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Se l’economia è poco «eco». Parla Lester Brown

di Silvia Pochettino - 18/07/2008


 

 « F
ar dire la verità al mer­cato. Questa è la chiave di svolta. Perché oggi il mercato mente» parola di Lester Brown, esimio professore di eco­nomia, o meglio di eco-economia, dal nome del suo libro più noto.
  Fondatore del Worlwatch Institute e oggi direttore dell’Earth Policy Institute, centro di ricerca mondia­le
sullo sviluppo sostenibile, Brown ha alle spalle 49 libri tradotti in tutto il mondo e 20 premi internazionali che gli hanno valso la definizione del 'Washington post' di »pensatore tra i più influenti del pia­neta ». Secondo Brown «il cambiamento cli­matico è la dimo­strazione del falli­mento del mercato per la sua incapacità di incorporare i costi ambientali. Si fa semplicemente finta che questi non esistano». Un esempio? «Il prezzo della benzina negli Usa alla metà del 2007 era di 0,8 dollari al litro. In questo prezzo sono compresi i costi della ricerca, estrazione, raffinazione e distribu­zione. Ma non si tiene conto dei costi del cambiamento climatico, dei sussidi governativi alle imprese petrolifere, del proliferare delle spese militari per garantire l’acces­so alle fonti in Medio oriente, dei costi sanitari per la cura delle ma­­lattie respiratorie causate dall’in­quinamento atmosferico. Secondo un studio dell’International center for technology assessment questi costi porterebbero il prezzo della benzina a 3 dollari il litro, e se a questi si aggiunge il costo attuale del petrolio si arriva a 6. Mante­nendo artificialmente bassi certi prezzi si dirigono le scelte delle gente in modo errato e drammati­camente distruttivo per il pianeta». Ma, secondo il professore, questa è una finzione che non può durare: «È assolutamente urgente reindi­rizzare il peso fiscale; abbassare le tasse sul reddito e aumentare in modo proporzionale quelle sull’in­quinamento ». E rincara la dose: «il socialismo è caduto perché non di­ceva la verità sull’economia, il ca­pitalismo potrebbe fare lo stesso perché non di­ce la verità sul­l’ambiente ». E il tempo stringe, secon­do Brown: «sia­mo sull’orlo del collasso tra sistemi natura­li e sistemi politici». Porzioni del sud della Groenlandia di vari kmsi sciolgono con una velocità ben superiore a quella prevista nei rap­porti dell’Ipcc, muovendosi con un
 Lester R. Brown

 ritmo di 2 metri l’ora, entro il 2060 il 60% del ghiacciaio sul l’altopiano del Tibet, che alimenta il Fiume giallo, sarà sciolto, lo stesso acca­drà al ghiacciaio del Gangotri, che fornisce l’acqua al Gange. «Ciò si­gnifica che i principali fiumi della terra diventeranno stagionali. 460 milioni di persone vivono lungo il Gange. India e Ci­na sono tra i mag­giori produttori di cereali al mondo.
  Questa è la più grossa minaccia per la sicurezza ali­mentare della storia».
  Mancanza d’acqua, erosione dei suoli – «Mongolia e Haiti erano au­tosufficienti, oggi importano il 50% delle scorte» – ma anche aumento
della popolazione e scelte sbaglia­te – «un quarto dei 400 milioni di tonnellate di mais Usa quest’anno sono stati usati per fare etanolo» – oltre, ovviamente, all’impennata del costo del petrolio, sono tutti fattori che hanno portato ad avere i prezzi di cereali più alti della sto­ria e le scorte più basse. «Non è un fatto contingente, ma un trend strutturale che porterà interi stati alla bancarotta».
  Ma Lester Brown non si limita a fa­re analisi sconfortanti e più o me­no risapute, nel suo ultimo libro

 Piano B 3.0. Mobilitarsi per salvare la civiltà
(Edizioni ambiente), lan­cia soprattutto una serie di strate­gie concrete per uscire dalla crisi.
  Primo: ridurre le emissioni di Co2 dell’80% entro il 2020, quindi sta­bilizzare la popolazione mondiale
intorno agli 8 miliardi di persone, sradicare la povertà e ripristinare i danni dell’ecosistema. Obiettivi impossibili, si direbbe. «Sono cer­tamente sfide enormi, ma non im­possibili. Dobbiamo sentirci come in tempo di guerra; dall’aprile del 1942 alla fine del ’44 negli Usa si vietò la produ­zione e la ven­dita di auto private, l’intera industria auto­mobilistica a­mericana fu ri­convertita nel­la produzione di armi, carri armati, aeroplani e pezzi di artiglieria. E tutto questo in pochi mesi, non anni. Se le cose si vogliono fare, si fanno». E dun­que che cosa bisognerebbe fare su­bito?
 
Per il professore in primo luogo si tratta di aumentare l’effi­cienza energetica mondiale «All’i­nizio del 2007 l’Australia ha an­nunciato che proibirà l’uso di lam­pade a incandescenza entro il 2010: se si facesse a livello mondia­le sostituendole con quelle fluore­scenti si ridurrebbe del 12% il con­sumo di energia, equivalente a 450 centrali a carbone». Ma soprattutto puntare seriamente sulle energie rinnovabili: «entro il 2020 l’energia eolica potrà produrre il 40% dell’e­nergia mondiale, con 1,5 milioni di turbine (oggi sono 100 mila). In Texas sta già avvenendo questa trasformazione; i parchi eolici sod­disfano le esigenze della metà del­la popolazione». Naturalmente non in tutti i territori si può usare la stessa fonte energetica «Nord Dakota, Texas e California da sole hanno le risorse per produrre e­nergia eolica per tutti gli Usa». Ma in altre parti del mondo sono più convenienti altre fonti: «l’Algeria produrrà 6 mila megawatt di ener­gia termica solare nel deserto e la e­sporterà in Europa tramite un cavo sotterraneo. In I­slanda il 95% del riscaldamento domestico è già oggi prodotto dal­l’energia geotermica, è la prima nazione 'carbon fee'».
 «I ghiacciai sciolgono con una velocità ben superiore a quella stimata dai tecnici»
«Bisogna puntare su energie rinnovabili: eolico e solare.
  E ridurre gli sprechi»