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Olismo: l'enigma della sfinge

di Gregory Bateson* - 24/01/2006

Fonte: globalvillage-it.com


 

 

Che cosa pensiamo sia un uomo? Che cosa vuol dire essere umani? Che cosa sono questi altri sistemi con cui entriamo in contatto e quali relazioni li legano?

Accanto all'enigma voglio proporvi un ideale: forse non è raggiungibile, ma almeno è un sogno che possiamo cercare di approssimare. Questo ideale è che le nostre tecnologie, i nostri procedimenti medici e agricoli, e i nostri ordinamenti sociali arrivino ad armonizzarsi con le migliori risposte che sappiamo dare all'enigma della Sfinge.

All'enigma della Sfinge ho dedicato cinquant'anni della mia vita di antropologo. E d'importanza primaria che la nostra risposta sia in armonia col modo in cui gestiamo la nostra civiltà e ciò dovrebbe a sua volta essere in armonia con il I funzionamento effettivo dei sistemi viventi.

Ciò che le persone ritengono "umano" sarà da loro reso parte delle premesse dei loro ordinamenti sociali; e ciò che viene così assimilato sarà sicuramente appreso e diventerà parte del carattere di quanti vi partecipano.

E insieme a questa autoconvalida del nostre risposte c'è qualcosa di ancor più serio: qualsiasi risposta favoriamo nel diventare parzialmente vera propri perché la favoriamo, diventa anche parzialmente irreversibile. In queste faccende vi è un ritardo.

Dobbiamo andare molto ma molto cauti nel fare ipotesi sul tipo di creature con cui abbiamo a che fare. Abbiamo già creato una nazione di litiganti costruendo un mondo in cui si attribuisce valore monetario al danno e alla sofferenza e in cui è rischioso non essere coperti da un'assicurazione, essere disarmati e nudi.

Inoltre le nostre idee su come rispondere all'enigma della Sfinge sono oggi in uno stato fluido. Ci troviamo in piena confusione: le nostre convinzioni vanno mutando con una velocità paragonabile a quella dei grandi mutamenti avvenuti nella Grecia classica, diciamo nel sesto secolo a.C., oppure all'inizio dell'era cristiana. Il nostro è un mondo strano ed esaltante in cui sono in discussione le premesse stesse della lingua. Qual è la lingua del cuore? E quella dell'emisfero destro? E quella dell'Est? È il latino o l'inglese? O il sanscrito? È prosa o poesia? È lingua parlata o cantata? È espressa nell'imposizione delle mani? O nella disciplina del chirurgo, del farmacologo o del massaggiatore? E così via. Tutto ruota intorno all'antico problema del rapporto tra "mentre" e "corpo", il tema centrale delle grandi religioni del mondo.

Le vecchie credenze sono ormai logore e si brancola alla ricerca del nuovo. Qui non si tratta di essere cristiani o musulmani o buddhisti o ebrei. Non abbiamo ancora una risposta nuova ai vecchi problemi. Sappiamo qualcosa, molto poco, della direzione in cui stanno avvenendo le trasformazioni, ma nulla del loro punto di arrivo. Dobbiamo tener vivo nella nostra mente non un'ortodossia, bensì un riconoscimento ampio e partecipe della tempesta di idee in cui viviamo e in cui dobbiamo ingegnarci di costruire il nostro nido, di trovare la pace dello spirito.

Ma per tornare agli aspetti più immediati dell'enigma della Sfinge, due elementi possono portare a una risposta. Il primo è che la "natura umana" si autoconvalida. Il secondo è che nell'instabilità in cui viviamo oggi esiste un punto nodale, ossia l'inizio di una nuova soluzione del problema mente-corpo.

Sono convinto che ne sappiamo abbastanza da poter dire che la nuova visione sarà assai probabilmente unitaria e che la separazione concettuale fra "mente" e "materia", sarà considerata un derivato, un prodotto collaterale, di un olismo insufficiente. Quando mettiamo a fuoco solo le parti, non vediamo le caratteristiche necessarie del tutto e siamo quindi tentati di attribuire i fenomeni che derivano dalla totalità a qualche entità soprannaturale.

