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Cosa succede in Colombia

di Davide Piccardo - 15/01/2008


Dopo la liberazione di due prigioniere, forte del successo diplomatico, Chavez irrompe sulla scena colombiana e chiede di riconoscere ai movimenti guerriglieri lo status di belligeranti.


Lo scambio umanitario non c’è ancora ma qualcosa si è mosso

Dopo mesi di trattative accompagnate da continui colpi di scena due prigioniere delle FARC sono state liberate.
Apparentemente il processo che voleva portare ad un accordo tra il governo colombiano ed il gruppo guerrigliero per liberare 45 prigionieri in mano alle FARC e 500 prigionieri detenuti nelle carceri colombiane è terminato.
La liberazione di Clara Rojas e Consuelo Gonzalez rappresenta secondo le FARC un riconoscimento all’impegno del presidente venezuelano Hugo Chavez.
Il governo colombiano è stato trascinato in questo processo dalle pressioni internazionali, soprattutto francesi, ma pur non potendosi tirare indietro, il presidente Alvaro Uribe, ha cercato di boicottare in tutti i modi la mediazione portata avanti da Chavez e dalla senatrice Piedad Cordoba.
La strategia di Uribe si basa su una crescente militarizzazione del territorio, seguendo le dottrine militari di controguerriglia elaborate dalla famigerata Escuela de las Americas
[1]: espulsione di massa della popolazione dalle zone di conflitto, utilizzo di gruppi paramilitari ai quali vengono assicurati sostegno ed impunità e militarizzazione della popolazione.
Per essere più espliciti i paramilitari sono responsabili di più del 70% delle violenze e delle violazioni dei diritti umani: massacri di intere comunità, lo sgombero forzato di intere regioni, innumerevoli assassini politici e violenze di ogni tipo.
Quello che più colpisce della loro azione è però la crudeltà e la ferocia che li contraddistingue, il loro marchio è la motosega utilizzata per uccidere le vittime provocando più dolore e terrore possibile. Le loro vittime oltre ai malcapitati contadini, sono tutti quelli che si oppongono all’ingiustizia sociale, alla prepotenza: sindacalisti, attivisti per i diritti umani, esponenti politici di sinistra e magistrati troppo audaci.

La formazione dei gruppi paramilitari risponde a molteplici interessi. Queste formazioni armate hanno difeso interessi di narcotrafficanti, speculatori grandi proprietari terrieri e multinazionali come Chiquita Brands, Coca Cola e Nestlè, hanno operato per conto dello Stato ed agito godendo della complicita delle forze armate colombiane, spesso in aperta coordinazione con l’esercito.

Il pensiero uribista prevede la guerra come politica, la ricerca della sconfitta militare della guerriglia è perseguita in stretta alleanza con gli Stati Uniti che concedono all’esercito colombiano un aiuto militare la cui importanza è inferiore solo a quello che che che ricevono Israele ed Egitto.

Il Plan Colombia utilizza la scusa di combattere la produzione di cocaina attraverso le fumigazioni delle coltivazioni di coca ma in realtà è un vero e proprio piano di controguerriglia diretto principalmente contro le FARC.
A fronte di un investimento militare enorme, la produzione di cocaina in Colombia non è affatto diminuita e le fumigazioni stesse sono principalmente dirette contro i territori controllati dalla guerriglia.

L’attuale governo colombiano punta sulla guerra e sul sostanziale mantenimento dello status quo socioeconomico anche se in realtà l’attività paramilitare degli ultimi anni ha avuto come obiettivo l’ulteriore accrescimento delle disparità economiche ottenuto tramite la prassi dell’espulsione forzata della popolazione, dei contadini e la successiva appropriazione illegittima di grandi estensioni di terreno a favore di narcos, multinazionali e latifondisti grazie ad un intreccio di complicità che coinvolge poltici, militari e imprenditori.

La coalizione di governo è in questo momento decimata dall’azione della magistratura colombiana che ha portato all’arresto di numerosi esponenti di partiti uribisti accusati di complicità con i gruppi paramilitari.

In un contesto del genere nel quale lo Stato si è macchiato di gravissimi crimini tramite il sostegno diretto ai paras, il presidente Uribe resta comunque in carica con un buon tasso di sostegno popolare.
Le ultime elezioni presidenziali del 2006 hanno visto Uribe vincere con il 62% dei voti: A prima vista il risultato sembra molto buono, ma bisogna ricordare che la partecipazione è stata del 45%, che in molte zone sotto il controllo dei paramilitari la pressione che influenza il voto è fortissima e che in Colombia è molto diffusa la pratica della compravendita di voti.

