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"La nostra società continua a negare il Peak Oil"

di Shepherd Bliss - 10/01/2006

Fonte: Nuovi Mondi Media


Nel suo ultimo lavoro il geologo britannico Jeremy Leggett, un ex "figlio dell'oro nero" poi passato a Greenpeace UK, affronta la serietà del controverso rapporto cambiamento climatico-Peak Oil

The Carbon War, l’opera prima del geologo britannico Jeremy Leggett, è stato descritto dall’influente Sunday Times come “il miglior libro finora scritto sul surriscaldamento terrestre”. Il Time Magazine ha dichiarato che Leggett “è uno dei principali esponenti nel porre la questione del clima all’ordine del giorno”. Il suo libro più recente, intitolato Empty Tank negli Stati Uniti e Half Gone in Gran Bretagna, si basa sul suo precedente lavoro come scienziato capo a Greenpeace UK, e sulla sua decennale esperienza come esperto internazionale di clima. Il suo scopo è quello di far comprendere ciò che ha battezzato come “punto limite del petrolio”.

Leggett mette in relazione l’esaurimento del petrolio con il cambiamento climatico in tutto il suo libro, sottotitolato “Petrolio, gas, aria calda e l’imminente catastrofe finanziaria globale”. Più della metà del testo è una lunga sezione di 150 pagine che intitolata “L’incontro tra il petrolio e il surriscaldamento globale”. Prima di unirsi a Greenpeace negli anni novanta, Leggett è stato per gran parte degli anni ottanta “un figlio dell’oro nero”, e il suo compito era quello di fare ricerche, consulenze e tenere corsi per conto della Shell, della BP e di altre compagnie petrolifere. Ora è direttore generale della più grande compagnia indipendente per l’energia solare in Gran Bretagna. Il nuovo libro di Leggett è probabilmente l’opera più esauriente sulla relazione fra il declino del petrolio e il surriscaldamento terrestre, che l’autore chiama “aria calda”.

Half Gone tenta “di fornire le prove del caso attraverso due importanti argomenti”. Leggett sostiene in primo luogo che “il punto limite del petrolio, conosciuto anche come il picco della produzione, sarà raggiunto fra il 2006 e il 2010, e quando il mercato se ne renderà conto, ne deriverà un grave trauma economico. In secondo luogo, "il surriscaldamento terrestre è un pericolo reale, presente, che si sta sviluppando rapidamente”.

Sebbene molti teorici e attivisti coinvolti con il problema dell’esaurimento del petrolio riconoscano l’importanza del cambiamento climatico, l’inverso non è sempre vero. “Gli ambientalisti hanno sempre avuto la tendenza a sottovalutare o ignorare la diminuzione del petrolio, e ancora oggi lo fanno”, scrive Leggett. “Probabilmente questo è dovuto alla mancanza di cultura geologica di cui si avrebbe bisogno per comprendere l’importanza dell’argomento. Ho persino sentito il punto di vista di alcuni ambientalisti che giudicavano la questione troppo deprimente”.

Il problema di quanto la lavorazione del greggio e il cambiamento climatico siano correlati è molto controverso. Alcuni attivisti descrivono il “petrolio al limite” con vari termini negativi, come “frode”, “follia” e “ argomento pericoloso”. Altri poi usano termini persino più forti e ostili per parlare dei sostenitori di questa teoria. Io personalmente non ho mai sentito un attivista o un esperto di greggio fare certe dichiarazioni sul mutamento di clima.

Un attivista che si occupa delle questioni del cambiamento climatico ha fatto circolare un’indagine intitolata “L’ultimo petrolio vs il cambiamento climatico” con il quale stabilisce una relazione antagonistica, polarizzata tra i due fattori. Piuttosto che vederli come elementi separati, chi sostiene che il petrolio sta per finire li vede strettamente collegati tra loro, si batte per un lavoro congiunto, non per una concorrenza fra le due teorie.

La maggior parte degli scienziati è concorde nel sostenere che il cambiamento climatico sia reale, in forte aumento e causato dall’attività umana. Leggett inoltre riporta quanto segue: “Al Forum Economico Mondiale di Devon, nel febbraio del 2000, è stato chiesto ai direttori generali delle più grandi compagnie mondiali quale fosse la più grande sfida che il mondo doveva affrontare all’inizio del nuovo secolo. Il surriscaldamento terrestre si è classificato al primo posto, con grande sorpresa degli organizzatori”. Leggett cita due alti ufficiali del governo inglese che dichiarano “che il surriscaldamento terrestre è ora un pericolo maggiore delle armi di distruzione di massa. Questo è un punto di vista comune, soprattutto in Europa”.

