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"Tradizionalismo" cattolico fra Europa, Occidente e Islam*

di Francesco Maria Agnoli - 30/01/2006

Fonte: http://www.kelebekler.com/occ/europa00.htm

La guerra in Iraq e i rapporti del mondo occidentale in generale ed europeo in particolare col mondo musulmano, in fatto conflittuali come non mai su vari fronti - primissimo in Italia e in Europa quello di una massiccia e incontrollata immigrazione, spesso trascurata da politici e media, ma costantemente alla preoccupata attenzione della gente comune - hanno provocato una grave frattura all'interno di quel laicato cattolico che si suole definire come "tradizionalista" e che, anche quando evitava impegnative adesioni partitiche, aveva spesso (a volte in mancanza di meglio) nella Destra (includendo nel termine, del resto impreciso, una parte delle correnti interne alla Democrazia Cristiana), il suo punto di riferimento politico, quanto meno sotto l'aspetto elettorale.

Questo laicato cattolico tradizionalista (l'unico di cui intendo occuparmi in questa sede, anche se la divisione attraversa, forse in modo meno drammatico, altri settori, sia del mondo cattolico non tradizionalista, sia della Destra, non specificamente classificabili come cattolici) appare ora diviso fra un'ala occidentalista, favorevole alla politica mondiale dei neocons statunitensi e del presidente Bush, e quella che, per il suo presunto filo-islamismo, il cattolico tradizionalista [ex? - ndr]
Massimo Introvigne ha definito sul "Giornale" del 3 maggio scorso, con qualche esagerazione, una "lobby di destra, negatrice dei valori occidentali".

Fino agli ultimi mesi del 2004, i cattolici supposti filo-islamici, pur non rinunciando a diffondere le loro opinioni attraverso i non molti mezzi di comunicazione disponibili ad ospitarle, indirizzavano le critiche più aspre e decise direttamente contro la politica dell'attuale amministrazione americana e solo in parte e con i toni tutto sommato pacati di un dissenso più che politico, culturale e teologico (è quest'ultimo un aspetto assai rilevante, brillantemente affrontato da Luigi Copertino in due recenti scritti pubblicati nei primi due numeri di questa rivista, ma che si preferisce trascurare in questa sede per la prevalenza data agli aspetti dell'attualità politica), nei confronti di quelli che erano stati fino a poco prima loro compagni di strada. La situazione è radicalmente cambiata a seguito dell'intervento sul sito Internet della rivista americana "National Review" di due occidentalisti, Morigi e Vidino, il primo molto noto nel mondo tradizionalista italiano, che hanno accusato il professore universitario Franco Cardini, conosciutissimo medievista e presidente dell'associazione "Identità Europea", di essere il leader di integralisti cattolici da loro definiti "membri di organizzazioni fanatiche di estrema destra che apertamente sostengono tesi revisionistiche sull'Olocausto e pensano che tutto il male del mondo sia frutto della "congiura sionista".

Franco Cardini ha reagito con una querela per diffamazione, che consentirà di ristabilire la verità dei fatti ed è forse servita per ora a smorzare i toni, ma non ad evitare ulteriori attacchi da parte di chi lo ha scelto a bersaglio per colpire e screditare, con lui e attraverso di lui, l'intero mondo dei presunti "anti-occidentalisti di Destra", non tutti necessariamente cattolici tradizionalisti (la cultura di Destra si presenta oggi alquanto variegata), ma in gran parte tali. Così, nel sopraccitato articolo, Massimo Introvigne (con molto ottimismo, per quanto riguarda le potenzialità della pretesa lobby) lo colloca a capo di "una vera e propria lobby filo-islamica che opera nell'ambito della cultura di centrodestra, e che - se ha in Cardini il suo esponente più brillante - appare sempre più organizzata con riviste, siti Internet, attività insistita di più di un giornalista".

Al di là delle polemiche, che stanno sempre più assumendo l'intensità caratteristica dei contrasti fra ex-amici che si pretendono tutti unici veri titolari dell'ortodossia (come si è appena accennato, il versante teologico del contrasto è tutt'altro che secondario), il problema è reale, anche e soprattutto sul piano dei fatti concreti delle mutazioni politiche, sociali e antropologiche, in quanto posto da avvenimenti che di qui a 15-20 anni potrebbero radicalmente modificare la civiltà europea e/o occidentale quale la conosciamo e appunto per questo meriterebbe di essere affrontato con toni più pacati e, soprattutto, con maggiore intelligenza, cominciando col prendere atto che il problema dei rapporti con l'Islam non può essere separato da altri problemi interni all'Europa o, se si preferisce, all'Occidente.

