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Prima di Colombo: un bel libro revisionista

di Kim Petersen - 30/01/2006

Fonte: Comedonchisciotte


 

 “1491 New Revelations of the Americas Before Columbus”
di Charles C. Mann

“Quanto sarebbe stato grandioso, il tumulto, se le civiltà indiane fossero sopravvissute nel loro splendore!”
Charles Mann

La lodata Dichiarazione di Indipendenza del 1776, rispecchiando il pregiudizio pieno di orgoglio dei suoi firmatari, insultava le popolazioni [1] originarie di Turtle Island (nel lago Erie, in Ohio N.d.t.), definendole come “indiani selvaggi e spietati”. Per aprire il “Nuovo Mondo” alla colonizzazione, si considerava necessario demonizzare gli occupanti originari.

In “1491. Nuove rivelazioni sulle Americhe prima di Colombo”, l’autore Charles Mann sintetizza abilmente nuove e vecchie informazioni riguardo alle antiche società dell’emisfero occidentale. Mann porta i lettori indietro nel tempo, fino a prima che il navigatore Cristoforo Colombo e la sua ciurma toccassero la spiaggia di Guanahani, che Colombo ribattezzò arrogantemente San Salvador. Le immagini contemporanee delle popolazioni originarie sono state molto influenzate dalle prime impressioni degli europei. Colombo, ad ogni modo, fu di biechi pensieri a riguardo delle popolazioni native.

Nell’introduzione del suo giornale di bordo del 26 Dicembre del 1492, l’esploratore scrisse che non appena una delle sue navi, la Santa Maria, approdò a terra, il ‘re’ dei nativi ed la sua gente ‘dimostrarono molta alacrità e diligenza’ nello scaricare la nave e mettere al sicuro i suoi possedimenti. Il popolo di Hispaniola procurò addirittura una sistemazione all’equipaggio. Tuttavia il pio Colombo meditò: “Son sicuro di poter soggiogare l’intera isola – che penso sia più vasta del Portogallo e con il doppio della popolazione ad abitarla – con i miei uomini [all’incirca 90]. Questi indiani sono nudi, disarmati, codardamente incapaci.”
“Codardamente incapaci?” Come dovrebbe esser descritto l’uso di armi contro un essere umano pacifico e disarmato?

In ‘1491’ Mann offre una prospettiva completamente differente di come fossero le società indigene nell’emisfero occidentale prima dell’arrivo di Colombo, personaggio che Mann stesso ammette non sia stato il primo europeo ad essersi avventurato a Turtle Island. [2] Il libro è un lavoro ben fatto, fondato dal punto di vista scientifico e umanistico, che fa un notevole sforzo per inglobare al suo interno visioni contrastanti. Il lettore è trasportato in un viaggio attraverso l’emisfero occidentale, indietro nel tempo fino a quando l’uomo raggiunse per la prima volta tale emisfero. Mann investiga in modo illuminante l’interno di questo argomento molto disputato accademicamente. ‘1941’ è pieno del vivace disaccordo (che si trova) tra i ricercatori che spesso si allontanano dai confini delle buone maniere accademiche – deridendo coloro che non sono specialisti accademici e diffamando i colleghi che sostengono ipotesi contrastanti, che si leva dalla tendenza poco scientifica a proteggere teorie proprie o comunque preferite. Con osservazioni personali a far da sfondo, Mann esamina gli indizi, fino al punto di retrodatare l’apparizione delle prime popolazioni originarie, oltre l’ipotizzato approdo a Beringia ( quella ‘terra-ponte’ che una volta univa la Siberia all’Alaska), durante l’ultima era glaciale, all’incirca 15.000 anni fa. Lo studioso sfida l’opinione secondo la quale le popolazioni native sorsero tutte da un ceppo primordiale di asiatici. Nuovi indizi attestano che le popolazioni originarie arrivarono nell’emisfero dai 33.00 ai 43.000 anni fa; si ipotizza inoltre che i nuovi arrivati approdarono con molte probabilità in tre differenti ondate.

