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Palestinesi e cristiani

di Herman Bashiron - 01/02/2006

Fonte: Rinascita



Il conflitto israelo-palestinese viene ormai rappresentato su
diversi livelli di scontro. Decenni di sangue e morte lo hanno
portato ad essere il conflitto per eccellenza di questo nostro
incerto presente. Spesso capita di leggere o ascoltare le più varie
interpretazioni al riguardo di questo eterno conflitto, a volte ne
si fa un ritratto come fosse un alto confronto tra Islam e
Giudaismo, altre volte se ne discute come se le due parti
contrapposte fossero gli arabi da un lato e gli ebrei dall'altro.
Sicuramente nel corso degli anni l'importanza e la centralità
assunta dalla annosa questione palestinese, ha fatto in modo che si
dischiudessero realmente le prospettive per una serie di scontri di
più ampio spettro e di più largo interesse. In realtà però non
bisognerebbe allontanarsi troppo dal primo e più evidente grado di
questo conflitto, la contrapposizione tra israeliani e palestinesi.

Tra i palestinesi, oltre ad esservi una netta maggioranza musulmana,
vi è anche una importante minoranza cristiana. Sarà interessante
vedere quindi quali sono i rapporti tra l'attuale Comunità cristiana
palestinese, gli ebrei e lo Stato d'Israele; il tutto per sfatare
ancora una volta il falso mito del cosiddetto "scontro di civiltà" e
per sottolineare l'errore di chi soventemente cade
nell'equazione "Cristianesimo = Occidente", dimenticando che il
Cristianesimo affonda le sue radici e le sue origini proprio in
quella Terra Santa d'Oriente, così lontana da quel concetto,
contemporaneo, di Occidente, forgiato solo ad immagine e somiglianza
della società statunitense. Per capire meglio la condizione dei
cristiani in Palestina, ci sono di aiuto e di immensa utilità le
parole, rilasciate durante un'intervista al portale italiano
aljazira.it, di Padre Raed Abu Sahlia, parroco cattolico di Taybeh,
l'ultimo villaggio palestinese interamente cristiano. Nel corso
dell'intervista il parroco ha risposto ad una serie di interessanti
domande, innanzitutto sulla presenza dei cristiani in Terra
Santa: "Nel 1948, il 25 % degli abitanti della Palestina storica
erano cristiani. Con la creazione dello Stato di Israele, molti se
ne sono andati all'estero, ed oggi i palestinesi cristiani
rappresentano poco più dell'1,5% della popolazione di Israele e dei
Territori Occupati (ca. 180.000 in totale, ndr). Ma la nostra
importanza non consiste nel numero, bensì nei servizi che offriamo
alla nostra società, come ad esempio nell'educazione,
nell'istruzione e nello sviluppo economico. Non siamo e non ci
consideriamo una minoranza. Siamo in questa terra per volontà di
Dio, e la nostra vocazione è di testimoniare il Cristo nella sua
patria. La Terra Santa non è un museo per i cristiani d'oltreoceano,
noi ne vogliamo essere le pietre vive".