“Il petrolio al limite”, d’altra parte, è una teoria a cui poche persone credono. I suoi sostenitori lavorano per far comprendere alle persone e renderle consapevoli del problema, con lo scopo di ridurre il danno che ne potrebbe risultare. “La nostra società continua a negare”, spiega Leggett in riferimento all’esaurimento del petrolio, “e questo non ha precedenti nella storia, sia in termini di portata che di implicazioni”. Il nucleo di studiosi coinvolti è composto da geologi, da molti che hanno lavorato nell’industria petrolifera, come Leggett, e inoltre da un numero crescente di ambientalisti e cittadini provenienti da diverse esperienze, inclusi alcuni ufficiali governativi.

Half Gone è scritto da una prospettiva europea. Si avvale del lavoro del geologo irlandese Colin Campbell, il quale ha lavorato quarant’anni nell’industria petrolifera, e ha fondato un’associazione per lo studio del “picco del petrolio” (ASPO, Association for the Study of Peak Oil). Come nella versione americana del libro, Leggett fornisce una sezione informativa sulla storia del petrolio. Documenta il suo esaurimento con molteplici grafici e centinaia di note nell’indice del libro. Leggett poi rifiuta di considerare le varie fonti potenziali di petrolio e le energie supplementari, presentate dagli ottimisti come validi sostituti: petrolio delle profondità marine, bitume, gas naturale, olio distillato da scisto bitumoso, e altre forme non convenzionali.

Leggett collega l’esaurimento del petrolio al cambiamento climatico facendo notare che la maggiore domanda energetica (proveniente soprattutto dalla Cina e dall’India), unita alla diminuzione delle risorse di greggio, porterà ad una “corsa per il carbone”. Sfortunatamente però bruciare carbone ha effetti persino peggiori sull’ambiente e sul clima. Considerando infatti le emissioni prodotte dalla stessa quantità di petrolio e di carbone, quest’ultimo sviluppa molto più diossido di carbonio.

L’industria del carbone utilizza una tecnologia che sta chiaramente ipotecando il futuro, ma che continua a crescere in tutto il mondo senza chiedere perdono. Leggett è preoccupato soprattutto per “il futuro tasso di mortalità causato dal riscaldamento globale che non accenna a diminuire, dalla pessima qualità dell’aria”, nonché “dall’attuale numero di morti derivanti dal lavoro di estrazione del carbone”. I disastri nelle miniere sono frequenti e mortali; l’estrazione è rischiosa per i polmoni e la salute dei minatori. Sono migliaia i cinesi che ogni anno muoiono nelle miniere.

Leggett osserva che gli Stati Uniti dispongono delle più ingenti scorte di carbone, come anche della più grande dipendenza dall’abbondante energia fornita dal petrolio a buon mercato. Così, mentre le scorte di greggio diminuiscono, è probabile che inizi la corsa per trovare dei sostitutivi, e che ci si affidi maggiormente al carbone. L’autore descrive inoltre la politica del “bruciare senza controllo” che si sta attuando in Cina e in India, due paesi che hanno sostanziose riserve di carbone fossile.

Anche il nucleare viene preso in considerazione da Leggett. Gli esperti indicano però che non si può allargarne la distribuzione prima del 2020, e solo a fronte di un grosso investimento che impiegherebbe almeno sette anni per fruttare un rendimento. Tre ulteriori fattori che fanno propendere contro sono la minaccia del terrorismo, il problema dello smaltimento dei rifiuti e il ricordo della poca sicurezza a Chernobyl, Three Mile Island e altre centrali.

L’idrogeno come principale fonte di energia è una possibilità a cui Leggett dà maggior credito, al contrario di altri sostenitori americani della teoria del “petrolio al limite”. Questi infatti tendono a preferire una produzione locale e de-centralizzata di energia, piuttosto che un altro sistema centralizzato. Leggett si fa portavoce di ciò che sostiene Amory Lovins del Rocky Mountains Institute. Dato che l’idrogeno non è un carburante, ma un mezzo per immagazzinare energia, necessita di una fonte per crearlo; il carbone sembra essere la fonte più adatta allo scopo. L’idrogeno non è qualcosa per cui bisogna trivellare o scavare miniere; bisogna fabbricarlo, e questo richiede energia.