La partecipazione al voto è più alta nelle realtà urbane e tra le classi media e alta del paese. Come disse un analista all’indomani dell’elezione di Uribe; “gli abitanti delle città hanno scelto la guerra perchè l’hanno vista solo in televisone”.
Dopo il periodo di presidenza di Andres Pastrana che aveva intavolato un dialogo con le FARC, fallito fondamentalmente per le pressioni dei rappresentanti dei grandi interessi e degli USA, Uribe ha avuto gioco facile nel convincere che il pugno duro era quello di cui c’era bisogno in Colombia.
Quindi nonostante le responsabilità del presidente e del suo entourage nello scandalo del paramiltarismo siano ben note, l’idea comune è che la guerriglia sia il male assoluto ed i gruppi paramilitari siano sorti a causa della violenza guerrigliera e con lo scopo di difendere la legittima proprietà dagli abusi degli insorti.
I massacri quindi, sarebbero giusto un incidente di percorso ma per una buona causa,
e siccome le vittime sono prevalentemente i poveri non ci si scandalizza più di tanto.

Il sequestro invece è un crimine che sconvolge e scandalizza una parte della società colombiana perchè è il crimine che colpisce i ricchi e le persone alla cui vita viene dato un valore maggiore.

L’idea che i paras siano nati in risposta alla guerriglia è una falsità storica risultato di una mancanza di memoria collettiva.

I predecessori dei paras risalgono alla cosidetta epoca della violenza (1948-1960)
durante la quale i pajaros ed i chulavitas, sicari al soldo dell’oligarchia, liquidarono senza pietà l’opposizione popolare e, da allora in Colombia l’uso di esercitare la violenza a difesa dei grandi interessi non è mai cessato. Non si può comprendere il conflitto colombiano senza studiarne la storia e senza tenere in conto le cause economiche e politiche che portarono alla formazione dei gruppi guerriglieri.
Il punto centrale della questione, l’origine e le cause del conflitto, tornano di estrema attualità quando come in questi giorni due visioni completamente opposte si fronteggiano nei discorsi di Hugo Chavez e Alvaro Uribe.

Chavez approfittando dell’innegabile successo diplomatico che ha rappresentato il rilascio delle due prigioniere ha buttato prepotentemente sul tavolo una richiesta che prevedibilmente è una tappa intermedia di grande importanza nella sua strategia regionale.
Il presidente venezuelano ha rotto un tabù ed ha chiesto con forza che il governo colombiano e gli altri governi del mondo smettano di considerare le FARC e l’ELN come gruppi terroristi e riconoscano lo status di belligeranti a queste formazioni guerrigliere.
Questo passo secondo Chavez sarebbe essenziale per l’inizio di un processo di pace, darebbe un riconoscimento internazionale alle FARC e la possibilità alla comunità internazionale di intraprendere azioni diplomatiche più incisive. Inoltre, obbligherebbe la guerriglia a rispettare le Convenzioni di Ginevra mettendo fine a forme di lotta come il sequestro e l’uccisione di civili.

Terrorismo e controinsurrezione


Se parlare di terrorismo ha poco senso, in un contesto come quello colombiano ne ha ancora meno.
Riferendoci solo agli ultimi 60 anni di storia, l’utilizzo di pratiche che sono catalogate come terroriste seguendo le definizioni scientifiche di terrorismo, è una constante.
Non c’è governo, apparato dello Stato, gruppo d’interesse, partito, formazione guerrigliera od organizzazione militare che non abbia fatto ricorso al terrorismo per perseguire i propri scopi.
L’espressione più forte e significativa di questo fenomeno è senza dubbio la creazione delle AUC ( Autodefensas Unidas de Colombia), frutto della federazione dei gruppi paramilitari presenti sul territorio colombiano.

Se le AUC, è stato dimostrato, rispondevano tra l’altro ad interessi governativi ed hanno sempre fatto il lavoro sporco nella controguerriglia, se non c’è quasi governo colombiano che non abbia avuto legami con il narcotraffico, chi, in questo paese, ha l’autorità morale di definire qualcuno come terrorista o criminale?
Non di certo il presidente Alvaro Uribe che del degrado morale è forse il prodotto più rappresentativo.

In un paese come questo dove almeno il 50% della popolazione è sotto la linea di povertà o indigenza stabilita dall’ONU, dove la copertura sanitaria o l’accesso all’istruzione spesso sono solo un sogno, dove la denutrizione infantile è un fenomeno molto comune, il tasso di occupazione informale è altissimo, la concentrazione della terra e della rendita è una delle più alte in America latina, in un paese dove muoiono ammazzati tanti sindacalisti come nel mondo insieme, in un paese come questo non si parla di politica.
I grandi mezzi di comunicazione e di conseguenza buona parte della gente sono impegnati al massimo a discutere del conflitto, ma in maniera superficiale, evitando di collegare il conflitto a ragioni economiche sociali e politiche.
Uribe è stato in questo un campione, negare il carattere politico del conflitto, utilizzare il neologismo coniato dall’ex ambasciatore USA in Colombia di narcoguerriglia per definire gli insorti e imporre la sua strategia basata sulla guerra.