Dato il lungo lasso di tempo, non può che ritenersi naturale aggrapparsi alla nozione secondo la quale l’emisfero fosse scarsamente popolato – nozione contraria alle prime osservazioni di Colombo; ad esempio, il genovese il 24 dicembre del 1492 scrisse: “La popolazione è così numerosa…” Di fatto, Mann sostiene che prima del 1942 la popolazione dell’emisfero occidentale era probabilmente superiore a quella dell’Europa.

La stima della popolazione è importante ai fini della formulazione di un’ipotesi sullo scopo dello ‘tsunami genocida’ che spazzò via le genti native dell’emisfero. Ed è da questa sanguinosa calamità che sorsero entità imposte dagli europei come il Canada e gli Stati Uniti.

La causa del quasi annientamento delle popolazioni originarie è stata spesso attribuita alla loro arretratezza; furono incapaci di respingere gli assalti furiosi degli europei muniti di armi da fuoco in metallo. Mann dibatte, apre una disputa su questo argomento, fornendo indizi per dimostrare il fatto che tali popolazioni avessero un grado di civilizzazione così tecnologicamente avanzato da essere in grado di competere contro chiunque in Europa. Le popolazioni originarie scoprirono lo ‘zero’, portarono a compimento studi avanzati sull’astronomia, e furono in grado di svolgere accurati calcoli cronologici avvalendosi del calendario. La scienza agronomica degli indigeni fu precedette quella conosciuta a noi (per esempio, lo sviluppo del granturco è descritto nel testo come la “prima e forse migliore impresa di ingegneria genetica nella quale l’uomo si sia mai imbattuto”). Si compì un modellamento della terra di proporzioni straordinarie: costruzioni fortificate, piramidi, canali e sistemi di irrigazione, erezioni di intere città, ed un astuto uso del fuoco per trasformare il paesaggio.

A proposito del modellamento della terra da parte delle popolazioni originarie, Mann scrive: “Più che adattarsi alla Natura, essi la crearono.” La praterie del centro di Turtle Island e la regione selvaggia dell’Amazzonia, sono descritte come risultato oculato dell’uso del fuoco da parte di queste popolazioni. Infatti, l’Amazzonia è descritta come un grande frutteto!

Si sono sviluppate forme di civiltà invidiabili, come il ‘socialismo verticale’ praticato dagli Inca: un’economia senza moneta, non fondata sul mercato, dove si veniva incontro a tutte le esigenze della società e dove la fame era sconosciuta.

All’interno del libro Mann espone miti. Uno tra questi fu il mito secondo il quale l’impero inca -- l’impero più grande del mondo nel 1941, confinava con le Ande e l’Oceano Pacifico nella parte occidentale dell’America del Sud – fosse stato facilmente sconfitto da pochi uomini ed armamenti, facenti parte dei conquistatori spagnoli. La rovina fu dovuta a molti fattori, ma principalmente fu l’estrema suscettibilità delle popolazioni originarie alle malattie portate dal ‘vecchio mondo’. Il vaiolo fu particolarmente letale.

Qual’è il debito degli europei riguardo alla distruzione delle popolazioni originarie, spazzate via da malattie alle quali gli stessi europei cedettero, anche se in numero ben minore? Mann scrive, “Provenendo da luoghi che soffrirono tante di queste esperienze della gravità di quelle riportate, gli europei capirono appieno le potenziali conseguenze del vaiolo. …ma il suo impatto ‘effettivo’, che loro non potevano controllare, era nelle mani di Dio.”

Un altro mito sfatato è quello della smodata propensione alle esecuzioni pubbliche ai tempi della Tripla Alleanza (Mann sottolinea quanto la designazione di ‘Aztechi’ comunemente usata, sia scorretta). Mann annota che, comparando i fenomeni, gli europei furono più ‘assetati di sangue’ quando arrivarono al punto di applicare l’esecuzione dei loro cittadini.

Mann presenta ai lettori una miriade di civiltà indigene, come ad esempio quelle nel Norte Chico, in quello che ora è il Perù, oppure i Tiwanuku e gli Wari sugli altipiani del lago Titicaca, o i Cahokia nel bacino del Mississippi, come anche quelle concentrate nella confederazione delle sei nazioni dell’ Haudenosaunee nella Grande Regione dei Laghi.

