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A cosa fu dovuta la pazzia di Carlo VI di Valois?

di Francesco Lamendola - 25/10/2007

 

 

Nel luglio del 1392 Carlo VI, re di Francia, è  partito a cavallo con la sua scorta per raggiungere l'esercito e guidare personalmente le difficili operazioni militari contro gli Inglesi, temibili avversari con i quali è in corso la Guerra dei Cent'Anni. Figlio di Carlo V e di Giovanna di Borbone, salito al trono nel 1380 - quando aveva appena undici anni -, ed uscito di minorità nel 1388, è un sovrano particolarmente popolare (passerà alla storia come il beneamato, almeno nella prima fase del suo regno), e tuttavia il suo animo non è affatto sereno. Oltre alle preoccupazioni causate dall'andamento poco favorevole della guerra, con le possenti cariche della cavalleria feudale francese che vengono regolarmente stroncate dalla pioggia di frecce degli implacabili arcieri inglesi, egli sospetta che il tradimento si annidi nella sua stessa corte e mini dall'interno la prosperità e la sicurezza del regno.

Poco prima di partire per la guerra, il suo amico e consigliere Olivier di Cisson è sfuggito di misura a un mortale attentato tesogli da Pierre de Craon, che poi è riuscito a rifugiarsi in Bretagna (regione che, allora, era di fatto semi-indipendente dall'autorità di Parigi; del resto, lo Stato moderno, capace di esercitare la propria giurisdizione sull'intero territorio, era una realtà ancora di là da venire). L'episodio ha fortemente colpito la sensibilità del monarca, che sta maturando quella che, probabilmente, nel linguaggio psicologico moderno, si chiamerebbe una mania di persecuzione: nel corso dell'inchiesta, infatti, ha mostrato di essere estremamente agitato e, talvolta, si è abbandonato a discorsi sconnessi. Animato da un forte senso del dovere, è voluto partire ugualmente, il 1° luglio 1392, per raggiungere il quartier generale delle truppe; ma ecco che, mentre la comitiva sta attraversando una cupa foresta, un uomo - uno sconosciuto -, scalzo e con gli abiti a brandelli, afferra le briglie del suo cavallo e gli grida questo terribile ammonimento: «Non cavalcare oltre, nobile re. Torna indietro! Sei stato tradito». Benché gli uomini di scorta lo percuotano e cerchino di allontanarlo, per circa mezz'ora quello continua a correre a fianco del re, seguitando a gridargli, instancabilmente, il suo monito.

Infine, a mezzogiorno, il gruppo esce dalla foresta e rivede il caldo sole d'estate. Ma, a quel punto, un paggio, vinto dalla sonnolenza, lascia cadere la lancia del re che cade, con un forte rimbombo, sull'elmo d'acciaio di un altro scudiero. A quel punto il re sobbalza sulla sua cavalcatura, sguaina la spada e, gridando qualcosa come: «Avanti contro i traditori! Vogliono consegnami al nemico!», si mette a menare terribili fendenti, uccidendo e ferendo alcuni uomini del suo seguito. Solo con fatica riescono a disarmarlo e a immobilizzarlo; dopo di che, egli cadde in uno stato di stordimento e di profonda apatia.

Da allora, e per tutto il re della sua vita, Carlo VI sarebbe diventato il pazzo, alternando inesplicabilmente accessi di furore e periodi di relativa tranquillità. Nel corso delle sue crisi arriva a scordare ogni cosa, a dimenticare perfino chi sia e a fuggire dai suoi familiari, in particolare dalla moglie, la fredda e ambiziosa Isabella di Baviera, della casa di Wittelsbach. A volte crede di essere diventato di vetro, e teme di potersi spezzare; altre volte si aggira per le stanze ululando come un lupo; altre volte ancora rifiuta di farsi il bagno, per settimane e mesi. Vengono chiamati i più famosi medici e guaritori, ma nessuno riesce a fare una diagnosi convincente e nessuno sembra in grado di guarirlo.