Così non si parla delle trattative sul salario minimo che stabilito in 160 euro mensili condanna alla povertà 4 milioni di lavoratori e loro famiglie, come non si parla di leggi o provvedimenti nell’ambito della salute o dell’istruzione, non si discute di fisco. Seguendo i grandi media non si ha la possibilità di capire come questo governo gestisca il paese.

Il conflitto come politica, la politica come conflitto

Tutto questo si inserisce ovviamente in un contesto internazionale, che ha molto a che vedere con gli interessi strategici degli USA nel continente sudamericano.
Gli ultimi dieci anni hanno visto una riscossa dei popoli sudamericani che si stanno faticosamente sbarazzando della dannosa tutela USA, esercitata in passato, direttamente o tramite le istituzioni finanziarie internazionali.
Gli Stati Uniti dovranno presto rinunciare ad una delle più grandi basi militari nel continente, quella di Manta in Ecuador, il presidente Correa infatti, non ha rinnovato l’accordo. Inutile elencare ora tutti gli Stati in cui gli ultimi cambi di governo hanno danneggiato gli interessi USA nell’area ma è chiaro che nel Cono Sud lo zio Sam he seri problemi.
La Colombia per questo aumenta il suo valore strategico e gli USA non lesinano finanziamenti all’apparato militare colombiano e potenziano la loro presenza nella zona.
Ovviamente questa Colombia completamente allineata a Washington è un ostacolo per il progetto bolivariano di Chavez e tanto più quando il suo esercito è superarmato ed i sistemi di controllo delle comunicazioni istallati dagli USA con il Plan Colombia rappresentano una minaccia per tutti i paesi limitrofi.
A questo punto si capirà che la mediazione del presidente venezuelano non è affatto disinteressata, oltre ad indebolire il governo di Uribe ed il blocco di interessi che lo sostiene, punta a modificare l’assetto della Colombia.
Con la sua opera diplomatica Chavez cerca di dare impulso ad un processo di pace: normalizzare la vita politica della Colombia sarebbe già un risultato storico e potrebbe rimuovere quegli ostacoli che hanno sempre impedito alla sinistra colombiana di muoversi liberamente e vincere.
Il conflitto infatti è stato sempre l’alibi per eliminare fisicamente qualsiasi vera opposizione al sistema di ingiustizia che domina la Colombia.
Ma la guerriglia, memore dell’esperienza della Union Patriotica, partito politico di sinistra letteralmente sterminato negli anni 80 ( circa 4000 gli esponenti ed i militanti assassinati), non si smobiliterà mai in assenza di adeguate garanzie.

Il progetto a cui lavora Chavez quindi è un processo di pace che sia basato sulla smilitarizzazione delle diverse parti in conflitto e che permetta a lungo termine di aggiungere la Colombia alla lista dei paesi impegnati nella costruzione della sua ALBA (alternativa bolivariana per l’America).

L’establishment colombiano è perfettamente cosciente delle intenzioni di Chavez e si difende evitando abilmente che si parli apertamente dei retroscena dell’azione diplomatica venezuelana: si evita il dibattito perchè potrebbe essere pericoloso.

Il riconoscimento politico della guerriglia chiesto da Chavez resta perciò molto lontano e la propaganda ufficiale approfitta del tabù esistente nella società che impedisce di affrontare il conflitto con chiarezza e realismo. La sinistra si trova in gran difficoltà perchè non riesce a rompere il tabù timorosa di alienarsi un parte di consenso e di trovarsi sotto il fuoco incrociato dei grandi mezzi di comunicazione.

Anche di fronte ai tentativi frustrati di riconoscere uno status politico ai paramilitari portati avanti da Uribe nell’ambito del processo di apparente smobilitazione, grazie alla legge di giustizia e pace che consente condanne irrisorie a fronte di crimini di strage, il riconoscimento dello status di belligerante per la guerriglia resta lontano.

Il progetto bolivariano da qui sembra un sogno ma qualcosa si sta muovendo.




1. - Istituzione militare fondata nel 1946 a Panama nell’ambito della dottrina per la sicurezza nazionale tramite la quale gli USA formaro gli ufficiali di 23 paesi latinoamericani con lo scopo di contenere i movimenti sociali e le guerriglie di sinistra nell’epoca della Guerra Fredda.