Scrive a questo proposito nel n. 0 della nuova rivista "Radici cristiane" il professor Roberto de Mattei, certamente non sospetto di antioccidentalismo o di filoislamismo, come dimostra anche il brano che si riporta (nella parte finale, qui omessa, si afferma la superiorità della Civiltà occidentale ed europea sulle altre civiltà umane):

"…la nostra terra, che qualcuno ha efficacemente ribattezzato Eurabia, è invasa da una molteplicità di nuovi evangelizzatori pronti ad alzare la bandiera di una religione e di una cultura estranee alla nostra storia e alle nostre tradizioni.

[…] Di fronte a questa minaccia, non dobbiamo avere paura di pronunciare il nome Islam. Gli uomini politici che governano l'Europa mostrano di non comprendere quanto vasta sia la sfida lanciata all'Occidente l'11 settembre 2001. Gli uomini di Chiesa, da parte loro, non sempre misurano la portata della crisi che si insinua persino negli ambienti religiosi, quando il dialogo con le altre civiltà viene condotto rinunciando alla propria identità religiosa e culturale.

[…] Esiste però uno "scontro di civiltà" interno all'Occidente non meno pericoloso di quello che lo minaccia dall'esterno; esso è anzi più insidioso perché assume il volto di un relativismo religioso e morale che dissolve ogni ordine oggettivo di valori, incrinando il sentimento di consapevolezza di se stessa che deve avere l'Europa".

Situazioni, fattori, scontri, forze e debolezze profondamente intrecciati, che, come ha detto in una recente intervista Rocco Buttiglione, potrebbero portare alla fine dell'Europa:
"L'Europa si suiciderà, perché questo nichilismo indica il percorso di un suicidio dell'Europa nel senso letterale. Se noi non avremo più bambini fra cent'anni, duecento al massimo, l'Europa non ci sarà più! Il problema non è che l'Islam venga ad islamizzare l'Europa, il problema di fondo è: che male c'è se l'Islam viene ad occupare delle terre che, attraverso il suicidio culturale ed anche fisico, gli europei avranno lasciato deserte?".
Di questa situazione e di questi pericoli i due gruppi ora contrapposti del tradizionalismo cattolico sono perfettamente consapevoli, ed in particolare condividono la convinzione che relativismo e nichilismo sono il frutto avvelenato del progressivo distacco dalle radici cristiane dell'Europa e, anche se con minore assolutezza e convergenza di consensi, dell'intero mondo occidentale.

Tuttavia, è appunto sulla base di questa opinione sostanzialmente comune che si innestano i primi motivi di dissenso, che riguardano non tanto la misura, maggiore o minore, del fenomeno di scristianizzazione sulle due sponde dell'Atlantico (è anzi diffusa opinione che oggi il popolo americano sia più attento ai valori religiosi di quello europeo), quanto se le due sponde facciano veramente parte di un'unica koiné, che sotto il nome di Occidente comprenderebbe sia l'Europa sia l'America, o più esattamente l'America settentrionale e, meglio ancora, gli Stati Uniti d'America.

Non si tratta, ovviamente, di collocazioni geografiche e nemmeno politico-istituzionali, ma di comunanza di civiltà e, ancora più esattamente, di civiltà cristiana, dal momento che gli occidentalisti hanno fatto proprie le tesi sostenute con particolare vigore da due pensatori cattolici americani, il paleo-conservatore Russell Kirk, che individua nella Cristianità medievale le radici dell'ordine americano (argomento centrale del suo pensiero), e il neo-conservatore Michael Novak, tanto autorevole assertore della continuità spirituale e storica tra Cattolicesimo e modernità liberale da essere stato inviato da Bush in Italia per convincere la Santa Sede della legittimità della guerra americana in Iraq e per ottenere, più in generale, l'approvazione della sua politica nei confronti del pericolo costituito dal fondamentalismo islamico.

È questa distinzione di fondo a costituire la motivazione essenziale dell'ulteriore divaricarsi delle opinioni per quanto riguarda i rapporti con le civiltà o i paesi che sono comunque altro dall'Occidente, a cominciare, nell' attuale momento storico, appunto dall'Islam. Del resto, è proprio nel rapporto con "l'altro" che, da un lato, si valuta l'esattezza delle due posizioni, dall'altro se ne traggono le conseguenze anche sul piano pratico. Se l'Occidente è un soggetto sostanzialmente unitario, unico sarà necessariamente, al di là di qualche sfumatura, il suo modo di relazionarsi con "l'altro"; se invece Europa e America sono, sotto l'aspetto della Kultur e della Civilization, due entità ben distinte, i rapporti con chi non è né Europa né America si porranno in termini diversi fino alla possibilità (semplicemente eventuale, non necessaria) che l'una e l'altra individuino con altri consonanze e affinità maggiori di quelle reciproche.

