Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Destra e sinistra, senza futuro né cervello: intervista a Massimo Fini

Destra e sinistra, senza futuro né cervello: intervista a Massimo Fini

di carlo passera - 19/01/2006

Fonte: lapadania.com

«PER QUESTO LA POLITICA SI BUTTA NEL BUSINESS»


Massimo Fini, questa volta voliamo alto: parliamo di ideologie, o almeno di idee. O meglio: della loro triste mancanza. Quando un quotidiano comunista e colto come Il manifesto spiega che “Diego Della Valle è il nostro bomber” (ossia: mister Tod’s è la punta di lancia della sinistra) c’è da preoccuparsi...
«La mancanza di idee non è un’esclusiva nostrana. Liberalismo e marxismo sono entrambi figli della rivoluzione industriale, sono cioè vecchi di due secoli, in un periodo in cui la storia ha corso come mai prima. Pensano di essere il top della modernità: il che è anche vero solo se consideriamo la modernità assai invecchiata. Ecco: la modernità non è affatto moderna, così destra e sinistra - che sono due facce della stessa medaglia che è la rivoluzione industriale - col tempo hanno finito col confondersi l’una con l’altra. In Italia questo è assolutamente esplicito. A rileggere Il manifesto dei conservatori di Giuseppe Prezzolini si rimane di stucco».
Avevamo già accennato in passato al tema: la sinistra che fa la destra, e viceversa.
«Nel libro sono indicate le caratteristiche del conservatore e dell’uomo di sinistra: ebbene, i ruoli sono ormai ribaltati, i valori sono confusi, alcuni hanno “cambiato schieramento”. Come introduzione al Il manifesto di Prezzolini è riportato un distico di Piero Gobetti: “Un partito conservatore poteva compiere in Italia una funzione moderna indirettamente liberale in quanto facesse sentire la dignità del rispetto alla legge,...
...l'esigenza di difendere scrupolosamente la sicurezza pubblica, e l'efficacia del culto delle tradizioni per fondare nel Paese una coesione morale”. Poi Prezzolini traccia il profilo di chi è conservatore e chi di sinistra. Caratteristiche del conservatore: morale come principio fondamentale della condotta, pessimismo, libro come strumento culturale. Di sinistra sono invece l’economia come norma generale dell’esistenza, il mutare rapidamente e radicalmente, la televisione invece che il libro. Insomma, che dire: tutto è ribaltato. Oggi, tanto per capirci, l’uomo di destra ha preso il business centro dell’esistenza, in perfetta linea con Carlo Marx che considerava sovrastruttura tutto ciò che non era economia».
Dicevi che il venir meno dei criteri destra-sinistra è particolarmente evidente in Italia...
«È però una tendenza che vale per tutte le democrazie».
Infatti. Penso agli Stati Uniti: la differenza tra democratici e repubblicani è infinitesimale.
«Io, dall’Italia, non riesco sostanzialmente a coglierla. Ma intanto negli Usa esistono 35 milioni di poveri che non hanno alcuna rappresentanza politica. Il dato strutturale è: destra e sinistra sono categorie vecchie, che hanno perso col tempo la loro consistenza e qualsiasi ragion d’essere. Questo comporta una confusione di valori e disvalori che, scendendo per li rami, arriva fino alle vicende di questi giorni, alle scalate bancarie».
Non ci sono più ideologie né idee, rimangono solo gli interessi.
«L’ideologia è un sistema di valori coerenti. Quando scompare, la realtà si confonde. Di notte tutte le vacche sono nere».
Destra e sinistra sono categorie che necessitano di essere aggiornate o sono proprio da buttare?
«Sono superate anche se non sono ancora del tutto obsolete. Io faccio sempre un esempio: siamo su un treno che procede a velocità pazzesca, 800 all’ora, anche chi viaggia in prima classe su comode poltrone viene comunque sballottato, giacché una delle imprese di questo sistema è quella di far star male anche chi sta bene. Comunque: oltre a quelli di prima classe, c’è chi è in seconda, chi sugli strapuntini, chi nei corridoi, chi nei cessi, chi mezzo fuori dal finestrino e chi finisce proprio giù dalla scarpata. Dare una migliore e più equa sistemazione ai viaggiatori ha ancora una senso e a questo pensano destra e sinistra, con le loro “ricette”. Ma i problemi di fondo sono altri: dove sta andando il treno? I viaggiatori e i macchinisti hanno possibilità di determinarne la marcia, oppure il convoglio procede per conto suo, come sembra? E poi: due secoli e mezzo fa abbiamo preso il treno giusto? Destra e sinistra non solo non danno risposta a questi quesiti: si rifiutano persino di prenderli in considerazione, perché mettere in discussione il treno, ossia la modernità, significherebbe dover forse recidere le loro stesse radici. Per questa ragione non possono ovviare a un malessere profondo, che non ha niente a che vedere con certi discorsi del tipo: “Bisogna modernizzare il Paese”. No, non bisogna modernizzarlo: bisogna s-modernizzarlo».
