere il mare, spostandosi da un paese all'altro. Un istinto infallibile gli suggerisce ogni volta di raccontare la sua vicenda a un uomo del posto, e così ha fatto anche stavolta con il giovane convitato. Prima di andarsene, egli confida al suo interlocutore il segreto che ha imparato in tanti anni di penitenza: la vera preghiera è l'amore, l'amore universale; perché Dio, che ha creato ogni cosa - l'uomo e l'animale - tutto ama di eguale amore.

      Farewell, farewell! But this I tell

      To thee, thou Wedding-Guest!

      He prayeth well, who loveth well

      both man and bird and beast.

 

      He prayeth best, who loveth best

      all things both great and small;

      for the dear God who loveth us,

      he made and loveth all.

L'opera si chiude con l'immagine del giovane convitato che si allontana, pensoso e quasi stranito, dalla casa del banchetto cui non ha partecipato; si risveglierà il giorno dopo, fatto più triste, ma anche più saggio.

Numerosissime sarebbero le cose da dire a proposito delle interpretazioni simboliche della ballata nel suo complesso e delle sue singole parti; anzi, si può dire che quasi ogni verso sia intessuto di richiami filosofici, religiosi e mistici, oltre che letterari. Ciò richiederebbe uno studio apposito, e non è questo lo scopo che ci eravamo prefissi; bensì quello di delineare, velocemente, la risonanza letteraria delle navigazioni e scoperte nei mari polari. Basterà pertanto, in questa sede, accennare che il vecchio marinaio, probabilmente, simboleggia colui che si è spinto lontano alla ricerca della verità, ed è tornato (a differenza dell'Ulisse dantesco) per farne partecipi i suoi simili. L'avventura antartica da cui torna profondamente trasformato è frutto dell'ansia metafisica che, secondo la concezione romantica, urge in fondo all'animo umano; ma non si tratta (come per l'Ulisse dantesco) di uno slancio puramente intellettuale, a divenir del mondo esperto, / e delli vizi umani e del valore (4); bensì di tipo spirituale: che nasce dal cuore e non dalla mente. Si è detto che Coleridge è il poeta del soprannaturale (mentre Wordsworth, sempre nelle Lyrical Ballads, è il poeta della realtà naturale); e questo, se si pensa alla gran quantità di esseri angelici e demoniaci, di fantastiche creature marine, di morti che tornano a vivere d'un vita effimera e di navi che avanzano sul mare senza un alito di vento, certamente appare giustificato. Tuttavia non si dovrebbe dimenticare che, per un seguace di Platone e, più ancora, di Berkeley (il Berkeley della Siris piuttosto che dei Dialoghi tra Hylas e Philonous, ossia più mistico e platonizzante che razionalista ed empirista), la realtà fisica ed esteriore non è che pura apparenza, ombra di cose vane; e che la realtà vera è quella che sta al di là dei sensi. In questa notevole intuizione filosofica ed estetica (che fa di Coleridge non solo l'annunciatore del Romanticismo, ma anche il precursore delle poetiche simboliste di fine Ottocento e del primo Novecento) risiede il fascino arcano che emana dalla Rime of the Ancient Mariner, che si sottrae tenacemente a ogni tentativo d'interpretazione esaustiva. Nella particolare prospettiva di Coleridge, infatti, il soprannaturale non risiede in una dimensione straordinaria dell'esistenza, ma tutta la realtà e tutto il mondo sono profondamente, intimamente intessuti di soprannaturale.  Di più: il mondo naturale non è che apparenza; e quello che chiamiamo soprannaturale è, semplicemente, la realtà vera: chi comprende questo, non potrà mai più essere quello che era prima. In questo senso, La ballata del vecchio marinaio è anche una storia di formazione: ma in un  senso ben diverso da quello - tutto esteriore e materiale - del Robinson Crusoe di Daniel Defoe, tipico prodotto del "secolo dei lumi". Il vecchio marinaio, al termine del suo viaggio nelle regioni antartiche e nelle vastità del Pacifico australe, è divenuto un uomo completamente diverso da quello che era partito; ma non perché abbia imparato nuove cose sulla propria natura o sulla natura del mondo, bensì perché è rimasto folgorato dalla profondità abissale del mistero che si cela dietro l'apparenza rassicurante delle cose e di noi stessi. Ha gettato uno sguardo sull'abisso; e, come osserva acutamente Friedrich Nietzsche, "chi lotta con i mostri deve guardarsi dal non diventare con ciò un mostro. E se guarderai a lungo in un abisso, anche l'abisso guarderà in te." (5)

 

NOTE

 

1)      LUCREZIO, De Rerum Natura, II, 1-2. "È bello seguire da terra quando il vento solleva/ grandi ondate sul mare la lotta di chi le contrasta" (tr. di F. Vizioli, Roma, Newton & Compton, 2000, pp. 94-95.

2)      PRAZ, Mario, Storia della letteratura inglese, Firenze, Sansoni, 1982, pp. 435-436.

3)      CANTARELLA, R.-COPPOLA, C.-SESTILI, A., Armonia. Antologia della letteratura greca, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1991, vol. 1, p. 385.

4)      DANTE, Inferno, XXVI, 98-99.

5)      NIETZSCHE, Friedrich, Al di là del bene e del male, IV, 146.