Il grande leader spirituale Deganawidah (Due Correnti di Fiume che Scorrono Assieme) con Ayenwatha (Hiawatha, per fama poetica e Disneyana) divulgarono un messaggio di pace e aiutarono a porre le condizione per l’unione di cinque (più tardi sei) nazioni in una sola confederazione. La Haudenosaunee produsse la Kaianerekowa (Grande Legge della Pace), che a detta di molti è la base sulla quale si fondò la Costituzione degli Stati Uniti. Mann, tuttavia, ritiene che la Kaianerekowa basata su consenso, con il suo suffragio universale e la sua proprietà comune, sia stata decisamente differente dalla Costituzione statunitense, che implicitamente, da un punto di vista liberale, è di molto inferiore rispetto alla Kaianerekowa.

Il libro revisionista di Mann è una grande lezione per tutti noi: vuole insegnarci che il desiderio di conoscenza non deve essere messo alle briglie, ma deve semmai essere incoraggiato. ‘1941’ documenta in modo affascinante gli sforzi di ricercatori abbastanza curiosi e coraggiosi da mettere alla prova le nozioni inculcate, da cercare nuovi indizi, e da formulare nuove ipotesi che gettano la storia in una luce nuova ed irresistibile. Perché è attraverso la devozione per l’epistemologia e la verità, spronata da un salutare scetticismo per le dottrine stabilite, che vengono espansi i confini della conoscenza umana. E’ attraverso l’inchiesta scettica ed aperta di mente, che si arriva alla vera diffusione della cultura ed al vero avanzamento dell’umanità.

Kim Petersen, Co-Editore di Dissident Voice, vive nella patria tradizionale Mi’Kmaq, nominata dalla colonizzazione Nuova Scotia, Canada. Può essere contattato tramite l’ indirizzo E-mail: kim@dissidentvoice.org .

Note di testo

[1] Mann si sofferma sul termine ‘Indiano’ derivato dall’ignoranza geografica di Cristoforo Colombo. Mann si muove ammirevolmente nel campo delle espressioni che identificano le genti primitive dell’emisfero occidentale, ed anche se a conoscenza del difetto del termine ‘Indiano’, lo usa ugualmente dal momento in cui “tutti i nativi” che lui ha conosciuto hanno usato quel termine. Il professore olandese Herald Prins scrive, “L’etnicità implica l’auto-ascrizione.” In questo caso uso un termine che preferisco, quello di “Popoli Nativi”, come mi è stato detto dal guerriero Kanien’keha: ka ‘colui che divide il Cielo’ (Mohawk) . In aggiunta alla conoscenza delle etnie di Colombo, questo termine risolve anche il problema secondo il quale, come Mann ha sottolineato, non tutti i gruppi indigeni nell’emisfero trattato sono “indiani”.

[2] Farley Mowat, Viking dell’ovest: da : ”L’antico scandinavo del Greenland e del Nord America (McClelland e Stewart, 1965). Indubbiamente Cristoforo Colombo non fu il primo europeo a raggiungere le sponde del “Nord America”. Generalmente, i vichinghi sono considerati i primi europei ad averlo fatto, sebbene ci sia un caso riguardante insediamenti celtici nel Greenland che precedono quelli dei vichinghi. Vi sono almeno due resoconti credibili riguardanti vichinghi arrivati nella Turtle Island continentale in passato, nel decimo secolo. Si pensa che Bjarni Herjolfsson sia approdato a Vinland ( probabilmente la costa di Avalon da Cape Race a Cape St.Francis of Newfoundland) dopo aver attraversato il polo nordorientale nel 985. Nell’estate del 982, Erik Thorvaldsson esplorò Vestri Obygdir – ciò che si crede sia la “regione selvaggia occidentale” di Qikiqtaaluk ( Baffin Island ). Mowat sostiene che ciò tracci l’evidenza del primo europeo “del quale non esiste ancora nessuna documentazione, ad avere scoperto con ogni ragione tecnica, il continente Nord Americano.” Vi sono testimonianze archeologiche di un insediamento di vichinghi per un breve periodo a Lanse aux Meadows nel Newfoundland.

Kim Petersen
Fonte:
www.dissidentvoice.org/
Link:
http://www.dissidentvoice.org/Jan06/Petersen02.htm 2.01.06

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di LORENZO BERTOLINI