Si sussurra anche che Carlo VI sia caduto vittima di un maleficio per opera di sua cognata, Valentina Visconti, moglie di suo fratello Luigi. I Visconti sono noti in tutta Europa per le pratiche di magia nera; del padre di Valentina, Gian Galeazzo,  signore di Milano, si dice che sia un esperto mago e negromante; come lo erano stati, del resto, i suoi avi. di Matteo Visconti si sapeva che aveva cercato di coinvolgere addirittura Dante Alighieri in una operazione di stregoneria per uccidere il papa di Avignone, Giovanni XXII: ne abbiamo parlato specificamente, a suo tempo, in due saggi danteschi: L'esoterismo di Dante (1) e «La Quaestio de Aqua et Terra» di Dante Alighieri. (2) Si trattava di una fattura di morte operata da un medico di nome Pelacane, ma alla quale avrebbe dovuto partecipare anche un chierico milanese di nome Bartolomeo Cagnolati (il quale, poi, corse alla curia di Avignone a riferire tutto), che viene così descritta dallo scrittore Cesare Marchi:

 

"Arrivato a palazzo, il Visconti gli mostrò [cioè, mostrò al Cagnolati], presenti il giudice Scotto e il medico Pelacane, una statuina d'argento, alta una spanna, raffigurante un uomo nudo.

"Sulla fronte erano incise le parole Jacobus, papa Johannes (Giacomo era il nome di battesimo del Pontefice), sul petto il nome d'un terribile demonio, che faceva accapponare la pelle soltanto a pronunciarlo, Amaymon. (…)

"Per nove notti consecutive la statuina, sulla quale era stato aggiunto il nome di una seconda potenza infernale, Meryon, venne suffumigata col rituale accompagnamento di rituali invocazioni ai demoni, la sera dopo il tramonto, la mattina al sorger del sole.

"La sera di sabato 12 gennaio del 1320, terminate le suffumigazioni preliminari, si passò all'operazione più importante, il riempimento. Attraverso un minuscolo foro praticato nella nuca, il fattucchiere versò succo di napello, chiuse il foro con un piccolo coperchio e mise la statuina all'aperto, per settantadue notti, trascorse le quali la statuina venne posta sul fuoco, perché si liquefacesse il contenuto.

"A mano a mano che il velenoso succo si discioglieva, si sarebbe consunto e distrutto, a dieci cento mille chilometri di distanza, il corpo della persona effigiata, nel caso nostro il romano Pontefice, residente ad Avignone." (3)

 

Sia detto per inciso, la fattura non era riuscita e Giovanni XXII non morì affatto; ciò non toglie che simili pratiche di stregoneria, tuttora in uso presso i popoli "primitivi", ma anche nella nostra società razionalista e materialista (assai più di quel che non si creda), siano ritenute potenzialmente efficaci da un gran numero di persone; e, nel Medio Evo, praticamente da tutte. (4)

Gli studiosi moderni, naturalmente, non hanno dato alcun peso alle voci di maleficio e si sono sforzati di formulare una diagnosi "scientifica" della malattia mentale di Carlo VI, dividendosi fra l'ipotesi  dell'epilessia (sua madre, Giovanna, ne aveva sofferto, ma solo per un breve periodo, in stato di gravidanza), quella della schizofrenia e quella della psicosi maniaco-depressiva. Recentemente, in un articolo apparso sulla rivista di psicologia Mente & cervello, lo psichiatra Vittorino Andreoli ha ripreso in mano la vicenda e ha formulato, anch'egli, la sua diagnosi circa il male di cui avrebbe sofferto lo sfortunato re di Francia: schozofrenia paranoidea. (5) Riportiamo le sue testuali parole:

 

"La malattia di Carlo Vi è stata presa in considerazione anche dalla psichiatria moderna. Ne1 1904 Auguste Brachet parlò di psicosi. Nel 1986 lo storico Richard Famiglietti raccoglie le ipotesi dei membri dell'American Psychiatric Association e riferisce che la diagnosi più probabile era di schizofrenia. Da allora, molti psichiatri hanno emesso diagnosi che rientrano nella schizofrenia o nella psicosi maniaco-depressiva.