Le due posizioni sono, a dispetto della relativa brevità, esattamente riassunte nei loro termini storico-culturali da Franco Cardini nel suo libro La globalizzazione e da Marco Respinti in un lungo articolo, "Magna Europa e dintorni" pubblicato dalla rivista "Percorsi", nei quali traducono entrambi il problema odierno in termini antichi, sulla base di un parallelismo, proposto dal neo-conservatore americano Robert Kagan, e in Italia accolto in toto o in parte rifiutato, fra Magna Europa e Magna Grecia.

Respinti, al pari di molti altri occidentalisti delle due sponde dell'Atlantico, recepisce in pieno il parallelo con la Magna Grecia, che - scrive - "è stata anzitutto la "Grecia di fuori", ma, in ultima analisi, la Grecia in tutta la sua maturazione", sicché "l'espressione Magna Europa fornisce… la chiave ermeneutica, che permette d'interpretare con sapidità il concetto di Occidente, liberandolo dal fardello, a volte incapacitante, della mera connotazione geografica e proponendo al suo posto una più profonda e pregna semantizzazione geoculturale (non solo, ma eventualmente anche forte, al proprio interno, di una componente geopolitica).

Questa ha dunque certamente al proprio cuore un'origine geografica (l'Europa come culla della Grande Europa, l' "Europa che è in Europa" come origine dell' "Europa fuori dall'Europa"), ma è definita in realtà più dalla cultura sviluppata da quel luogo che non quel luogo in quanto tale".

Marco Respinti va oltre e, riprendendo dal fondatore di "Alleanza Cattolica", Giovanni Cantoni, il pensiero del filosofo cattolico argentino Alberto Caturelli, attribuisce all'America, all'"Europa fuori dall'Europa", un ruolo particolarmente positivo all'interno della koiné occidentale, attraverso la metafora del "quinto viaggio di Cristoforo Colombo", che, dopo avere portato l'Europa in America, deve oggi "riportare dal Nuovo al Vecchio Mondo i tratti salienti della cultura europea, che in Europa hanno patito plurisecolari oltraggi".

Franco Cardini, che sui rapporti Europa-Occidente ha riportato forse per primo nel dibattito italiano la definizione di Magna Europa e sull'argomento ha scritto più volte, e anche con maggiore ampiezza che in La globalizzazione, cui si fa qui riferimento, avanza anzitutto una premessa ritenuta indispensabile ad una corretta impostazione del problema: la rapida variabilità nel tempo del concetto stesso di Occidente, identificato da Oswald Spengler con l'Europa e solo dopo il primo conflitto mondiale ampliato ad altri popoli e territori attraverso la coniazione del termine (e del relativo concetto) di civiltà occidentale.

Ne consegue che se la premessa è esatta a qualunque soluzione si addivenga sul problema del rapporto Europa-Occidente, questa ha senso e valore solo con riferimento all'attuale momento storico, potrebbe essere sostituita da altra diversa o opposta in un futuro anche prossimo e risultare inesatta per il passato. Quanto poi all'attuale rapporto fra il Nuovo e il Vecchio Mondo, Cardini - che, a differenza di Respinti, non accetta le tesi del Kirk e, in particolare, del Novak - vi individua, in luogo di un quinto viaggio di Colombo che dovrebbe fare ritrovare all'Europa le radici dell'ordine, gli sforzi di certi ambienti conservatori statunitensi per imporre "l'idea che la nuova, vera Cristianità sia l'Occidente egemonizzato dalla superpotenza statunitense e dalle lobby multinazionali e sostenuto dall'asse atlantico della Magna Europa che ha nel continente europeo la sua Grecia votata alla bellezza e alla storia e negli States la sua Roma vigile sull'ordine e sulla pace del mondo".

Idea a suo avviso molto poco convincente, perché "al contrario, molti sono i segni che delineano la realtà di un Settentrione del mondo sempre meno coinvolto nella problematica seriamente religiosa - per quanto magari attento a convivere con le istituzioni ecclesiali e a farsene anzi scudo legittimante - e invece di un Meridione nel quale la religiosità si afferma sempre di più e, sia pure in mezzo ad ogni sorta di equivoco e non senza la forte minaccia della politicizzazione o del sincretismo - le Chiese storiche si vanno ridefinendo e rafforzando".

È interessante notare che l'opinione tradizionalmente vigente in America è molto più vicina agli antioccidentalisti che ai fautori del "quinto di viaggio di Colombo". Scrive al proposito Claudio Finzi, nel tracciare in un suo breve saggio i confini dell'Europa:

