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Un amore di Swann

di Marco Mancassola - 14/07/2007

   
   

Per molto tempo, sono andato a letto tardi. Guardando il mondo attraverso lenti notturne, mi è sempre parso di conoscerlo meglio. Di notte molte cose inutili sono sospese. Di notte le cose sono più nude e più vere. Di notte anche le parole dei libri risuonano più intense. Quando restavo a leggere fino all’alba, mi piaceva sussurrare le frasi nel silenzio. La mia voce suonava solitaria. Di notte si è soli esattamente come di giorno, ma la cosa non sembra poi tanto grave. Di notte sentirsi soli è normale, piacevole quasi.
Marcel Proust scriveva il suo libro di notte, lavorando in modo febbrile, in una stanza dalle pareti rivestite di sughero. Componeva la sua opera sul tempo e la memoria, dando voce al narratore più nostalgico, intimo, tedioso, romantico, minuzioso, frivolo, intenso della storia della letteratura. Arrivai a leggere Proust intorno ai vent’anni. Nonostante l’apparente distanza che mi separava da quel narratore borghese, esteta e lontano nel tempo, Proust mi insegnava a guardare il mondo, a riconoscerlo, rievocarlo, nominarlo. Riconoscevo i personaggi di Proust intorno a me. Riconoscevo le Madame Verdurin, gli Swann, le Odette. Riconoscevo attorno a me le stesse dinamiche, le stesse relazioni, come se quelle relazioni fossero schemi fissi destinati a ripetersi per sempre.
Il primo volume del romanzo-saga di Proust conteneva una sorta di romanzo nel romanzo, Un amore di Swann, tuttora la novella amorosa più necessaria che abbia mai letto. Una storia profetica che contiene in sé ogni altra storia d’amore narrata nel resto dell’opera, e sembra contenere ogni storia d’amore possibile. Quello di Swann per Odette è un amore paradigmatico. Amore insoddisfatto e insoddisfacente, ossessionato dal desiderio di stringere l’oggetto del proprio desiderio, conoscerlo fino in fondo, ed eternamente frustrato dall’impossibilità di farlo. Amore epico, amore banale. Amore inseguito nei salotti, nei riti mondani, come in un palco ambiguo dai troppi sipari, dietro ai quali l’essere amato riesce sempre a nascondersi.
L’oggetto amoroso è per natura colmo di un mistero indecifrabile. Demistificarlo significa smettere di amarlo. Intorno a questo paradigma del romanticismo occidentale Proust costruisce la sua cronaca dettagliata, descrivendo il gioco amoroso come qualcosa di patetico e al tempo stesso abissale. È il 1913 quando questa storia esce per la prima volta. Il Novecento è iniziato da poco. Il secolo brucerà ancora a lungo, come una cometa, con il suo carico di memoria e frustrazione, con tutto il suo desiderio patetico, inutile e struggente.

www.marcomancassola.com (Pubblicato in MADE05, giugno 2007)