Caro Totò,
lo stesso giorno in cui mi è arrivata la tua lettera sulla direttiva europea che proibisce ai rumeni di usare carri trainati da cavalli per trasportare merci e persone, il quotidiano la Repubblica ha pubblicato un articolo del suo corrispondente dagli Stati Uniti sulla nascita di movimenti che rivendicano il diritto di stendere il bucato all’aperto. Non ci volevo credere! Eppure ho letto che in tutto il Nord America è vietato per legge da anni. La conseguenza è stata che in tutte le case oltre alla lavatrice c’è anche una asciugatrice elettrica. Hai idea di quanta energia consumino queste macchine? Più di un frigorifero, che sta acceso 24 ore tutti i giorni. Il 6 per cento della bolletta di una famiglia. Col petrolio a 100 dollari al barile (ma correrà ancora) e con l’aggravarsi dei mutamenti climatici sono cominciate le proteste contro una norma che a me pare priva di senso.
Come si fa a proibire per legge di stendere i panni al sole? Sulla base di quali motivazioni? Dicono che non sia decoroso. Ricordi che durante il G8 svoltosi a Genova nel 2001, l’allora, e purtroppo per la terza volta di nuovo, presidente del Consiglio italiano invitò gli abitanti della città a non farlo nei giorni dell’incontro internazionale? Altrimenti avremmo dato al mondo l’idea di un paese arretrato e arcaico. Simbolo di arretratezza, li definisce l’occhiello dell’articolo di Repubblica.
A me ha sempre messo allegria vedere i panni stesi all’aperto. È un’immagine vivace e colorata, che associo alla freschezza, all’odore di pulito, al canto, a una vita operosa, ai pettegolezzi delle comari, al profumo del pane appena sfornato, al sorriso delle ragazze, alla socialità. Ma se si stende all’aperto non occorre comprare le asciugatrici, si consuma meno energia, si deve importare e raffinare meno petrolio, non bisogna costruire altre centrali elettriche, si riduce il trasporto delle merci, il consumo di carburante e l’usura dei TIR. Insomma, crescono di meno il prodotto interno lordo, l’occupazione nell’industria e gli introiti fiscali dello Stato. Per i cantori della modernità, del cambiamento e dell’innovazione sarebbe una catastrofe. Lo sarebbe davvero o, invece, si starebbe meglio?
Se si consuma meno energia elettrica e meno carburante diminuiscono l’inquinamento atmosferico e l’effetto serra, le malattie respiratorie e i tumori, i rischi di desertificazione e le carenze di acqua. Se si riduce l’autotrasporto delle merci si snellisce il traffico e si riduce l’incidenza degli incidenti stradali. Se non si devono acquistare le asciugatrici e diminuisce la bolletta elettrica, o si ha bisogno di meno soldi e si può lavorare di meno, o si può arrivare alla quarta settimana con meno affanno. Per non parlare dei rifiuti che diminuirebbero in proporzione con la riduzione del consumo di merci. Non mi sembra che sarebbe un gran danno. Per quanto riguarda l’occupazione, se cresce di meno nell’industria, crescerà il numero delle persone che saranno indotte a lavorare in un’agricoltura di qualità e meno impestata, dove il rapporto tra il numero dei produttori e le quantità prodotte è necessariamente più alto. E se più gente vive e lavora in campagna si riduce il congestionamento delle città. Se poi lo Stato incassa meno soldi si faranno meno rotonde, meno strade, autostrade e grandi opere, con un grande vantaggio per la natura e la qualità della vita.
Sarà che ho preferito evitare d’infilarmi nel flusso della modernità, che detesto i cambiamenti quando non servono, che non identifico ogni innovazione con un miglioramento, ma non riesco a spiegarmi in base a quali considerazioni indimostrate e indimostrabili si continua a ripetere come dischi rotti che il benessere si misura con la crescita del pil. Mi pare, anzi, che succeda proprio il contrario: sempre più spesso per far crescere il pil si sacrifica il benessere e si peggiora la qualità della vita, come dimostrano questi divieti assurdi che obbligano a consumi assurdi. Né io, né tu, abbiamo mai avuto un’asciugatrice e non ci siamo mai sentiti poveri per questo. Quando ripiego i panni asciugati al sole, mi piace da matti sentire il loro profumo. E sono contenta perché non mi è costato nulla, non ho inquinato, non ho respirato gas di scarico in una coda automobilistica per andare a guadagnare i soldi necessari a pagare l’asciugatrice e l’elettricità che consuma. Mentre i panni me li asciugava il sole, il tempo che i cittadini sprecano in automobile io l’ho impiegato a leggere. Il tempo che sprecano a fare un lavoro alienante per avere i soldi per pagare l’asilo nido e la baby sitter, l’ho impiegato per giocare con mia figlia, il tempo di lavoro che occorre per pagare il dog sitter l’ho utilizzato per passeggiare col mio cane nel bosco. Sono più libera io che vivo all’antica, in modi sorpassati e arcaici, o chi crede di essere emancipato perché fa un lavoro salariato da cui ricava i soldi necessari a rispettare i divieti e gli obblighi che gli impone la modernità per far crescere il pil? Ti sembra concepibile che si debba lottare per conquistare il diritto di stendere i panni al sole, si debbano fare petizioni per abrogare la legge che lo proibisce? Non è buffo che si consideri un progresso tornare indietro? Che in Canada un’azienda elettrica metta in palio come premio 75.000 fili stendibiancheria? Che le vendite di mollette in Gran Bretagna abbiano fatto registrare un incremento del 1000 per cento in quattro mesi?
C’è più futuro nei panni stesi tra le case nei vicoli di Napoli o nelle protesi elettromeccaniche di cui la modernità ci ha fatto credere che non possiamo fare a meno? Nella conservazione o nel cambiamento? Nella speranza illusoria di una fonte energetica illimitata e pulita o nei fili stendibiancheria? Solo un Dio potrà salvarci, ha scritto Heidegger. E perché dovrebbe farlo?, dici tu. Non lo so, ma negli aumenti del prezzo del petrolio mi sembra di vedere il segno che si è mosso a compassione di noi.
Un abbraccio dalla tua
Delfina