"È inevitabile che anch'io aggiunga la mia, che tiene conto fondamentalmente di tre elementi: l'assenza nelle cronache, pur dettagliate, del termine 'melanchonia', nota già nel linguaggio ippocratico e che dunque sarebbe stata facile da rilevare se ve ne fossero stati i segni; la presenza di una vera e propria dissociazione, che non permette al re di riconoscere la sua stessa identità oltre a quella degli altri; le crisi di furore, che esprimono un delirio di tipo persecutorio. Sulla base di questi tre elementi, e delle osservazioni già emerse, la diagnosi probabile è di schizofrenia paranoidea, che ha un andamento a crisi in cui il re si trova negli ultimi anni della sua esistenza."

 

Quanto a noi, non vogliamo certo entrare nel merito di questa disputa, resa particolarmente surreale dal fatto che è un'impresa ben ardua quella di formulare una diagnosi psichiatrica a più di sei secoli di distanza. Ma siamo ormai abituati, negli ultimi tempi, ad assistere a tentativi ancor più discutibili da parte di storici, medici, archeologi: come quello di stabilire se un certo faraone (o se "Otzi", l'uomo ritrovato nel ghiaccio di Similaun) morì assassinato o di morte naturale, studiandone i resti fossilizzati e, quindi, profanando tombe e manipolando cadaveri con la massima disinvoltura, cosa di per sé imprudente oltre che moralmente discutibile. (6)

Quel che desideriamo fare è richiamare l'attenzione sul fatto che, per uno scienziato dei nostri giorni, l'ipotesi che Carlo VI sia stato vittima di un'operazione di magia nera è semplicemente da non prendersi neppure in considerazione. Non perché manchino gli indizi che vadano in una simile direzione, ma perché essa esula totalmente dal paradigma di pensiero unico all'intero del quale gli scienziati oggi si muovono e travalica il loro orizzonte concettuale. Che esista una realtà preter-naturale, oltre che soprannaturale, non possono prenderlo in considerazione nemmeno come ipotesi di lavoro; e ammettere che la magia, praticata per millenni dall'umanità, possa avere una efficacia reale, sembrerebbe loro uno scadimento e una resa completa della ragione, un salto a ritroso nel buio dell'ignoranza e della superstizione.

Eppure, ripetiamo, non sono pochi gli elementi che, nel caso specifico della follia di Carlo VI, suggerirebbero ipotesi diverse da quelle della "normale" malattia mentale (espressione del resto talmente vaga da includere tutto e il contrario di tutto, tanto che molti psichiatri preferiscono ormai evitarla, per non trovarsi in imbarazzo, limitandosi a parlare di "disturbi", "sindromi", "patologie" e via dicendo).

Pochi mesi dopo il primo attacco del suo male, Carlo VI era scampato alla morte per miracolo allorché, durante un ballo mascherato voluto da Isabella di Baviera, nonostante i medici le avessero raccomandato di far vivere il marito in tranquillità e riposo. Il re e altri cinque nobili, vestiti in costume da selvaggi e incatenati l'uno all'altro, stavano danzando per festeggiare il matrimonio di una damigella di corte, allorché una torcia recata da suo fratello Luigi diede fuoco all'abito di uno di essi. In pochi istanti le fiamme divamparono e bruciarono vivi gli sventurati, mentre il solo Carlo fu salvato dal pronto intervento di sua zia,  la duchessa di Berry, la quale - mentre tutti perdevano la testa - conservò abbastanza sangue freddo da gettargli addosso un abito, soffocando le fiamme. Più tardi Luigi ebbe una relazione con la regina e questo ci riporta alla presenza a corte della moglie di lui, Valentina Visconti, chiamata da tutti (dietro le spalle) "la strega lombarda".