"Olistico" è oggi una parola in voga: basti pensare a una locuzione come "medicina olistica", con la quale si indica una moltitudine di teorie e di pratiche, dall'omeopatia all'agopuntura, dall'ipnosi alla terapia psichedelica, dall'imposizione delle mani alla coltivazione dei ritmi alfa, dall'induismo allo Zen, dalla umanizzazione del rapporto medico-paziente alla totale spersonalizzazione delle diagnosi fatte in base al tipo astrologico. E così via.

È da molto tempo che gli uomini sperano in soluzioni olistiche. La parola "olismo" risale a Smuts (negli anni Venti) e nell'Oxford English Dictionary viene definita come "la tendenza in natura a produrre totalità a partire dal raggruppamento ordinato di unità". La riflessione sistematica sulle totalità e sulle relazioni fra l'informazione e l'organizzazione, che consente di assegnare a questa parola un preciso significato formale e non soprannaturale, risale all'Ottocento e a personalità quali Claude Bernard (il "milieu intérieur"), James Clerk Maxwell (il "diavoletto" e l'analisi della macchina a vapore con regolatore, 1870), Russel Wallace (la selezione naturale, 1858) e infine Andrew Still, il "vecchio dottore" una figura assai importante per i medici.

Still fu il fondatore della medicina osteopatica. Verso la fine del secolo si convinse che le patologie del corpo potessero essere provocate da uno sconvolgimento di quella che oggi chiamiamo comunicazione, che l'organizzazione fisiologica interna del corpo fosse una questione di trasferimento di messaggi e che la spina dorsale fosse il principale luogo di smistamento di tutti i messaggi. Manipolando la spina dorsale sarebbe diventato quindi possibile curare tutte le patologie. Still finì col diventare un po' fissato, come del resto tutti gli uomini le cui idee sono in anticipo di un secolo, e finì col credere che le sue teorie non solo spiegassero i molti difetti il cui epicentro è collegato alla spina dorsale, alle sue posture e ai suoi messaggi, ma che potessero essere anche applicate alle invasioni batteriche e così via. Ciò gli procurò dei guai, ma nonostante tutto egli fu uno dei primi olisti proprio nel senso che io voglio dare a questa parola. Oggi naturalmente non c'è più niente di strano nell'idea che la patologia sia una sorta di disarmonia o discrepanza, un blocco o uno scompenso nell'ecologia interna del corpo. Perfino in patologie di origine fisica, come le fratture ossee si comincia a portare l'attenzione anche sull'idea dell'osso spezzato e sulla risposta a questa idea. Queste trasformazioni concordano con gran parte della riflessione contemporanea in tutti i settori della biologia.

Il passo successivo è prevedere che entro i prossimi vent'anni questo modo di pensare apparterrà anche all'"uomo della strada" e costituirà la base necessaria di un tipo di credibilità diffuso in tutta la società e comune allo scienziato e al profano, al medico e al paziente.

La vecchia credibilità è ormai logora e la nuova avanza a velocità sorprendente. In effetti stiamo imparando ad affrontare la tendenza del mondo a generare totalità fatte di unità collegate tra loro dalla comunicazione. È questo che rende il corpo una cosa viva e operante come se avesse una mente - e di fatto ce l'ha.

Ho l'impressione che dopo la seconda guerra mondiale la parola "olistico" abbia assunto un significato pressoché nuovo e molto più preciso, che induce a sperare in una profonda revisione della cultura occidentale.

Si comincia a capire che i misteriosi fenomeni che associamo alla "mente" hanno a che fare con certe caratteristiche dei sistemi che solo di recente sono entrate nell'ambito della scienza. Eccole:

1. Le caratteristiche dei sistemi circolari e auto-correttivi.

2. La combinazione di questi sistemi con l'elaborazione dell'informazione.

3. La capacità delle cose viventi di accumulare energia (uso il termine nel suo senso fisico ordinario: erg, chilogrammetri, calorie, eccetera), col risultato che un cambiamento avente luogo in un certo organo di senso (il ricevimento della notizia di una differenza) può scatenare il rilascio dell'energia accumulata.