Sono crollate le ideologie, ma sembrano mancare anche quei cervelli che possano prefigurare un futuro, o perlomeno spiegare il presente. È questa una causa o un effetto della generale “mancanza di senso”?
«È più conseguenza che causa. Indubbiamente, ed è un dato di fatto, non c’è oggi un pensiero che pensi la modernità, non c’è una filosofia che “riempia” la politica come è sempre stato, da Platone e Aristotele, fino alla prima metà del Novecento. Oggi in Occidente manca il pensiero tout court».
Manca un pensiero che spieghi la modernità, oppure che la superi?
«Più semplicemente, un pensiero che pensi la modernità».
E manca, in Italia, una qualsiasi politica culturale. Fa specie che il premier non stimoli una qualsiasi politica culturale anche solo attraverso la grande casa editrice di sua proprietà, la Mondadori.
«Qualche tentativo culturale - magari rozzo, ma ci ha provato - l’ha fatto la Lega. A sinistra si continua a marcire e marciare su quel che resta del marxismo. Ma la povertà culturale di Forza Italia è disarmante. Berlusconi cita Paolo di Tarso come filosofo greco, parla di “Romolo e Remolo” facendo ridere un bambino di sei anni, figlio di una mia amica. Questa di destra - ossia Forza Italia, ma anche An - è una classe dirigente totalmente distante dalla cultura. Guardiamo Alleanza Nazionale: ha fatto fuori tutti i suoi pochi uomini con uno di spessore, da Domenico Fisichella a Gennaro Malgeri, così come un attore pensante come Luca Barbareschi. Siamo lontanissimi da qualunque minima elaborazione».
È curioso che questo avvenga mentre certo non mancano gli strumenti per superare la tradizionale egemonia culturale della sinistra. In questi cinque anni la Cdl ha potuto disporre di giornali e televisioni, più o meno di proprietà del premier.
«È quanto ribattevo anch’io, negli incontri durante i quali gli esponenti di quei partiti sostenevano che non avevano gli spazi necessari. “Ma come - rispondevo - Avete in mano buona parte dell’industria culturale, non potete più tirar fuori un argomento di questo genere”. Gli strumenti culturali ci sarebbero, ma non vengono per nulla utilizzati. La destra non è nemmeno stata capace di copiare quanto ha fatto il Pci, che investì sulla cultura ottenendo moltissimi vantaggi: perché magari la cosa non porta voti nell’immediato, ma serve parecchio nel lungo periodo».
Non per una questione di par condicio... Ma mi sembra che anche nello schieramento contrapposto, oggi, ci sia un grande vuoto. La sinistra avrebbe dovuto ripensare se stessa all’indomani del 1989; non mi pare che l’abbia fatto.
«Non so se ci abbiano provato - non pare nemmeno a me - ma era un’operazione difficile. Nel momento in cui la sinistra ha accettato il libero mercato, ha negato la propria natura. Infatti oggi su quasi tutte le questioni economiche le differenze tra i due schieramenti sono minime. E poiché in questo sistema l’economia è fondamentale, destra e sinistra che non si differenziano su questo punto sono sovrapponibili nell’essenziale».
È una sinistra che non ha più alcun senso?
«Già, è una sinistra che non ha più alcun senso, così come non lo ha la destra. La prima è morta con la caduta del marxismo, ma questo determina anche la fine del capitalismo, poiché l’uno sorreggeva l’altro come le arcate di un ponte. Anche il capitalismo non ha più punti d’appoggio, crolla se non altro per eccesso di slancio. Devo dire che gli americani non hanno elaborato nulla dopo l’11 settembre, non hanno rallentato, invece di frenare hanno ulteriormente accelerato senza fermarsi a riflettere: strano, perché George W. Bush è una scimmia travestita, ma qualche valido pensatore gli Usa ce l’hanno».
Quale sarebbe dovuta essere la riflessione?
«Avrebbero dovuto capire che il conseguimento della loro meta corrisponderà con la fine loro, e di tutto sistema occidentale. Le Torri gemelle erano un simbolo per eccellenza, i greci avrebbero detto che non si dovevano sfidare gli dei in quel modo... Andava recuperato il senso del limite, per esempio. Invece l’hanno perso ulteriormente. Ma in fondo è la conseguenza politica di un problema concettuale».
In che senso?
