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«Italiani, brava gente?»

di Neri Pozza Editore - 27/12/2005

Fonte: Comedonchisciotte

 

Angelo Del Boca racconta stragi, aggressioni, razzismo, truppe mandate al macello Italiani feroci in guerra? Come gli altri. Cade il mito della «brava gente», ogni popolo ha i suoi orrori

Fra le tante brutte immagini del XX secolo, una delle più crudeli è il viso stravolto di un guerrigliero vietcong nel momento in cui il capo della polizia di Saigon lo uccide con un colpo di pistola alla tempia. Quella fotografia fu più efficace di qualsiasi analisi politica e convinse milioni di americani e di europei che gli Stati Uniti stavano facendo in Vietnam una guerra sbagliata. Ma in un libro apparso qualche anno fa Giovanni Sartori ci spiegò che il nostro giudizio sarebbe stato probabilmente diverso se un più largo campo visuale avesse incluso nell’immagine i corpi straziati degli uomini e delle donne che il guerrigliero aveva ucciso poco prima con un attentato terroristico. Avremmo provato lo stesso orrore, ma avremmo meglio compreso, se non approvato, la rabbia del giustiziere. Ho ricordato la fotografia e l’analisi di Sartori mentre leggevo Italiani, brava gente? che Angelo Del Boca ha pubblicato presso Neri Pozza Editore. Del Boca è oggi, insieme a Nicola Labanca, il migliore conoscitore della storia coloniale italiana. Con la precisione dello studioso e l’insaziabile curiosità del giornalista, ha scavato negli archivi italiani e stranieri, ha visitato i Paesi che fecero parte del nostro impero coloniale, ha interrogato i testimoni, ha letto la corrispondenza e i diari di coloro che furono a vario titolo protagonisti delle nostre avventure. E si è servito della documentazione raccolta per smontare, un pezzo alla volta, le troppe leggende gloriose che hanno nascosto per parecchie generazioni alcuni brutti capitoli di storia nazionale, dai primi scandali in Somalia alla battaglia di Adua, dalle brutali repressioni in Tripolitania dopo l’inizio della guerra italo-turca alla sanguinosa riconquista della Cirenaica negli anni Venti, dall’uso dei gas in Etiopia alle feroci rappresaglie dopo l’attentato di Addis Abeba contro il generale Graziani nel febbraio del 1937.
Ma questo libro, a differenza di quelli che lo hanno preceduto, non concerne soltanto la storia coloniale. Qui Del Boca estende il suo sguardo alle altre guerre e spedizioni militari della storia nazionale: la lotta contro il brigantaggio dopo l’Unità, l’invio di un corpo in Cina durante la rivolta dei boxer, la inumana strategia di Cadorna sul fronte dell’Isonzo durante la Grande guerra, il regime di occupazione italiano in Slovenia dal 1941 al 1943. Lo scopo del libro è implicito nel suo titolo. Del Boca vuole dimostrare che esiste nella storia nazionale un inquietante filo continuo rappresentato da crudeltà, cinismo, imperizia, brutalità, razzismo, gusto della violenza, piacere della vendetta. Non gli basta demolire il mito dell’Italia umana e bonaria. Vuole provare che il mito nasconde i villaggi distrutti della Basilicata, i campi di detenzione per i resistenti libici, l’impiccagione dei ribelli, lo spietato uso della «carne da cannone» durante la Grande guerra, il massacro dei monaci copti di Debrá Libanós, il feroce trattamento dei partigiani sloveni durante la Seconda guerra mondiale.
È difficile cogliere Del Boca in fallo o negare che questo libro rappresenti uno straordinario bucato della coscienza nazionale.
Eppure l’effetto, alla fine, è quello della fotografia di Saigon. Giungeremmo alle stesse conclusioni se l’autore avesse incluso nel campo visuale della sua ricerca altri capitoli del colonialismo europeo e americano dall’Ottocento al Novecento? Ci batteremmo il petto con lo stesso sentimento di colpa se avessimo di fronte agli occhi, leggendo il suo libro l’eliminazione degli aborigeni in Australia e degli indiani negli Stati Uniti, le torture dei francesi in Algeria, quelli degli olandesi a Giava, dei portoghesi in Mozambico, dei belgi nel Congo, dei tedeschi in Togo e in altre province dell’Africa Orientale? Saremmo altrettanto severi con la politica di Graziani in Cirenaica se ricordassimo le misure repressive e le carestie con cui gli inglesi si sbarazzarono degli irlandesi, i francesi degli abitanti della Costa d’Avorio, i tedeschi degli herero africani e Stalin degli ucraini? Continueremmo a condannare Cadorna con la stessa severità se ricordassimo le divisioni gettate allo sbaraglio sul fronte occidentale dai generali francesi, inglesi, tedeschi? Lo stesso Del Boca, con grande schiettezza, fornisce spunti a questo esercizio comparativo là dove ricorda un episodio della rivolta dei boxer.
Quando si diffuse la notizia che i ribelli si erano concentrati nel villaggio di Tu-Liu, un corpo anglo-italiano, comandato dal generale Dorwald, raggiunse rapidamente la zona. Non trovò nessuno, ma secondo il resoconto di un tenente colonnello italiano, Tommaso Salsa, «gli inglesi, ligi ai loro metodi, hanno seminato la distruzione sulla città colpevole che dopo essere stata completamente abbandonata al saccheggio fu bruciata completamente e con metodi scientifici». A queste osservazioni Del Boca potrebbe rispondere che gli inglesi, a differenza degli italiani, non pretendevano di essere «brava gente». Forse. Anch’essi, tuttavia, erano convinti di essere chiamati a portare la civiltà nel mondo.


Angelo Del Boca, «Italiani, brava gente?», Neri Pozza Editore, pagine 318