Altri elementi ancora che contribuiscono al nuovo modo di concepire il finalismo, l'adattamento, la patologia e, in breve, la vita, vengono studiati in cibernetica, nella teoria dell'informazione, nella teoria dei sistemi e così via. Ma qui voglio richiamare l'attenzione su una caratteristica del nostro tempo, cioè che accanto al venir meno dei modi tradizionali di concepire la mente e la vita, sorgono nuovi modi di riflettere su questi temi, accessibili non solo ai filosofi nelle loro torri d'avorio, ma anche a chi è impegnato nella pratica professionale e all'"uomo della strada". Sotto il profilo storico questi nuovi sviluppi, emersi con chiarezza durante e subito dopo la seconda guerra mondiale, hanno modificato quasi completamente tutto ciò che diciamo e pensiamo sul processo mentale e sul complesso mente-corpo inteso come entità totale, vivente, autocorrettrice e autodistruttrice.

Se ci accostiamo ai fenomeni della mente con questi nuovi strumenti, allora la genetica e tutta la determinazione della forma e della crescita, ciò che determina la simmetria del nostro volto, con un occhio di qua e uno di là dal naso, insomma tutto ciò che è pilotato dai messaggi provenienti dal DNA, può essere riconosciuto come parte dell'organizzazione mentale del corpo: come parte dell'olismo.

Se allora poniamo la doppia domanda: "Che cos'è un uomo, che può conoscere la malattia o il perturbamento o la bruttezza?" e "Che cosa sono la malattia, lo sconvolgimento o la bruttezza, che un uomo può conoscerli?", i nuovi modi di pensare forniscono una risposta unificante, cioè che un sistema di comunicazione autoricorsivo può essere consapevole di disturbi del proprio funzionamento. Può soffrire e avere molti altri tipi di consapevolezza. Può anche essere consapevole dell'armonia del proprio funzionamento e in tal modo forse addivenire a una reverente consapevolezza del sistema più ampio e più comprensivo e della sua bellezza.

Credere che non esiste una mente distinta dal corpo e (naturalmente) un corpo distinto dalla mente e agire di conseguenza non significa affrancarsi da ogni limite. Significa accettare una nuova disciplina probabilmente più rigorosa della vecchia.

Questo mi riporta alla nozione di responsabilità. È una parola che di solito non uso, ma qui la voglio usare con tutto il suo peso. Come si deve interpretare la responsabilità di coloro che si occupano dei sistemi viventi, della vasta ed eterogenea folla di entusiasti e di cinici, di generosi e di avidi? Tutto costoro, individualmente o collettivamente hanno la responsabilità di un sogno, che è poi il modo di porsi di fronte alla domanda: "Che cos'è un uomo, che può conoscere i sistemi viventi e agire su di essi, e che cosa sono questi sistemi, che possono essere conosciuti? Le risposte a questo duplice enigma devono essere costruire intrecciando insieme la matematica, la storia naturale, l'estetica e anche la gioia di vivere e di amare: tutte contribuiscono a dar forma a quel sogno. Ho ricordato prima che fa parte della natura umana apprendere non solo dettagli ma anche profonde filosofie inconsce, diventare ciò che fingiamo di essere, assumere la forma e il carattere che la nostra cultura ci impone. I miti in cui la nostra vita è immersa acquistano credibilità via via che diventano parte di noi, indiscutibili, profondamente immersi nel carattere, spesso a livello non consapevole, sicché sono essenzialmente religiosi, sono oggetto di fede.

È verso questi miti, e verso le forme che potranno prendere in futuro, che sono responsabili tutti i nostri costruttori di miti, dai poeti agli scienziati, ai politici e agli insegnanti. I medici e gli avvocati e i media sono tutti responsabili dei miti dinamici, delle risposte che essi danno all'enigma della Sfinge.

*Estratto da "Dove gli angeli esitano". Queste note sono state scritte da Bateson negli anni '40.