"Più chiaro forse il confine occidentale. Non per volontà europea, ma per espressa decisione e sentimento degli statunitensi. Fin dal momento della nascita degli Stati Uniti d'America, dopo la vittoriosa rivolta contro la Corona inglese, gli intellettuali e i politici d'oltre Atlantico, confermando peraltro affermazioni già fatte dai coloni del XVII secolo, hanno sottolineato con forza la distinzione e la separazione fra il loro paese e la vecchia Europa. E basti citare fra i primi e più importanti Thomas Jefferson, personaggio di primo piano, presidente degli Stati Uniti d'America, che afferma a chiare lettere come e quanto l'America sia distinta e diversa dall'Europa. […] Secondo Jefferson la grande fortuna del popolo americano è di "essere separato dal proprio ceppo originario e protetto dalla contaminazione da parte di quest'ultimo e di altri popoli del vecchio mondo, dalla presenza di un così vasto oceano". […] La convinzione della diversità radicale fra America e Europa continua fino ai giorni nostri. L'America, intesa come Stati Uniti d'America, è il paese dove l'uomo buono riesce a sviluppare ordinamenti sociali e politici buoni, mentre l'Europa è il paese del vizio e della corruzione; in America regnano la pace e la libertà, in Europa dominano la discordia e la schiavitù. Il meridiano che deve dividere l'Occidente dall'Europa [si noti l'identificazione dell'America con un Occidente di cui l'Europa non è parte], ha una funzione di salvaguardia dei buoni contro i malvagi; segna una contrapposizione radicale e insuperabile. […] Il confine occidentale d'Europa sembra dunque segnato una volta per tutte: oltre l'Atlantico settentrionale non c'è Europa" ("Quando è nata l'Europa?").
Anche se assai più di un'eco di queste affermazioni è ancora di recente risuonata nelle parole di David Rumsfeld, uno dei principali rappresentanti del governo Usa e campione dei neocos, che ha polemicamente contrapposto la giovane America alla vecchia Europa, non si può escludere che gli americani abbiano cambiato idea, anche perché per effetto dei voli transcontinentali, dei jumbo e ora dei nuovi, giganteschi super-aerei messi in campo proprio dagli europei, il grande oceano si è molto rimpicciolito e ha perso assai della sua capacità "protettiva" contro le "contaminazioni" provenienti dal "vecchio mondo corrotto".

Tuttavia, tutto lascia credere che siano fondati i sospetti (o le certezze) di Cardini e che, dal punto di vista americano, il quinto viaggio di Colombo abbia per scopo l'esportazione della american way of life, in pratica l'americanizzazione (sia o no questo un sinonimo di occidentalizzazione) dell'Europa, il che, del resto, non è totalmente negato nemmeno dagli occidentalisti di casa nostra, che tuttavia, come si è visto, preferiscono parlare di una "riesportazione" dei tratti salienti della cultura europea nella vecchia Europa per aiutarla a ritrovare le radici dell'ordine.

Si tratterebbe comunque di una divergenza di opinioni fra studiosi, storici e politici, di una normalissima contrapposizione dialettica fra due tesi, anche se fin dall'origine non priva, soprattutto da parte americana, di spunti polemici, se a caricare di caratteri di urgenza e di impellente quotidianità una questione tutto sommato teorica (almeno dal punto di vista dell'uomo della strada) non fosse intervenuto il primo dei fenomeni sopra ricordati: il drammatico acuirsi del contrasto col mondo musulmano (poco importa che lo si possa o non definire scontro di civiltà, come alcuni, seguendo la nota tesi dello statunitense Huntington, vorrebbero, e altri, più attenti forse alle formalità della politically correctness che alla sostanza, rifiutano).

La causa originaria del rinnovarsi di questo contrasto, che ha indubbiamente radici più remote e profonde, in forme sempre più violente negli anni seguiti al secondo conflitto mondiale, va con ogni probabilità cercata nella protezione concessa dall'Occidente statunitense allo
Stato d'Israele (non soltanto alla sua sopravvivenza, ma anche alle sue mire egemoniche ed espansionistiche), ma è solo alla fine del secolo appena trascorso e ancor più all'inizio di questo che si determinano a livello mondiale, e comunque (accettando per comodità questa definizione) in tutto il mondo occidentale, elevatissime punte di generale allarme per fenomeni che conservano, soprattutto il primo, solo un legame assai vago con la situazione israeliana.

Si tratta di una immigrazione pressoché in tutti gli stati europei di genti di religione islamica, che ha assunto ormai le dimensioni di una vera e propria trasmigrazione di popoli col rischio, secondo quanto da molti si teme, di una modificazione genetica della civiltà europea, e, ancor più, dell'attacco terroristico dell'11 settembre 2001 alle Torri Gemelle (le Twin Towers) di New York e dei successivi episodi di terrorismo internazionale, che hanno coinvolto tanto l'America quanto l'Europa.

A questi episodi hanno fatto seguito interventi militari in Afghanistan e in Iraq, che, nonostante la contraria opinione dei governi dei paesi coinvolti e la tambureggiante propaganda dei media, almeno in Italia (ma non solo) l'opinione pubblica avverte come autentici conflitti bellici.

