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Dati biometrici nei licei francesi: la schedatura biotecnologica

di Anan Maria Merlo - 27/01/2006

Fonte: Il Manifesto



Un processo in corso al tribunale di Evry (la sentenza di primo grado è attesa per il 17 febbraio) sta mettendo in luce un fenomeno della società del XXI secolo destinato a diventare incombente: il controllo delle persone attraverso le nuove tecnologie biometriche. Si tratta del primo processo del genere in Francia. Tre giovani sono sotto accusa per aver distrutto due macchine biometriche, poste all'entrata della mensa scolastica di un liceo di Gif-sur-Yvette, dove gli allievi sono obbligati di infilare la mano per essere «riconosciuti» dall'apparecchio, che in caso positivo dà il via libera all'entrata nella sala da pranzo. «La particolarità di Gif-sur-Yvette - spiega l'avvocata che li difende, Irène Terrel - è che si tratta di apparecchi biometrici piazzati all'entrata della mensa, dove i ragazzi devono mostrarsi in regola.

Per esempio, se non hanno pagato non possono mangiare. In quel liceo l'installazione degli apparecchi non ha avuto il permesso della Cnil (Commissione nazionale informatica e libertà), imposto peraltro dalla legge. E' un'azione illegale, tra l'altro punita fino a 5 anni di carcere, perché è illegale raccogliere dati personali». Gli studenti avevano l'intenzione di denunciare la presenza di questi apparecchi di controllo new age: «Sono venuti per rappresentare una scena teatrale, senza violenza - prosegue Irène Terrel - in occasione di questo happening volevano informare gli allievi sui pericoli di queste macchine». Vestiti come dei clown bianchi, hanno denunciato il super-controllo e non si sa bene chi abbia poi spaccato gli apparecchi. Un movimento di solidarietà con questi studenti sta nascendo. «Molte associazioni di difesa dei diritti umani, un ex direttore della Cnil e alcuni pedopsichiatri sono venuti a testimoniare per denunciare i rischi che vengono fatti correre ai ragazzini quando vengono messi di fronte a delle macchine», spiega l'avvocata, che denuncia «i video di sorveglianza e tutte le altre misure che trasformano l'educazione e la pedagogia in qualcosa di coercitivo che non ha più nulla a che vedere con lo sviluppo dello spirito critico» e che fa entrare nelle scuole quello che è ormai la prassi sulla pubblica via, con video di sorveglianza dappertutto, mentre ormai il passaporto biometrico è diventato obbligatorio anche nell'Unione europea. Il caso del liceo di Gif-sur-Yvette non è isolato in Francia. «Attualmente esistono una decina di licei che hanno adottato questi apparecchi biometrici - racconta Irère Terrel - e la metà sono illegali». Dietro l'installazione di questi apparecchi c'è la risposta repressiva ai fermenti esistenti nelle scuole francesi, ma anche il risultato di «un lavoro di lobby - spiega l'avvocata - perché dietro esiste un mercato colossale. Sei mesi fa, è stato pubblicato un libro blu redatto da un consorzio di imprese che lavorano su queste tecnologie, destinato al governo. Spiegano che per combattere la reticenza sollevata da queste macchine sarebbe opportuno condizionare le mentalità fin dalla più tenera età, dall'asilo, presentarle sotto un aspetto ludico, per far sì che la prossima generazione di adulti le accetti senza protestare». Per Irène Terrel «una delle rivendicazioni degli accusati è sottolineare che è grave che delle nuove tecnologie del genere vengano installate senza essere precedute da nessun dibattito democratico, che vengano messe in opera in modo insidioso, così i cittadini non si rendono conto di quello che succede e quando se ne renderanno conto sarà troppo tardi». Il comune di Parigi, che per la legge di decentralizzazione del 2004 può intervenire in questo genere di scelte, ha chiesto la sospensione dell'utilizzazione degli apparecchi biometrici nelle scuole della capitale dove i presidi avevano deciso di farvi ricorso.

L'ex direttore della Cnil che è venuto a testimoniare a Evry, Louis Joinet, afferma di aver voluto intervenire al processo «perché si vuol fare accettare la tracciabilità a dei bambini di 3 anni. Perché si vuole dir loro che è normale che il loro corpo sia uno strumento di controllo, come se fossero delle bestie». Per Irène Terrel, si vuole «trasformare il corpo in codice barra» senza porre la questione democratica che sta dietro questa scelta.