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La malattia è denaro. Le intercettazioni della clinica S.Rita

di redazionale - 10/06/2008

 
La malattia è denaro. Lo scrive il giudice di Milano. «La sofferenza cagionata da inutili se non dannosi interventi chirurgici - sottolinea il gip nell’ordinanza di custodia cautelare - diventa il mezzo per procurarsi i guadagni». Quanto, con quali mezzi e con che indifferenza alle vicende umane, lo raccontano le intercettazioni telefoniche.

La protesi Tutti muoiono. Ma a chi è anziano, tocca prima. E, per questo, ci si può fare meno scrupoli. Così il dottor Scarponi («U») parla con una certa Stefania («I»). È il 5 luglio 2007. I: «Però c’è una diatriba perché la sterilizzazione non lo può risterilizzare perché arrivano in confezione sterile... Ci ho appena parlato, non me lo ritira... perché eh.... se loro dovessero ritirare tutti i chiodi che si aprono per sbaglio andrebbero in malora». U: «Eh, lo rimpiantiamo». I: «Ma se non ve lo sterilizza, cos’è che rimpiantate?». U: «Beh certo, mica lo butterà via... sei matto...». I: «Ascolti una cosa, l’ho chiamato per sensibilizzarlo e per dire “state attenti quando aprite una cosa” perché costa 455 euro più Iva». U: «Senti, io se vuoi sotto la mia responsabilità lo reimpianto subito in qualsiasi malato, subito lo reimpianto [...]. Se il malato di novanta anni, novantacinque anni ha una brevissima aspettativa di vita. Eh, novantenni ne abbiamo ogni giorno».

Il malato non scappa Prima regola, operare. Anche quando non serve, anche se è pericoloso. E persino il consulente della clinica («U»: utente) è preoccupato. Così, chiama il notaio Pipitone («I»: interlocutore). È il 7 luglio del 2007. U: «È incredibile, forse è meglio se ci vediamo». I: «Sì». U: «L’anamnesi della cartelle è veramente disastrosa, ecco, poi uno non può fare un intervento. In alcuni casi sono proprio sconcertanti. Non giustificati». I: «Le volevo dire che questa corsa all’intervento chirurgico...». U: «Cioè, che bisogno ha, il malato non scappa, non è che muore domattina se tu non intervieni. Capisce, questo è il problema».

Macchine da guerra La medicina è business, ogni intervento arricchisce. E qualcuno è in prima linea. Il 18 luglio, un medico della Santa Rita parla del dottor Renato Scarponi. U: «Se prende una macchina da guerra come Scarponi, che opera anche quelli che non hanno bisogno, che si mette a contraffare le cartelle... Lui guadagna, poi fanno le ispezioni a campione e non è mica detto che acchiappino Scarponi, intanto lui ha guadagnato, però».

Scuola di Tbc È il 30 settembre del 2007. Conversazione tra due dipendenti della Santa Rita. U: «Ha operato un ragazzo che deve aver avuto un pneumotorace, poi lo ha dimesso, questo è stato male, il medico lo ha mandato alla Marelli, e lì gli hanno trovato la Tbc. Il ragazzo è andato a scuola e ha infestato la classe». I: «Oh, Madonna». U: «Ma il problema è che lui non eseguiva io protocolli per la tubercolosi, cioè lui non fa un minimo di indagine e tutto quello che operava lo passava per tumore, quindi uno che aveva un tubercoloma veniva pagato 20mila euro come un tumore».

Un omicidio da tre lire Se ci scappa il morto, che almeno ne valga la pena. È Brega, al telefono con Presicci, il primo novembre del 2007. B: «Quindi bisognerà dimostrare dal punto di vista clinico che noi operavamo tutto, capito?». P: «Certo». B: «Però se io fossi stato veramente il pazzo, cioè quello che operava i pazienti che non dovevano essere operati, voi dovevate dimettervi, no?». P: «Certo». B: «Non è che può dire che stava lì perché gli interessava portare a casa i soldi. Cioè, cosa fa, concorso in omicidio per portare a casa tre lire, almeno se proprio lo deve fare si faccia pagare di più, no?».

