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(Da quale pulpito...) Patto atomico India-Usa: l’alleanza anti-Pechino

di Federico Rampini - 09/07/2008

 

 

I comunisti indiani escono dalla maggioranza di governo. Protestano contro l’accordo nucleare con gli Stati Uniti, che denunciano come una «svendita» dell’indipendenza di New Delhi in politica estera. Per il premier Manmohan Singh la rottura è fonte di sollievo. L’ha appresa qui sull’isola giapponese di Hokkaido, dov’è giunto per partecipare ai lavori del G-8 nella parte riservata al dialogo con le potenze emergenti. Oggi Singh avrà un colloquio bilaterale con George Bush e potrà dargli la gradita notizia: il patto nucleare Usa-India va avanti, la sua approvazione non è più bloccata dal veto dei comunisti. Per sopravvivere in Parlamento il premier può contare, oltre che sulla maggioranza relativa del suo partito (il Congresso guidato da Sonia Gandhi) anche su un nuovo alleato: il Samajwadi, una forza politica regionale radicata nel nord dell’India, di colore socialdemocratico. L’anno prossimo comunque si voterà per il rinnovo della legislatura, e Singh vuole incassare l’intesa sul nucleare prima di affrontare uno scrutinio elettorale ad alto rischio.

 

Questo patto atomico fra Washington e New Delhi, in gestazione da più di due anni, è al centro di controversie accese, ed è oggetto di valutazioni diametralmente opposte. Perla sinistra radicale indiana non ci sono mai stati dubbi: l’abbraccio di Washington segnala fine della tradizione di autonomia della politica estera indiana. New Delhi dalla fine degli anni Cinquanta fu uno dei promotori e dei paesi-guida del movimento dei paesi non allineati (da cui nacque l’espressione Terzo Mondo) che voleva sfuggire alla logica degli schieramenti Est-Ovest durante la guerra fredda. 

 

Nella realtà la politica indiana finì spesso per essere più vicina all’Unione sovietica, anche per reazione all’appoggio americano al Pakistan. 36 anni fa gli Usa arrivarono a minacciare di spostare la Settima flotta nel Golfo del Bengala, per intimidire il governo di New Delhi durante la guerra contro il Pakistan. Nel 1972 il premier Indira Gandhi diede il via libera all’operazione "Buddha Sorridente", la costruzione di armi nucleari indiane: mirate non solo contro il Pakistan, ma anche a difendere il paese da un eventuale attacco cinese. Il 18 maggio 1974 avveniva il primo test dell’atomica indiana, da parte di un paese che ha sempre rifiutato di aderire ai trattati per la messa al bando degli esperimenti atomici. Quell’atto che spezzava gli equilibri nucleari fu all’origine dell’embargo americano, e provocò anche la nascita del Gruppo dei Fornitori Nucleari, che riunisce 45 nazioni e coordina le regole sull’export di tecnologie e combustibili nucleari.

 

Dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’Urss il quadro è cambiato. Dall’inizio degli anni Novanta l’India grazie al suo formidabile sviluppo economico è stata proiettata verso lo status di superpotenza. L’Amministrazione Bush ha cominciato a corteggiarla assiduamente, nella speranza di poter coinvolgere New Delhi in un "cordone sanitario" di alleati da contrapporre alla Cina. Il patto nucleare è apparso alla maggior parte degli osservatori - in America e nel resto del mondo - come una concessione generosa. In base a questa intesa gli Stati Uniti revocano l’embargo sulle forniture all’India di tecnologia nucleare civile e di combustibile per i suoi reattori. É un’opportunità notevole, in una fase in cui New Delhi investe nel nucleare per ridurre la sua dipendenza dal carbone e dal petrolio.

 

Attualmente l’India produce solo il 3% della sua energia elettrica attraverso centrali atomiche, ma ha deciso la costruzione di 14 nuove centrali e punta a soddisfare il 25% del proprio fabbisogno energetico con l’atomo entro il 2050.

 

Sono temi al centro del G-8 di Hokkaido, dedicato all’emergenza energetica e ambientale.

 

In cambio della levata dell’embargo, che apre a New Delhi l’accesso alla tecnologia nucleare Usa, l’Amministrazione Bush ha chiesto poco: il governo di Singh si è impegnato soltanto per una limitata apertura dei propri reattori civili alle ispezioni dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Iaea). É questa la concessione che i comunisti indiani hanno giudicato intollerabile, denunciandola come un attentato alla sovranità nazionale. Visto che Singh era deciso ad andare avanti, ai partiti della sinistra estrema non è rimasto che uscire dalla maggioranza parlamentare. Non è detto tuttavia che Singh riesca a portare a casa l’accordo. Il suo governo ha perso tempo prezioso. Si avvicina la fine del mandato di Bush, strenuo difensore di un’intesa che in America ha forse più oppositori che in India.

 

Anche in Europa molti sono perplessi per la generosità con cui l’India viene "perdonata" per il suo strappo nucleare, in cambio di pochissime concessioni. Ora l’intesa deve passare al vaglio della Aiea, poi del Gruppo dei 45 Fornitori Nucleari, infine toccherà al Congresso di Washington ratificarla. Se la ratifica non arriva prima delle elezioni presidenziali americane di novembre, potrebbe saltare tutto.