Far West iracheno. I veterani Usa dell'Iraq raccontano la quotidianità della guerra
di Alessandro Ursic - 17/07/2007
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Civili uccisi per sbaglio, perché qualcuno si è messo a sparare all'impazzata o perché un veicolo militare prende a tutta velocità la stradina che attraversa un villaggio. Abusi nei confronti dei detenuti anche dopo lo scandalo di Abu Ghraib. Umiliazioni di padri innocenti di fronte al resto della famiglia, o profanazioni dei cadaveri. L'Iraq raccontato dai soldati statunitensi che vi hanno combattuto è un Far West dove chi è più veloce a sparare vive, e dove si può disobbedire alle regole senza paura di venire puniti. Con la pubblicazione di un'inchiesta frutto di un anno di lavoro, con interviste a 50 veterani Usa che sono stati protagonisti o testimoni di molte situazioni raccontate, la rivista The Nation ha cercato di far luce sui tanti crimini di guerra che sfuggono alla giustizia e all'occhio delle telecamere.
![]() Gli arresti e il disprezzo del nemico. Cinque dei soldati intervistati da The Nation hanno detto che la pratica di incappucciare i prigionieri, ufficialmente bandita dopo lo scandalo di Abu Ghraib, continua ancora. Le detenzioni senza prove, e gli abusi sui prigionieri, anche. “Ho visto gente vomitare e urinarsi addosso”, ha ammesso un sergente, “e molte persone venivano arrestate anche solo per avere un poster di Moqtada al-Sadr o di Alì Sistani alle pareti. Noi magari eravamo senza traduttore e non capivamo cosa c'era scritto. Ma li arrestavamo comunque e poi lasciavamo che altri li interrogassero”. Altri soldati sottolineano il disprezzo verso la popolazione locale di molti commilitoni. I termini dispregiativi vanno da “fantini di cammelli” a “negri color sabbia”, a “Jihad Johnny”. Ma il più comune sembra essere “haji”, il pellegrinaggio sacro alla Mecca che nel gergo cameratesco diventa epiteto. “Insultandoli, non sono più persone. Sono solo oggetti”, chiosa un militare.
![]() I checkpoint. Situazioni simili si verificano ai posti di blocco, che vengono spostati continuamente (per motivi di sicurezza) e spesso, per ammissione dei soldati intervistati, sono mal segnalati. Così, può capitare che chi sta al volante non riconosca da lontano i segnali di avvertimento. “C'è anche confusione tra i nostri gesti e i loro”, ammette un militare. “Quando noi facciamo segno di fermarsi con la mano, alcuni lo intendono come un saluto, o un cenno di farsi avanti”. “Inizi a pensare che chiunque sia un criminale. Sarà una macchina piena di esplosivo? O il guidatore è solo confuso? Sparo per farlo fermare o sparo per uccidere?”, dice un soldato. Molti innocenti sono morti così, scioccando anche diversi soldati che sono stati testimoni. Ma non tutti: “Se questi fottuti haji imparassero a guidare, questa merda non succederebbe”, disse un colonnello ai suoi soldati dopo uno di questi episodi.
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