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Uomo e Natura (recensione)

di Paolo Vicentini - 15/05/2007

Giuseppe Gorlani, Uomo e Natura, con una testimonianza di Guido Ceronetti, La Finestra editrice, Lavis (TN) 2006, 66 pp.

 

 

Poeta, grafico, viaggiatore, appassionato cultore di hinduismo, fondatore e guida, dai primi anni ’80, di una piccola comunità spirituale che ora risiede presso Assisi, Giuseppe Gorlani ha sempre unito ad una forte propensione per la ricerca interiore un’equivalente attenzione per la natura e le problematiche ambientali. La costanza e la qualità di questa attenzione è testimoniata dal volume che qui presentiamo, nel quale sono raccolti i suoi scritti su caccia, vegetarianesimo, animalismo e più in generale sul rapporto uomo-natura. I saggi di Gorlani sono preceduti, a mo’ di introduzione, da uno scritto di Guido Ceronetti intitolato Quarant’anni di vegetarianesimo, pubblicato dal noto poeta nell’agosto del 1997 in occasione del suo ottavo lustro di passaggio all’alimentazione vegetariana. In esso Ceronetti prospettava una sorta di avanzata inarrestabile del vegetarianesimo in Italia, ottimismo alquanto smorzatosi nell’aggiunta al testo scritta appositamente per questo volume nel maggio del 2006, le cui parole finali sono invece di tutt’altro tenore: «La situazione dunque non sembra delle più promettenti. Il mercato e la pubblicità spingono inferociti al consumo carneo. [...] Una scelta vegetariana generalizzata farebbe certamente progredire eticamente e religiosamente l’umanità. Però, dai segni, l’umanità ha molta più voglia di regredire, di sotterrarsi viva nella sua penuria etico-religiosa e soprattutto ideale, ha il cupio dissolvi dentro...».

Non mi pare che né l’iniziale ottimismo, né il successivo e speculare pessimismo, riflettano la sensibilità con cui Giuseppe Gorlani tratta queste tematiche. Ma soprattutto, non mi pare che egli compia la semplice equivalenza fra dieta vegetariana e superiorità etico-religiosa dell’individuo. Fin dal primo saggio, Vegetarianesimo e ricerca spirituale, è infatti condannato insieme al carnivorismo refrattario a qualsiasi considerazione anche quel fanatismo vegetariano «la cui retorica del bene è forse peggiore del male dichiarato» (pp. 7-8). Si tratta di un vegetarianesimo e di una non-violenza propri di chi, essendosi identificato esclusivamente con la propria individualità psico-fisica, è in realtà solo timoroso della propria morte. Dietro le altisonanti parole del “missionario” naturista, scrive l’Autore, si nasconde spesso una semplice ricerca di pseudo-benessere individuale (p. 8). Non è questo, secondo Gorlani, il tipo di consapevolezza che dovrebbe sottendere la pratica del vegetarianesimo per essere il frutto di una matura ricerca spirituale. Essa dovrebbe piuttosto essere il risultato di una profonda comprensione dell’unità della vita, dell’interconnessione di tutti gli esseri (pp. 7-9), ed incarnarsi non solo nel modo in cui ci nutriamo, ma in ogni ambito della nostra esistenza, in ogni nostro gesto. Un tal genere di vegetarianesimo, frutto di una esperienza radicalmente non-dualistica della realtà, non potrebbe quindi mai essere il risultato di una imposizione, a se stessi o ad altri, ed il modo migliore di esprimerlo sarebbe quello di viverlo non già con spirito di risentimento e contrapposizione verso i non vegetariani, ma «senza astio e senza aspettative nei confronti di chichessia, come un’espressione spontanea della propria intrinseca sensibilità, o come un utile supporto all’ascesi» (p. 9).