Il  tragico incidente delle torce umane ebbe luogo nel gennaio del 1393. In giugno Carlo, durante le faticose trattative diplomatiche con gli ambasciatori inglesi, ebbe una grave ricaduta e, perduta la memoria, disse di chiamarsi Giorgio, di non avere moglie e di avere come simbolo araldico un leone trafitto da una freccia, Non voleva neppur vedere Isabella, mentre cercava la compagnia della cognata, Valentina, e s'intratteneva con lei nel gioco delle carte, cosa che sembrava avere su di lui un effetto rilassante.

Finalmente venne chiamato a corte un mago: perché i medievali erano uomini pratici e, se la scienza "ufficiale" falliva, non esitavano a ricorrere alle pratiche alternative; cosa che oggi si fa ancora, ma solo di nascosto, in omaggio alla tirannia del pensiero unico scientista. Il mago era Arnauld Guillaume, che possedeva un libro, intitolato Smaragd, mediante il quale sosteneva di poter eseguire qualunque operazione; e, dopo aver visitato il sovrano, egli sostenne con sicurezza che questi era vittima di una stregoneria. In realtà, nemmeno Guillaume riuscì a guarire Carlo, con o senza l'aiuto del suo libro prodigioso; però la sua diagnosi giungeva a confermare i sospetti che già aleggiavano intorno a Valentina.

Questi si basavano sui seguenti elementi: 1), il padre di lei, Gian Galeazzo, e i Visconti in generale erano esperti cultori di magia nera (tanto che Gerardo d'Armagnac si era fatto fare da loro, a Milano, delle statuette di cera che, trafitte da spilloni, dovevano provocare la malattia e la morte dei suoi avversari); 2), se Carlo fosse morto o fosse stato definitivamente interdetto, la corona sarebbe passata a suo fratello Luigi, marito di Valentina, e quest'ultima avrebbe potuto così regnare de facto per mezzo di lui; 3) il re rifiutava la compagnia della moglie Isabella, mentre passava molto tempo con la cognata, la quale aveva - così - l'occasione - oltre che il movente - per "fatturarlo".

Tutti questi sospetti nascevano dalle voci messe in giro dai due personaggi principalmente  interessati al prolungarsi della malattia di Carlo e a scaricarne la responsabilità su Valentina Visconti: Filippo II di Borgogna (detto l'Ardito), reggente al trono durante gli attacchi del povero malato, e sua moglie  Margherita di Fiandra. Ma nascevano anche dalla nomea di temibili stregoni dei Lombardi in generale, e dei Visconti in particolare. Ora, circa la diagnosi della "malattia" di Carlo VI non resta che prendere posizione pro o contro la possibilità che un male intermittente e stranissimo, come quello descritto dai cronisti dell'epoca, sia di origine magica o preter-naturale, anziché solo e unicamente naturale. I moderni psicologi e psichiatri, come si è detto, rigettano con sdegno anche solo una ipotesi del genere, per un pregiudizio - in realtà, antiscientifico - derivante dalla loro formazione accademica e dal loro stesso orizzonte culturale.

Ma è giusta una simile esclusione a priori? Noi non ne siamo convinti; e, per concludere, vogliamo citare uno dei massimi esperti in materia, J. Finley Hurley, autore di un testo che si raccomanda per la mirabile chiarezza espositiva non meno che per la lucidità dell'analisi del fenomeno magico e per la ponderatezza dell'argomentazione:

 

"Naturalmente sorge il problema sulla possibile esistenza di un corpo di conoscenza magica che si sia sviluppato contemporaneamente, diciamo, all'ingegneria navale, all'arte del vetro o alla fabbricazione della birra, ed essenzialmente nello stesso modo. In altre parole, mentre maligni contadini strofinavano della saliva su bambole, possono esservi state persone che sapevano realmente quel che stavano facendo. Abbiamo visto che la stregoneria può essere messa su basi scientifiche. Questo è stato già fatto? È possibile uno sviluppo, sia pure clandestino, della scienza o della tecnologia del magico, ossia della stregoneria? Una stregoneria superiore alle semplici tecniche che abbiamo visto quanto un missile intercontinentale è superiore a una lancia alla punta di pietra? Non è cosa che possa essere esclusa.

