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Draghi e bisce

di Fabrizio dell'Orefice - 04/01/2006

Fonte: iltempo.it

 

 
 
Due giorni fa in consiglio dei ministri ha detto di sì, come tutti gli altri. E ha sorriso, Mario Landolfi (An), ministro delle Comunicazioni. Forse in passato non avrebbe fatto lo stesso. E forse non gli è proprio passato per la mente che undici anni fa contro Mario Draghi la sua protesta fu durissima. O forse se n'è ricordato, visto che è uno dei pochi esponenti di governo che non ha rilasciato dichiarazioni. Lui, Landolfi, nel maggio del '94 accusò Draghi di «svendere l'Italia». Sembra un'altra era geologica, bisogna contestualizzare. L'attuale ministro, finiano doc, era appena stato eletto deputato - un po' a sorpresa - di An. Era a quel tempo molto legato a un vecchio leader della destra napoletana, Antonio Parlato, avvocato marittimista e collezionista di Pulcinella, suo capocorrente e in quell'anno sottosegretario al Bilancio. Proprio Parlato aveva intrapreso una furibonda campagna contro le privatizzazioni varate dal governo Amato due anni prima e proseguite dal successivo esecutivo Ciampi. Al centro delle polemiche c'era la crociera organizzata proprio da Draghi, allora direttore generale del Tesoro, sul Britannia, la nave della famiglia reale inglese. A bordo salirono i vertici delle aziende statali prossime ad essere messe sul mercato da un lato; banchieri, businessmen e imprenditori per lo più anglosassoni e olandesi, dall'altro. La destra accusava che fosse stata architettata a tavolino la maxicessione di pezzi dello Stato a buon mercato. Parlato fu il capofila con una serie di interrogazioni. D'accordo con lui Paolo Cirino Pomicino, allora estromesso dal dicastero di via XX settembre e travolto dalle inchieste giudiziarie.

Altra voce fuori dal coro fu un semisconosciuto deputato democristiano, Raffaele Tiscar, anche lui contro l'accordo del Britannia. E Tiscar fu anche il primo che chiamò in causa il finanziere americano George Soros di aver avviato un attacco speculativo alla lira tra la fine del '92 e la prima parte del '93.

Che si sarebbe deciso sempre a bordo del Britannia. A dare manforte alle accuse degli allora missini ci pensò un rapporto di un'agenzia di stampa, Eir (Executive intelligence review), che rivelò proprio l'assalto alla nostra moneta come propedeutico alle dismissioni, avvalorando la tesi che tutti i mali provenissero dal summit sul Britannia. Il rapporto viene rilanciato da un altro giornale di destra, L'Italia settimanale, a quel tempo diretto di Marcello Veneziani, il quale su Libero ieri ha ricordato: «Si può ben dire che la svendita dell'economia italiana, giusto nell'anno di Tangentopoli, fu un atto di pirateria internazionale. Non a caso avvenne in nave».

Ad inizio del '94, vince Berlusconi, nasce il governo e Parlato, prima ancora di mettere piede al Bilancio (il 14 aprile), avverte: «Il nuovo governo, se vorrà instradare su un percorso virtuoso il cammino delle privatizzazioni, dovrà fare a meno del ruolo sin qui svolto al riguardo dal direttore generale del Tesoro Mario Draghi». E ricorda di «aver denunciato nella scorsa legislatura come le privatizzazioni siano state effettuate mercé vere e proprie svendite della partecipazione pubblica, con la torbida intromissione di banche d'affari internazionali e ad acquirenti per lo più multinazionali, portatori di interessi del tutto contrastanti con quelli italiani». Un mese dopo il deputato napoletano diventa sottosegretario al Bilancio, un ruolo che lo limita negli attacchi verso un direttore generale di un altro dicastero. E allora tocca al giovane Landolfi, in coppia con un altro parlamentare, Michele Rallo. I due presentano tre interrogazioni parlamentari (due al premier e una al ministro degli Esteri) chiedendo di intervenire contro la «svendita di Stato decisa sul Britannia». E sollecitano il premier a spiegare, tra l'altro, «quali posizioni fossero state espresse dai rappresentanti italiani e se queste fossero compatibili con la politica del governo». Chiedono se «la magistratura romana abbia aperto una indagine». E reclamano «opportune, immediate, esaurienti spiegazioni» all'ambasciatore di Gran Bretagna. Passano ancora alcuni mesi e il 19 settembre Parlato tira fuori un dossier di economisti, consulenti di Bankitalia, che accusano il governo: Spaventa, Modigliani, Cassese e Sylos Labini. E aggiunge il nome di Draghi che «non ha sparato ma il suo ruolo nel sistema italiano è discutibile». Perché, a suo dire, avrebbe dato il via a un «progetto Ciampi di privatizzazioni selvagge, funzionali alla finanza derivata, nei cui confronti - spiegava Parlato - il Pds ha svolto un ruolo di copertura, reciprocamente ricambiato dai massimi esponenti della finanza derivata stessa». Il giorno dopo il ministro del Tesoro, Lamberto Dini, in una lunga nota riconferma la fiducia incondizionata a Draghi. Tre mesi dopo il governo Berlusconi cade, il futuro Governatore resta in quel posto per altri sette anni.