Questo tipo di visione è ribadito nel saggio seguente, intitolato Caccia, animalismo e ricerca del Sé, in cui Gorlani, prendendo spunto da un dibattito interno al mondo del tradizionalismo italiano a proposito del rispetto degli animali e del vegetarianesimo, precisa come il distacco che caratterizza la figura del sapiente in tante tradizioni spirituali d’Oriente e d’Occidente non lo esime dal rispetto di un comportamento etico. Il trascendimento dell’opposizione fra bene e male, come di qualsiasi altra opposizione, attraverso cui è descritta questa figura, infatti, indica non tanto la la libertà dell’io, ossia da ogni freno morale a fare ciò che si vuole perché tanto tutto si equivale, quanto piuttosto la libertà dall’io, ossia da una visione assolutistica e separativa dell’individualità (pp. 14-15). Il saggio non si esime dal comportamento etico, dunque, ma ne fa la conseguenza spontanea di una più matura e profonda visione della realtà e non il frutto di una norma auto-imposta, magari di natura sentimentale.

Per recuperare o ricordare, in senso platonico, questa visione, è importante tornare ad una esperienza contemplativa della natura, che Gorlani delinea nel terzo saggio, Musica, natura e silenzio. La musica a cui si fa riferimento è quella spirituale e consiste in un ricordarsi di Dio, poiché le Muse secondo il mito greco hanno come madre Mnemosine, la memoria, e come padre Zeus, il silenzio. Esse rappresentano dunque, secondo l’Autore, l’intelligenza spirituale in grado di volgere verso l’Assoluto ineffabile (pp. 23-24 e 30-31), perché il silenzio non è solo assenza di parole o suoni, ma sparizione della dualità intrinseca alla manifestazione (p. 26). La parola “natura” può avere molti significati, cui Gorlani fra brevemente accenno, tuttavia in questo contesto essa è considerata, per usare le parole di Goethe, come  la “veste vivente della divinità” (pp. 24-25). I sapienti sanno sempre riaccordarsi con tale musica fino a farsi permeare dalla veste divina della realtà. E’ per tale motivo che spesso sono descritti, a partire da Orfeo, come in grado di comunicare con gli animali.

Questa prospettiva è ancor meglio precisata nel quarto e ultimo saggio della raccolta, Uomo, natura e cultura: dalla natura Dea alla natura oggetto, che è anche il più lungo e che ricapitola molte delle tematiche già trattate in precedenza. Qui, in particolare, la crisi ambientale e di civiltà che caratterizza l’odierna fase della storia umana è messa in relazione dall’Autore con la prospettiva hindu del progressivo allontanarsi da uno stato primordiale, sovra storico. In esso la visione contemplativa sopra delineata si dava come spontanea e la natura era percepita come divina, non come irrimediabilmente separata da se stessi (pp. 37-38 e 59). Tornare alla natura è dunque per Gorlani un tornare a questo grado massimo di comprensione della realtà (p. 41), che può realizzarsi non tanto volgendosi nostalgicamente al vecchio e all’antico, ma riattingendo in ogni momento a quel fondo del reale, sempre presente, che ne costituisce il nucleo più intimo e spontaneo (p. 45).

 

 

            Paolo Vicentini

 

 

 

Giuseppe Gorlani: nato a Longhena (Brescia) nel 1946; dai venti ai trent’anni ha viaggiato e soggiornato in Oriente (Afganistan, Nepal e, soprattutto, India). Da venticinque anni, vive nella Comunità ashramica dei Cavalieri del Sole, tra le ridenti colline ad est di Assisi. Collabora con riviste letterarie e di studi tradizionali; è autore di tre raccolte poetiche (Radici e Sorgenti, 1989, La Porta del Sole, 1990, Nel Giardino del Cuore, 1994), una traduzione dell’opera Nan Yar di Sri Ramana Maharsi col titolo Chi Sono Io? (1995); la raccolta di saggi Il Segno del Cigno – Sulle Tracce dell’Ineffabile, pubblicato una prima volta nel 1999, è in pubblicazione presso La Finestra editrice dove è già comparso il volume di prosa poetica Anatema (2000).