Comunque, la miglior soluzione secondo Leggett è quella delle fonti rinnovabili, che potrebbero risolvere sia il problema dell’esaurimento del petrolio che quello del cambiamento climatico. Egli infatti è uno dei maggiori promotori dell’energia solare. Dopo le prime duecento pagine, tendenzialmente cupe, Leggett cambia tono nelle successive cinquanta. “Sarà possibile rimpiazzare petrolio, gas e carbone con molte fonti rinnovabili, e più velocemente di quanto si pensi”. Ma poi aggiunge: “Queste alternative non saranno comunque in grado di sostituire i fossili in tempo da arrestare il trauma economico risultante dalla fine dell’era del petrolio”, dato che ormai “è già troppo tardi”. Varie tecnologie rinnovabili vengono descritte: cellule solari fotovoltaiche, forza eolica, maree, onde e biomasse. Leggett sostiene ad esempio che l’America potrebbe sviluppare tutta l’elettricità di cui ha bisogno oggi, solo con l’energia eolica di tre stati: Texas, Nord Dakota e Kansas. Messe insieme queste alternative avrebbero potuto sostituire il carburante fossile.

L’inglese James Howard del sito powerswitch.org.uk ha scritto un saggio stimolante, “La connessione fra l’ultimo petrolio e il cambiamento climatico”, pubblicato sul sito www.energybulletin.net. Howard mette in guardia contro gli attivisti del clima che rifuggono dal concetto di “petrolio al limite”, concorda con Leggett e sostiene che “questi due fattori devono essere compresi come un problema complessivo”, e procede a illustrarne i motivi. “Il petrolio al limite e il cambiamento climatico sono una minaccia più grande considerati insieme, piuttosto che singolarmente. Devono essere trattati come un problema unico”. Howard però non è così speranzoso come Leggett sulle fonti rinnovabili. “Queste sono costruite con materiali che hanno bisogno del petrolio. Sviluppare alternative diventerà sempre più costoso, il prezzo di tutto aumenterà, perché il petrolio è alla base di tutto quello che facciamo”.

Howard sostiene che ciò che collega l’esaurimento del petrolio e il cambiamento climatico sia la dipendenza della società industriale dal greggio in abbondanza e a buon mercato. Egli fa riferimento ad argomenti specifici quando parla dell’impatto del cambiamento climatico sul globo, come ad esempio la distribuzione dell’acqua, l’agricoltura, le pesanti piogge in Germania, la siccità in Italia, gli incendi nelle foreste, e la capacità di fronteggiare queste emergenze. Con “il costo di tutto che cresce”, osserva Howard, sarà più difficile “far fronte ai problemi portati dal cambiamento climatico. Il petrolio a buon mercato ci ha messo di fronte a tutte quelle che sono le difficoltà di oggi nel mondo. La sua diminuzione potrebbe semplicemente esacerbare il cambiamento climatico”.

“Leggett evita di fare riferimento alla questione della produzione centralizzata di energia e a quella della produzione locale”, nota Yen Chin, che ha lavorato per due decenni per la conservazione dell’energia, e ora vive alle Hawai. “Capisco cosa intende quando afferma che le grandi corporazioni continueranno a dominare un’industria capitalista. I giocatori cambiano, ma le relazioni economiche di base rimangono le stesse”.

Al contrario gruppi come il Post Carbon Institute sono a favore della ri-localizzazione e di molteplici soluzioni low-tech caratteristiche di comunità che lavorano insieme per prodursi l’energia necessaria, piuttosto che essere dipendenti da un'unica fonte esterna. “Mi sembra che Leggett voglia proporre una specie di panacea per tutti i mali”, nota Chin, “dicendo tra l’altro cose che di sicuro piacciono ai progressisti”.

Verso la fine di Half Gone Leggett descrive “le forze che direttamente o indirettamente, favoriranno un massiccio ritiro verso il carbone, quando si scatenerà il panico derivante dalla scoperta della fine del petrolio”. A quel punto “saremo di fronte a due prospettive. Possiamo chiamarle 'solarizzazione' e 'carbonizzazione'. Questo io credo sarà il campo di battaglia che deciderà il destino del pianeta”.

Personalmente comprendo la serietà dei molteplici problemi messi in moto dal cambiamento climatico e dal “petrolio al limite”, di cui Leggett e altri studiosi hanno dato le prove. La soluzione proposta però, non sembra adeguata da sola a risolvere la questione. Tornando alla “solarizzazione”, è sicuramente una proposta utile e necessaria; ma sarà sufficiente a evitare maggiori catastrofi?

Leggett conclude con quella che considera “la questione più importante. La gente può fare molto di più per influenzare il risultato della battaglia volta a incrementare l’uso delle energie rinnovabili al posto del carbone. Questo porterebbe ad un miglioramento nella crisi energetica mondiale, e creerebbe una società migliore”. Fra le misure che Leggett e colleghi sostengono per sviluppare le società post-carbone c’è la necessità di conservare l’energia – e di essere efficienti nel suo utilizzo – e la ri-localizzazione.

 


Fonte: http://www.countercurrents.org/po-bliss211205.htm
Tradotto da Elena Cortellini per Nuovi Mondi Media