"L'esistenza di un sistema magico di alta efficacia deve essere ritenuta possibile. Ma quanto potremo conoscere di questa esistenza? Gli stregoni hanno sempre tenuto la segretezza, e sono sempre rifuggiti dal riconoscimento e dalla popolarità come i musulmani dalla carne di maiale. Gli esibizionisti, naturalmente, vorranno avere un pubblico, e ogni tanto sono stati impiccati per questo. Lo stregone esperto, d'altra parte, molto probabilmente si stancherà dei beni che il mondo gli può offrire mentre passa liberamente fra i suoi simili meno privilegiati come un uomo dotato della vista fra i ciechi. La società non può dargli nulla che egli non possa ottenere facilmente da solo. Come potremmo farlo uscire dal suo sicuro rifugio per lasciarsi studiare dai nostri benevoli scienziati? Troverà piacevole diventare una celebrità e apparire alla televisione? Ammettendo che vi sia fra noi un abile stregone che si lasci attrarre da tutto questo (non tutti possono essere intelligenti) può avere dei colleghi che non lo approveranno.

"Forse vi è un'Istituzione, un'eminenza grigia che non sospettiamo, la cui mano si stende dappertutto. Non dovrebbe sforzarsi. Una spintarella qua, una piccola modificazione là, e la storia umana si svolgerebbe secondo il suo desiderio. Questa è, naturalmente, una variante della teoria della storia come cospirazione, oggi così impopolare nei circoli ufficiali. Al solo menzionarla le autorità si agitano come un albero pieno di scimmie urlatrici." (7)

 

Forse, se esiste questa eminenza grigia, se è sempre esistita, episodi storicamente quasi inspiegabili, come la follia improvvisa e devastante di Carlo VI, con tutte le sue drammatiche conseguenze politiche (basti dire che due anni prima di morire, nel 1420, egli diseredò il figlio e designò quale erede e successore il re d'Inghilterra Enrico V) possono venir letti in una luce nuova. Forse la magia nera è stato un elemento attivo nella storia del mondo - e, sia detto tra parentesi, il terrore della stregoneria che si abbatté sull'Europa tra la fine del Medioevo e il XVII secolo, non fu semplicemente l'incubo di una umanità impazzita o il calcolo cinico e spietato di una chiesa avida di potere, ma qualche cosa che nasceva da un dato reale.

Forse quella eminenza grigia è ancor attiva: e questa ipotesi potrebbe gettare un po' di luce su una serie di fatti della storia contemporanea i quali, diversamente, risultano particolarmente difficili da spiegare, specialmente partendo dai pregiudizi razionalistici e materialistici che gli storici odierni, come i loro colleghi scienziati  (ai quali si sforzano in ogni modo di assomigliare) considerano parte integrante della loro "serietà" professionale.

 

NOTE

 

1)      Lamendola, Francesco, L'esoterismo di Dante, in Atti della Società Dante Alighieri di Treviso, vol. V, 2006; e in Quaderni dell'Associazione Filosofica Trevigiana, n. 4, 2004.

2)      Lamendola,  Francesco, La «Quaestio de Aqua et Terra» di Dante, in Atti della Società Dante Alighieri, vol. VI, 2008.

3)      Marchi, Cesare, Dante in esilio, Milano, Longanesi & C., 1976, pp. 143-144.

4)      Lamendola, Francesco, Il giardino d'inverno, in  Graal, n. 9, 2004.

5)      Andreoli, Vittorino, Il re che perse il senno, in Mente & cervello, n. 33, 2007, pp. 12-13.

6)      Lamendola, Francesco, Quando gli archeologi scherzano col fuoco, sul sito Internet di Arianna Editrice.

7)      Finley Hurley,J., Stregoneria, Milano, Armenia Editore, 1986, pp. 235-236.