Di conseguenza, il problema del rapporto Europa-Occidente o Europa -Stati Uniti (assai minore attenzione viene dedicata, salvo fuggevoli accenni, alla collocazione di altri paesi, che pure hanno popolazioni in larga parte di ceppo europeo, come il Canada, l'Australia, l'America latina) è oggi pesantemente influenzato - sia nei contenuti sia nella trasformazione da dibattito per addetti ai lavori in problema da opinione pubblica - da ragioni di schieramento (anche partitico, all'interno dei diversi Stati europei), a loro volta connesse alla collocazione dell'Europa e al rapporto col mondo islamico.

È difatti evidente che se l'Islam è davvero il nemico mortale dell'Occidente, l'Europa, in particolare se di questo Occidente fa parte, non può chiamarsi fuori da un conflitto nel quale, lo voglia o non lo voglia, è direttamene coinvolta in prima persona, sicché non è un caso che l'adesione a una delle due tesi contrapposte sul rapporto Europa-Occidente (per completezza va ricordata l'esistenza di una terza tesi, eurasiatica, qui trascurata perché assente o estremamente marginale all'interno del tradizionalismo cattolico italiano, ad un tempo punto di osservazione e specifico oggetto di questo scritto) coincida quasi sempre con una radicale diversità di opinioni sul rapporto Europa-Islam, nonché sulla guerra in Iraq.

Dal momento che abbiamo scelto come rappresentanti dei due schieramenti Respinti e Cardini, torniamo a loro. Il primo ritiene che l'espansione europea, dalla quale è nata la Magna Europa, abbia determinato una consapevolezza atlantica di comunanza di valori e civiltà in sostituzione di quella mediterranea, spezzata già nel VII secolo dell'Era cristiana dall'espansione islamica, "per cui i lontani cowboy del Far West degli Stati Uniti e gli ancor più lontani gaucho argentini sono europei a pieno titolo diversamente dagli abitanti dell'altra sponda del Mediterraneo".

Al contrario, Cardini, pur senza negare i momenti di contrasto e anche di scontro bellico, preferisce sottolineare, per l'Europa (non necessariamente per l'Occidente), i momenti di cooperazione, di reciproci apporti. Scrive, difatti:
"In particolare la nostra Europa e l'Islam, che poggiano entrambi le loro radici profonde sul messaggio religioso dei monoteismi abramitici e sull'eredità culturale ellenistica (ve l'immaginate una filosofia scolastica, una medicina, un'astronomia, una matematica, una fisica moderne senza l'originario rapporto islamico?) sono culture profondamente complementari: le si potrebbe considerare addirittura facies differenti di una cultura unica".
A sua volta, il già citato Claudio Finzi sposta (con una prospettiva che nella sua conclusione avrebbe forse necessità di qualche maggiore argomentazione) addirittura in Africa uno dei possibili confini dell'Europa:
"A Mezzogiorno il confine sembra passare in mezzo al Mediterraneo. Con fasi alterne: per un certo periodo i musulmani razziano sulle nostre coste, poi siamo noi a colpire le loro. Oggi la pressione forte viene dall'altra sponda, anche se non è una pressione bellica, bensì demografica e psicologica. Certamente è il confine più insensato, che non trova giustificazioni ed è conseguentemente il più instabile e legato a meri rapporti di forza. Da un punto di vista geopolitico l'Europa paradossalmente o finisce ai Pirenei, all'Arno e alla Narenta, oppure termina al Sahara e al Golfo Persico".
Con tutto questo siamo ancora sul piano di una dialettica culturale, che tuttavia la drammatica contemporaneità degli avvenimenti più volte richiamati ha rapidamente trasformato in supporto di scelte politiche, a volte frutto di ragione, a volte, soprattutto per quanto riguarda le reazioni popolari, o di impulsi sentimentali o, sempre più spesso, di difficoltà di convivenza sotto i vari profili dei rapporti quotidiani con chi è giunto su questa sponda del Mediterraneo provenendo dall'altra, dell'ordine pubblico, del rispetto di credenze e costumi consolidati, della concorrenza nel lavoro e nell'accesso ai benefici dello stato sociale. Un mix esplosivo, del quale si è fatta vigorosamente interprete e - occorre riconoscerlo - con appassionati toni di grande persuasività a sostegno della propria tesi - tutta occidentalista e anti-islamica - la giornalista e scrittrice Oriana Fallaci, ma che ritroviamo anche, in forma molto più pacata e attenuata, nella ricordata intervista di Rocco Buttiglione quando a proposito degli immigrati musulmani afferma:
"Io penso che i musulmani che sono tra noi devono conoscere e rispettare i nostri valori, anche nei simboli. Se non rispettano e non amano i nostri simboli è probabile che non amino noi e allor forse è meglio che non vengano".
Le controversie storico-culturali hanno sempre risvolti sociali e politici e poiché la classe dirigente dell'Italia repubblicana ha fin dall'immediato dopoguerra aderito all tesi dell'equivalenza Europa-Occidente, è questa ad essere stata acriticamente recepita dalla grande maggioranza dell'opinione pubblica e anche di quella parte di essa che si colloca nell'ambito della Destra, inclusa la sua componente cattolica (ancora più generalizzata l'adesione all'occidentalismo del cattolicesimo di Sinistra o di Centrosinistra, che segue in argomento dinamiche sue proprie, spesso ispirate a un generico irenismo, a quella che Vittorio Messori definisce "melassa buonista", quando non addirittura ad una sostanziale resa al relativismo).