Le "minchiatine" La chirurgia non va per il sottile. In caso di dubbio, si opera. Il 26 novembre scorso, Pansera («U») commenta con un collega («I») il lavoro del dottor Brega. U: «Il discorso è che detto tra noi la Tac a lui serviva per vedere anche i cazzilli, le minchiatine». I: «Certo, che lui va a operare». U: «Che lui giustificava di andare a operare, ovviamente. Io non ho mai visto così tanti traumi toracici operati, dai... quelle robe lì sono scandalose».

Maledetti anestesisti Gennaio. Brega non riesce a operare una paziente ultranovantenne. I medici del San Carlo, che la hanno in cura, hanno opposto il rifiuto. B: «Mi hanno bocciato la mammella novantenne, gli anestesisti mi hanno proprio rotto i coglioni, ma io lo sapevo, questo qui è un deficiente». I: «Perché te l’hanno bocciata?». B: «Perché dicono che ha avuto l’insufficienza respiratoria, ha avuto un arresto respiratorio e senza rianimazione è un rischio». I: «Certo». B: «Cioè, è una grandissima cagata».

Questione di soldi L’equazione è semplice: più operazioni, maggiori rimborsi. E guadagni per la casa di cura. E, a cascata, per i medici. Gianluca Merlano («U») è al telefono con Brega. U: «Ma è ovvio che scusa nel momento in cui il tuo datore di lavoro ti dice “più o operi più ti pago” cioè si induce per forza in modo più o meno subliminale un atteggiamento aggressivo nel chirurgo». I: «Certo». U: «E poi te l’ho sempre detto, lui (Pipitone, ndr) non ha mai verificato i primari sulla base di criteri di appropriatezza, protocolli, produzione scientifica, ma esclusivamente sulla base del fatturato».

Ancora, e più semplicemente, una dipendente spiega al cellulare (è il 20 luglio) che «è normale che sia così, perché quando un chirurgo è pagato a prestazione, se vuole guadagnare deve fare più prestazioni...». E di Pipitone, dice che «prenderà i più delinquenti del mondo che gli faranno guadagnare miliardi». «Lui deve capire - prosegue - che non può far venire a lavorare dei banditi». Poi, «parliamoci chiaro, quando un intervento viene pagato 8mila euro e noi ne prendiamo 700, gli altri 7mila e 300 se li prende il Pipitone». Infine, basta poco per ottenere rimborsi «gonfiati». È il 30 luglio 2007. U: «Loro dicono, “tu non è che devi dimetterla, devi tenerla in acuto e moriva in acuto e il Drg che ti prendevi era quello dell’acuto”». I: «Ma anche...» U: «Riportandola in riabilitazione chiudi l’acuto e in più ti intaschi quattrocento euro dei quattro giorni che ha fatto in riabilitazione».

Arsenio Lupin Gli avvisi di garanzia sono arrivati. Brega, il 30 settembre scorso, invia questo sms. «Ormai non dormo più. Sono disperato. Tra le cartelle chissà quante saranno pompate e mi arresteranno come truffatore. L’Arsenio Lupin della kirurgia». Scritto così, con la «K». Ma Brega, agli arresti non ci finirà solo come truffatore. Qualcosa di peggio. Omicida.

Il paziente innanzitutto Suona come una beffa. Eppure lo dice. Brega («U») concorda al telefono con Fabio Presicci («I») la linea «difensiva» da tenere davanti ai magistrati. Primo, nascondere le prove. Secondo, negare l’evidenza. È il 30 settembre 2007. U: «Nascondiamo la lastra. Bisogna fare così con tutti. Eh, bisogna metter via tutte delle prove di dove hanno sbagliato tutte le Tac». I: «Perché sennò alla fine questi ci danno addosso». U: «Quindi, da questo punto di vista non ci possono rompere le palle. Ci diranno “però avete fatto un intervento che viene pagato molto di più di una prestazione eccetera”, ma noi gli diciamo che abbiamo privilegiato il paziente»