«Hanno perso il contraltare sovietico, hanno mano libera e accelerano la presa di possesso del mondo. Presto l’avranno tutto in mano. Ma il nostro sistema economico è basato sulle crescite esponenziali; nel momento in cui non sarà più capace di espandersi per raggiunti limiti fisici, crollerà fragorosamente su se stesso. Io credo che qualcuno lo sappia, tra i padroni del vapore; ma penso che siano tutti nello stato d’animo del tipo après moi le déluge (ossia: dopo di me il diluvio, frase pronunciata secondo la tradizione da Luigi XV, ndr). Se avessero cultura potrebbero dire, con Oscar Wilde: “Cosa hanno fatto i posteri per noi?”. Solo che stiamo andando a tal velocità che diventiamo posteri di noi stessi».
Secondo te, quale intellettuale italiano avrebbe potuto ben raccontare la nostra realtà? Pasolini?
«Pasolini aveva avuto molte intuizioni in questo senso. Mi viene in mente un suo discorso, quello celeberrimo delle lucciole: “Io darei l’intera Montedison per una lucciola”. Pasolini fu uno strano intellettuale: collocato a sinistra, era in sostanza un anti-modernista. Da qui, e anche dalla sua omosessualità, le sue mille difficoltà col Pci, dove pure alla fine rimase perché, come dicevo, i comunisti sono sempre stati molto attenti a far propri gli intellettuali più interessanti».
A spese della Dc...
«...che peraltro aveva operato una scelta importante, aveva infatti messo le mani sulla televisione impostandovi una politica culturale molto, molto valida. Poi la riforma ha spazzato via tutto».
Intellettuali di riferimento, una tv degna: mancano davvero, al nostro Paese.
«Teniamo però conto che l’intellettuale di riferimento, umanista, onnicomprensivo, il maître à penser, è scomparso ovunque. Pensiamo a cinquant’anni fa: in Germania c’erano Thomas Mann ed Hermann Hesse, in Francia Jean-Paul Sartre e Albert Camus, in Inghilterra Bertrand Russel, Benedetto Croce o Arturo Carlo Jemolo e poi Pasolini, che è stato l’ultimo in ordine di tempo. Questo tipo di intellettuale scompare anche perché cresce la specializzazione, ossia avviene quel che accade anche in medicina: un medico sa curare in modo meraviglioso il dito mignolo, ma non si accorge del complesso del paziente. È il dramma della cultura occidentale: con la razionalizzazione e la settorializzazione, ha perso la visione d’insieme. Cura la singola patologia, ma non il corpo malato».
Se questo è il quadro, il futuro è poco incoraggiante.
«Direi di sì. Prima c’è stata la morte di Dio, sostituito dalle ideologie, che hanno comunque dato speranza a milioni di uomini, hanno regalato loro una carica valoriale. Poi noi abbiamo perso anche quelle; nello stesso tempo ci troviamo però di fronte un mondo islamico che è stracarico di valori, talmente da diventare spesso liberticida. Da noi, per contro, ormai non esiste più alcun valore che venga considerato meritevole del sacrificio della vita. Il nostro obiettivo profondo è quello di cambiare una Punto con una Bmw. Non si può vivere di queste cose, non si vive di solo pane».
Parli di un mondo islamico “stracarico di valori”. Tu assegni alla parola valori un significato necessariamente positivo? Te lo chiedo perché non credo che tutti i “valori” del mondo islamico siano da elogiare...
«Voglio spiegarmi bene. Credo che i valori non esistano: poiché non c’è un Assoluto cui fare riferimento, non si può fare una gerarchia tra ciò che è bene e ciò che è male. Detto questo, i valori sono le illusioni, le credenze, i sogni degli uomini, senza i quali un individuo non può vivere, né una società stare insieme. Serve sempre un quantum di illusioni condivise. È cosa per pochi vivere un’esistenza senza valori. In genere anche chi ha una posizione come la mia vive come se i valori davvero esistessero».
Per esemplificare ulteriormente: la ricchezza di valori nel mondo islamico porta ai kamikaze; la mancanza di valori in Occidente porta a Giovanni Consorte.
«L’esempio funziona. Insieme a un radicalismo del senso (che porta ad azioni liberticide), esiste anche un radicalismo del non-senso, nel quale noi siamo implicati fino in fondo».
Tu preferisci il primo
«Certamente. Ti racconterò un episodio. Sono stato in Iran, l’ultima volta, nei giorni di Salman Rushdie; vi ho trascorso un paio di settimane, ho visto una realtà dura, da dopoguerra, con polizia ovunque, controlli, valori forti e contraddittori. Quando ho preso l’aereo per tornare, ero contento di rituffarmi nell’Occidente, in Italia, nel cosiddetto mondo libero. Come ho messo piede a Fiumicino, sono stato accolto dalle novità su Gigi Sabani e, come ultimo esempio di intelligenza, Gino Paoli che a sessant’anni cantava ancora: “Che cosa ne farò della mia libertà”. Mi è subito venuta voglia di tornare a Teheran. Come ho scritto: più dell’orrore, mi fa orrore il nulla».