Tuttavia, dal momento che, come si è visto, l'ipotesi alternativa di un'Europa distinta e diversa dall'Occidente risale molto in dietro nel tempo, resta da spiegare la subitanea conversione all'occidentalismo in versione statunitense di molti esponenti del cattolicesimo tradizionalista.

Indubbiamente le ragioni della scelta in tutti quei casi nei quali si deve dare per presupposto la buona fede - e sono certamente i più (Marco Respinti, da tempi non sospetti traduttore, divulgatore e allievo spirituale dello storico delle idee Russell Kirk, cattolico nordamericano, è indiscutibilmente fra questi e dispiace che, sia pure in un singolo punto del suo scritto, abbia ceduto alla tentazione di lasciare spazio, con addebiti alla controparte oltre tutto non specificati e argomentati, ad una vis polemica fuori luogo) - sono connesse alla convinzione che la politica dell'amministrazione Bush e dei neocons statunitensi sia la più adeguata a sventare il pericolo del fondamentalismo islamico (i dettami della politically correctness impongono di non seguire l'esempio della Fallaci, che più sinceramente parla tout court di pericolo islamico) e a salvarne la civiltà occidentale.

Questa la motivazione di fondo, la spinta decisiva non solo ad accogliere l'idea della Magna Europa e, attraverso di essa, dell'Europa parte dell'Occidente, ma a farne una questione essenziale, un punto dirimente anche all'interno di ambienti "fino a ieri - scrive Cardini - sospettosi nei confronti di qualunque cosa sapesse di Modernità" e, quindi, dell'Occidente americano o americanizzato, appunto simbolo mondiale per eccellenza della Modernità, come una volta lo era, per un altro genere di "Modernità", l'Unione Sovietica. La preoccupazione di salvare quelli che si definiscono "i valori dell'Occidente" o anche, con l'aggiunta di un aggettivo particolarmente qualificante per i cattolici, i valori "cristiani" dell'Occidente, ha facilitato in molti casi una conversione che ha consentito di dimenticare i sospetti di cui parla Cardini.

La novità è difatti costituita non tanto dalla questione islamica, in termini storici e culturali anch'essa assai risalente nel tempo, ma nel suo recente tradursi in problemi, difficoltà e timori di palpitante quotidianità, e soprattutto nel suo improvviso collegarsi alla questione dell'appartenenza dell'Europa all'Occidente, mentre in precedenza viaggiavano su binari separati ed entrambi, come si è visto, frequentati soltanto da ristrette cerchie di studiosi e pressoché ignorati non solo dal classico uomo della strada, ma anche da quella parte dell'opinione pubblica (certamente non maggioritaria) che da tempo osserva con crescente allarme il fenomeno di scristianizzazione della società italiana ed europea senza per questo porsi l'ulteriore problema del rapporto Europa-Occidente. Non è azzardato affermare che quest'ultimo non si trovasse nemmeno al centro degli interessi e delle riflessioni del cattolicesimo tradizionalista se non in quanto l'America, cuore dell'Occidente, veniva considerata la quintessenza, la locomotiva trainante, il simbolo stesso di quella Modernità concordemente individuata come la vera causa della scristianizzazione per fattori interni della società, tanto in Europa quanto nella stessa America.

Ancora oggi il cuore del problema resta per tutti i tradizionalisti cattolici italiani quello di sempre: la scristianizzazione dell'Europa e/o dell'Occidente. Questione fondamentale e ineludibile per quanti condividono l'opinione (non necessariamente comune ad altri ambienti anche se politicamente qualificabili come conservatori o di Destra, ma nemmeno necessariamente ristretta al Tradizionalismo cattolico) che - vi siano o no divisioni e differenze rilevanti fra l'una e l'altro - senza cristianesimo non avremmo l'Europa e forse nemmeno l'Occidente (su quest'ultimo punto non manca qualche dissenso, connesso al concetto stesso di Occidente), con la conseguenza di un giudizio negativo su fenomeni come il pensiero debole, il relativismo etico, il nichilismo, che tendono a recidere e a far dimenticare le radici cristiane, così determinando non tanto l'appartenenza ad una "Cristianità" che più non esiste, ma la perdita anche delle motivazioni antropologiche a base dell'affermazione del non possiamo non dirci cristiani di Benedetto Croce.