Poi Padre Raed ha continuato: "I cristiani si sentono e sono a tutti
gli effetti palestinesi, con eguali diritti e doveri di cittadini.
Spesso non si distingue tra arabi e musulmani. Ci sono 15 milioni di
arabi cristiani nel mondo... Assistiamo piuttosto ad una crisi
d'identità dei cristiani arabi nello Stato Ebraico", ed ha spiegato
questa crisi d'identità dicendo: "Che un arabo cristiano è
innanzitutto un palestinese, che vuole partecipare alla liberazione
della sua terra dall'occupazione in modo pacifico, senza essere né
antisemita, né anti-israeliano". Mentre avviene fin troppo spesso
che la superficiale e distorta rete informativa in cui invece oggi
siamo intrappolati, identifichi il più delle volte l'arabo cristiano
come un terrorista islamico. Il parroco di Taybeh ha continuato la
sua intervista ragionando sulla causa del popolo palestinese, sui
falsi miti su cui si fonda lo Stato di Israele, sul caro prezzo
pagato dalla Palestina e dalle sue genti e sulle possibili soluzioni
per portare la pace in Terra Santa. Importanti sono le parole di
Padre Raed quando risponde ad una domanda sulle relazioni tra
cristiani e musulmani in Palestina: "E' un soggetto delicato, spesso
a causa di una certa propaganda da parte israeliana. I palestinesi
sono un solo popolo, cristiani e musulmani vivono insieme da 14
secoli. Certo, siamo vittime da ambo le parti di pregiudizi e
preconcetti, ma stiamo lavorando a favore di un dialogo aperto che
ci permetta di superarli. Personalmente, invito regolarmente
studenti musulmani e cristiani a giornate di dialogo e convivenza.
Inoltre, raccomando il digiuno cristiano durante il mese del
Ramadan, affinché possiamo condividere questo tempo di riflessione
insieme. Nelle mie omelie dico che il musulmano è nostro fratello e
chiedo ai miei amici musulmani che dicano nelle moschee che il
cristiano è loro fratello. In questo senso non aiuta una certa
propaganda israeliana, che vorrebbe fare credere che i cristiani
fuggono dalla Palestina per colpa dei musulmani. Mi ricordo di uno
scontro durissimo che ebbi con una giornalista del Jerusalem Post
(giornale israeliano di orientamento conservatore, ndr), che scrisse
che il governo israeliano aiutava "centinaia di famiglie cristiane
palestinesi" a lasciare Beit Jala vicino a Betlemme e partire per il
Canada e gli Stati Uniti, a causa dell'ostilità dei musulmani.
Telefonai personalmente alle ambasciate dei paesi citati dalla
giornalista e mi confermarono che la notizia era infondata. Queste
speculazioni che mirano a dividere i palestinesi fanno male a noi ed
all'Occidente. Dobbiamo prevenire un discorso che porta a
identificare il cristiano con l'occidentale, e non alimentarlo, pena
l'apposizione del sigillo cristiano a conflitti come la guerra in
Afghanistan od in Iraq".

Sono davvero varie le vicissitudini a cui vanno incontro
quotidianamente i cristiani di Palestina. Una delle più curiose è
quella che riguarda la strana, e senza dubbio irrispettosa,
abitudine degli ebrei di sputare quando passa un cattolico. La
notizia viene data dal quotidiano in lingua ebraica Haaretz e
rimbalza velocemente su vari blog sempre pronti a lanciare
informazione alternativa. In una normale domenica dello scorso
ottobre uno studente della yeshiva (scuola rabbinica) sputò sulla
croce trasportata dall'arcivescovo armeno durante una processione al
Santo Sepolcro e, durante l'alterco conseguente, la croce del
diciassettesimo secolo cadde e si ruppe. Episodi del genere sono
purtroppo all'ordine del giorno, nelle strade di Gerusalemme, come
nel resto della Palestina. Queste le parole dell'arcivescovo Nourhan
Manougian: "Io ormai non ci faccio nemmeno più caso, alla gente che
si gira e sputa quando passo per strada. Solo che sbucare nel mezzo
di una processione religiosa e sputare sulla croce davanti a tutti i
preti della comunità è un'umiliazione che non siamo preparati ad
accettare. Quando in qualsiasi parte nel mondo c'è un attacco contro
gli ebrei, il governo di Israele viene incensato; perché quindi
quando la nostra religione e il nostro orgoglio sono feriti, non si
prendono misure più rigorose?". I cristiani palestinesi soffrono
enormemente le ingiustizie dell'occupazione israeliana e vi sono
tanti casi che lo dimostrano; chi, ad esempio, non ricorda i 39
giorni di assedio alla Basilica della Natività di Betlemme? I frati
francescani e 200 loro fratelli palestinesi, chiusi nelle mura della
Basilica e oppressi dalla morsa dell'esercito israeliano, sono stati
sotto gli occhi di tutti. Le sofferenze del popolo palestinese non
hanno religione. Anche se sono in molti a voler dividere questo
popolo e a voler creare continue situazioni di scontro, bisogna
proseguire nel cammino dell'unità e ricordare, soprattutto a coloro
che alimentano l'oblio, che sono più di quattordici secoli che i
canti dei muezzin si confondono con il tintinnare delle campane.