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La donna ed il suo abbigliamento: altra sfida tra Occidente e Islam

di Massimo Fini - 24/07/2007

In questi giorni sono avvenuti due fatti in così stridente contrasto fra loro da aiutarci a riflettere su alcune questioni di fondo del nostro tempo. Da una parte Monia Mzoughi, moglie dell'ex imam di Cremona è stata rinviata a giudizio dalla Procura di quella città per aver accompagnato i figli all'asilo indossando il burqa, dall'altra il Financial Times, seguito a ruota dal ministro Amato, ha criticato aspramente l'uso spregiudicato che in Italia si fa del corpo della donna da parte della pubblicità, della stampa, della Tv, dei film, esponendolo nudo o seminudo. Io aggiungerei qualcosa che nè il Financial Times nè Amato hanno osato dire: che quest'uso spregiudicato e strumentale del corpo femminile non può essere fatto ricadere solo sui media, ma riguarda la donna stessa che, anche al di fuori del mondo mediatico, si è abituata ad andare in giro, come diceva una mia fidanzata fiorentina, «con i belichi e i sederi di fuori».
Sgombriamo subito il campo da alcune questioni preliminari. Il rinvio a giudizio di Monia Mzoughi, anche se appare un pò grottesco, è legittimo perchè in Italia esiste una legge che proibisce di circolare a volto coperto. E gli immigrati che vengono da noi hanno il dovere di rispettare le nostre leggi, anche se contrarie ai loro costumi, così come noi quando mettiamo piede in un Paese diverso dal nostro abbiamo il dovere di rispettare le sue leggi.

Questione diversa è se l'immigrato in Italia possa conservare i propri usi e costumi, là dove non violano le nostre leggi, o debbano in qualche modo integrarsi, come qualcuno pretende. A me pare fuori discussione che l'immigrato abbia diritto di mantenere, se lo desidera, i propri usi e costumi, i legami con le proprie radici e di non integrarsi. Del resto ci sono italiani che vivono negli Stati Uniti da generazioni senza spiccicare una parola d'inglese, così come, in genere, gli ebrei sparsi per il mondo conservano fortissimi legami con la propria tradizione e in alcuni casi, come in Italia, si fanno per loro leggi speciali per permettergli di mantenere le proprie usanze.

Detto questo non si può negare che la questione dell'abbigliamento femminile nasconda un ben più profondo "scontro di civiltà" che non riguarda l'Italia e l'Islam , come pensano, in modo provinciale, il Financial Times e Amato, ma l'Occidente e l'Islam . Dall'Illuminismo in poi l'Occidente ha fatto della libertà individuale, dell'uomo e poi, più faticosamente, della donna, in un processo che però, per quanto riguarda quest'ultima, appare ormai totalmente compiuto, un punto cardine. E' una scelta. Che ha però delle conseguenze di cui non ci si può poi lamentare: la fine della famiglia patriarcale e, alla lunga, della famiglia tout court, l'abbandono degli anziani a se stessi e anche, fra le altre cose, il dominio del corpo femminile esibito in tutti i modi. In un sistema dove il denaro è tutto non ci si può meravigliare che le ragazze, italiane e non, vogliano fare le veline mercificando, per libera scelta, il loro corpo, quando questo significa ricchezza e successo.

Il mondo islam ico, come altre culture tradizionali, privilegia invece sulla libertà individuale i legami familiari, clanici, etnici. E' una scelta. Che ha anch'essa le sue conseguenze fra cui c'è quella di inchiodare la donna al ruolo di madre e di moglie e di impedirle di esibire la sua esplosiva femminilità considerata, in quella cultura, pericolosa perchè disgrega la famiglia, che sempre in quella cultura, è il valore massimo, più della libertà.

Dove è difesa meglio la dignità della donna? Là dove si esibisce il suo corpo, per sua libera scelta, a pezzi e bocconi, come quarti in macelleria, o là dove le si impedisce di farlo?

Lascio questo "busillis" al lettore. Quello che voglio qui dire è che è assurdo, protervo, totalitario pretendere che la donna musulmana, in nome della libertà, si omologhi a quella occidentale, come stiam facendo noi da qualche tempo con una incessante campagna ideologica e, da ultimo, anche con le bombe. Ogni sistema sociale, come spiega l'antropologo Lévi-Strauss, ha i suoi pesi e contrappesi, le sue compensazioni interne, i suoi limiti e i suoi pregi. E ogni popolo ha diritto di scegliere il tipo di vita che meglio si attaglia alla propria storia, alle proprie tradizioni, alle proprie convinzioni, ai propri vissuti. Ai musulmani il loro. A noi il nostro.