Accade tuttavia che, pur nella comune consapevolezza della molteplicità dei fattori che hanno determinato il fenomeno e minacciano di portarlo in un prossimo futuro ad ulteriori drammatiche conseguenze, alcuni diano la preminenza all'aggressione esterna, altri alla dissoluzione interna.

Naturalmente, le due scelte sono frutto di una diversa valutazione della situazione attuale in ordine tanto alle conseguenze del terrorismo e della crescente presenza islamica in Europa, quanto allo stato della civiltà europea e occidentale, e altrettanto ovviamente comportano accettazione di nuove posizioni e rinunce ad idee e propensioni divenute contraddittorie. I tradizionalisti convertiti all'occidentalismo non solo condividono l'attuale impegno dell'America nel contrastare anche con mezzi bellici il pericolo rappresentato dal mondo (fondamentalista?) musulmano (avvertito anche dagli europei, ma probabilmente, almeno per quanto riguarda la gente comune, con maggiore attenzione al fenomeno dell'immigrazione che a quello del terrorismo), ma intendono anche dare spessore alla "missione salvifica" di cui essa si è autoinvestita e loro stessi la investono, affermando che gli Usa per stroncare il progetto di conquista islamico possiedono, accanto e prima della forza dei muscoli, quella dello spirito, perché il processo di smarrimento dei valori cristiani vi è assai meno avanzato (secondo alcuni sarebbe addirittura in regressione) che in un'Europa giunta a rifiutare anche il semplice riconoscimento delle proprie radici cristiane.

Appunto per questo, come scrive Respinti nel saggio più volte citato, la "riserva" coloniale americana è oggi in grado di dare un contributo decisivo "al focolare veteroeuropeo perché si ravvivi, perché il Vecchio Mondo ritrovi - e rielabori - i caratteri della propria identità culturale grazie al conservatorismo provinciale, coloniale, del Nuovo Mondo".

Un punto di vista che comporta di necessità la revisione del precedente giudizio critico, se non sulla Modernità in generale, sulla Modernità americana (per il vero, occorre dargliene atto, probabilmente mai del tutto o forse per nulla condiviso da Respinti) e, di conseguenza - dal momento che è difficile negarne l'imprinting statunitense - anche su quel sistema, non soltanto economico, ma politico e sociale, che viene definito (soprattutto dai suoi critici) "liberal-liberismo" (qualcosa che appartiene al - o discende dal - liberalismo classico e dal liberismo economico, ma non è a questi esattamente sovrapponibile), che ne costituisce l'essenza. Del resto, gran parte (o la quasi totalità) del mondo tradizionalista italiano è da sempre intimamente persuaso della superiorità della civiltà europea e/o occidentale nella sua versione cristiana su tutte le altre, sicché non è stato difficile per gli occidentalisti che hanno accolto la tesi di Novak e Kirk sulla continuità spirituale e storica tra Cattolicesimo e Modernità liberale recepire dagli States anche l'orgogliosa convinzione che proprio con la Modernità l'Occidente abbia raggiunto un insuperabile culmine di civiltà valido per tutti i tempi e per tutti gli uomini. Solo la civiltà occidentale, difatti, ha prodotto la democrazia e l' ha riconosciuta quale unica accettabile forma di governo. Solo la civiltà occidentale ha elaborato i concetti della tolleranza e del pieno riconoscimento dell'altro, del diverso e, soprattutto, ha proclamato l'esistenza e l'inviolabilità dei diritti umani, nati col cristianesimo, ma portati al loro massimo sviluppo, alla loro piena fioritura dall'ideologia liberale, divenuta ormai l'essenza dell'Occidente, che tuttavia, secondo l'opinione dei tradizionalisti convertiti, ha sempre come punto, non solo di origine, ma di attuale riferimento la cultura e la civiltà cristiane. Come ha scritto Giovanni Cantoni e ribadisce, riprendendolo, Respinti, l'Occidente può tuttora essere descritto come "il luogo primo del riconoscimento, della fondazione, della dichiarazione e del rispetto dei diritti dell'uomo, ovvero di ciò che davvero configura la Grande Europa, il mondo creato nei diversi continenti dall'uomo occidentale e cristiano e dalla sua cultura".
Opposta la convinzione dei tradizionalisti europeisti (definizione preferibile a quelle di antioccidentalisti e, ancor più, di filoislamici), che vedono nel liberal-liberismo, spesso definito anche liberismo selvaggio (e anticamera di un ormai incombente iper- o turbo-capitalismo, già accintosi all'opera di dissoluzione degli Stati nazionali e di azzeramento delle identità tecniche, culturali e cultuali), il principale fattore di disgregazione anche morale della società e di cancellazione di ogni suo carattere cristiano.

Per di più, a loro avviso, questo tipo di civiltà non è emendabile, proprio perché (cito ancora Cardini) "uno dei limiti più gravi e pericolosi della cultura occidentale e liberal-liberistica è quello in forza del quale si ritiene che tale cultura sia il vertice massimo e ultimo delle conquiste etiche e civile del genere umano" e tutto ciò che si può concedere in ter- mini di tolleranza ai portatori di culture diverse, che ancora non hanno raggiunto questo "insuperabile top della civiltà" è di attenderne la maturazione e il passaggio all'individualismo e al liberal-parlamentarismo occidentali, salvo forse che per i cattolici, oggetto, proprio in America, di una violenta campagna diffamatoria, che ha ingigantito e drammatizzato alcuni (riprovevolissimi) episodi di pedofilia ad opera di sacerdoti e prodotto libri come Il Codice da Vinci e film come Le Crociate, che addirittura risolve a favore del secondo il confronto fra Cristianesimo e Islam, autorizzando più di un dubbio sulle illusioni degli occidentalisti a proposito di chi in America venga considerato il vero nemico della Modernità.

In realtà, anche i tradizionalisti rimasti o forse divenuti ancor più diffidenti di fronte alla Modernità considerano democrazia e diritti umani, se ricollegati alla loro matrice cristiana (quanto meno una parte del pensiero liberal-liberista tende oggi, come nota acutamente Luigi Copertino, ad attribuirgli un'origine diversa e addirittura opposta), esiti positivi della civiltà occidentale (o europea) in un momento felice del suo sviluppo (che non coincide necessariamente con quello della loro proclamazione).

Tuttavia, proprio perché pienamente li condividono (nel loro valore originario), sono altrettanto dolorosamente consapevoli dei fenomeni degenerativi apportati dalla Modernità, sicché oggi su entrambe le sponde dell'Atlantico l'Occidente liberal-liberalistico, ben lungi dal garantirli nella loro originaria e irrinunciabile essenza, sta corrodendo dall'interno tanto la democrazia (che - per indicare uno dei punti di frizione degli anni che stiamo vivendo- non può essere, senza contraddizione, esportata con la violenza e le armi), quanto i diritti umani fino ad averli a volte già trasformati nel loro opposto, tanto che si è arrivati ad avere timore della cosiddetta religione dei diritti. Per l'edificazione di questa nuova religione si adoperano in prima linea l'Onu e l'Unione Europea (una collaborazione che si traduce in un forte argomento a favore dell'identità fra Europa ed Occidente), all'opera per moltiplicarli, relativizzandoli e indebolendoli nell'ansia di specificarli, per brandirli poi contro il cristianesimo, come scrivono Eugenia Roccella e Lucetta Scaraffia nel loro recente libro edito da Piemme, Contro il cristianesimo. L'Onu e l'Unione Europea come nuova ideologia. Non per nulla, il primo ad essere investito da questo fenomeno di corrosione dall'interno (ma non il solo: basti pensare a quanto sta accadendo alla libertà di opinione), il primo ad essere relativizzato, indebolito, parcellizzato e infine radicalmente trasformato con l'affiancargli tutto uno spezzatino di diritti di contorno, ma in fatto prevalenti (alla procreazione, alla salute, alla dignità della vita, ecc.) è stato proprio il più essenziale di tutti i diritti umani, il diritto alla vita, in nome del quale, attraverso l'aborto, la manipolazione genetica, gli esperimenti sugli embrioni, l'incombente deriva eugenetica, la ricerca scientifica di una schiera di Frankenstein e dr. Mengele, la vita dei più deboli viene sacrificata alla qualità della vita, al benessere, addirittura al piacere sessuale e alle voluttà consumistiche dei più forti.

Dal momento che, in una visione cristiana, senza l'assoluto rispetto del diritto alla vita, tutti gli altri perdono di senso, in quanti non credono che la civiltà si identifichi sic et simpliciter col progresso tecnico cresce di giorno in giorno il sospetto dell'inconsistenza del mito del top di civilization conseguito dal liberal-liberalismo e si fa più pressante e tormentoso il dubbio se - superate alcune barriere (certamente alte e difficili) di pregiudizi, di abitudini quotidiane e anche (ed è il punto più arduo) dell'incertezza sulle aspettative e le vere intenzioni della possibile controparte (le previsioni e le appassionate invettive di Oriana Fallaci e di altri sul futuro dell'Eurabia non sono prive di una drammatica forza persuasiva) - per salvare quanto meno il diritto alla vita (altri sembrano essere, almeno per il momento, estranei alla visione islamica del mondo), non risulti più facile, utile e costruttiva la collaborazione con l'Islam che con il nichilismo relativista ed egoista del pensiero debole occidentale. *

*L'articolo qui pubblicato dal numero 4 (2006) della rivista Alfa e Omega (Direzione via San Francesco 45, 15100 Alessandria).