Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Discorso per il Nobel

Discorso per il Nobel

di Harold Pinter - 01/02/2006

Fonte: teatrokoreja.com

[Sul sito del teatro pubblico leccese "Koreja" la traduzione italiana del testo del discorso pronunciato in occasione del conferimento del premio Nobel 2005 per la letteratura dal grande commediografo Harold Pinter, da sempre implacabile critico dell'egemonia americana. ndr]

 

Nel 1958 scrissi ciò che segue:

’Non vi è una rigida distinzione tra ciò che è reale e ciò che è irreale, tra ciò che è vero e ciò che è falso. Una cosa non è necessariamente vera o falsa; essa può essere vera e falsa insieme’.

Credo che ancora oggi queste asserzioni abbiano senso e si applichino all’esplorazione della realtà attraverso l’arte. Perciò come scrittore rimango loro fedele, ma come cittadino non posso farlo. Come cittadino devo chiedere: che cosa è vero? Che cosa è falso?

La verità drammaturgica è sempre elusiva. Anche se non si trova mai completamente, la sua ricerca è compulsiva. La sua ricerca è chiaramente ciò che guida gli sforzi. La sua ricerca è il compito che si ha. Più spesso che non si pensi si inciampa al buio nella verità, urtandole contro o soltanto intravedendo un’immagine o una figura che sembra corrispondere alla verità, spesso senza comprendere di averlo fatto. Ma la verità effettiva è che non c’è mai una sola verità da trovare nell’arte drammatica. Ce ne sono molte. Reciprocamente queste verità si sfidano, si ritraggono, si riflettono, si ignorano, si fanno dispetti, sono cieche. A volte si sente di avere tra le mani la verità del momento, poi essa scivola dalle dita ed è perduta.

Spesso mi è stato chiesto come nascono le mie opere teatrali. Non lo so spiegare. Non so neppure riassumere le mie opere, salvo che per dire che cosa è accaduto. Che cosa è stato detto. Che cosa è stato fatto.

La maggior parte delle opere sono generate da una battuta, una parola o un’immagine. Spesso la parola data è seguita poco dopo dall’immagine. Farò l’esempio di due battute che mi vennero alla mente inattese, seguite da un’immagine, seguita da me.

I drammi sono Il ritorno a casa e Vecchi tempi. La prima battuta del Ritorno a casa è ’Cosa ne hai fatto delle forbici?’ La prima battuta di Vecchi tempi è ’Scura’.
In entrambi i casi non avevo ulteriori informazioni.

Nel primo caso qualcuno ovviamente stava cercando un paio di forbici e ne chiedeva conto a qualcuno lì vicino che sospettava di averle rubate. Ma in qualche modo io sapevo che alla persona a cui si rivolgeva non importava nulla delle forbici né, a tale riguardo, di chi la interrogava.

’Scura’ lo intesi come descrizione dei capelli di qualcuno, i capelli di una donna, ed era la risposta a una domanda. In entrambi i casi mi trovai costretto a seguire l’argomento. Ciò si verificò visivamente, una dissolvenza molto lenta, attraverso l’ombra nella luce.

Comincio sempre un testo teatrale chiamando i caratteri A, B e C.

Nel testo che diventò Il ritorno a casa io vidi un uomo entrare in una stanza spoglia e fare una domanda a un uomo più giovane seduto su un brutto divano a leggere un giornale di corse. In qualche modo sospettavo che A fosse il padre e B fosse il figlio, ma non ne avevo nessuna prova. Ciò fu peraltro confermato poco tempo dopo, quando B (che in seguito sarebbe diventato Lenny) dice ad A (che sarebbe diventato Max) ’Papà, ti dispiace se cambio argomento? Voglio chiederti una cosa. Il pranzo di prima, che nome aveva? Come lo chiami? Perché non compri un cane? Tu sei un cuoco per cani. Sul serio. Tu pensi di cucinare per un sacco di cani.’ Così il fatto che B chiamasse A ’Papà’ mi rese verosimile che essi fossero padre e figlio. A inoltre era chiaramente il cuoco e la sua cucina non sembrava tenuta in grande considerazione. Tutto ciò significava che non c’era una madre? Non lo sapevo. Ma, come mi dissi all’epoca, i nostri inizi non conoscono mai le nostre fini.

’Scura.’ Una grande finestra. Il cielo di sera. Un uomo, A (che sarebbe diventato Deeley), e una donna, B (che sarebbe diventata Kate), seduti con in mano un drink. ’Grassa o magra?’ chiede l’uomo. Di chi stanno parlando? Ma allora io vedo, in piedi alla finestra, una donna, C (che sarebbe diventata Anna), in un’altra posizione di luce, le spalle voltate, i capelli scuri.

E’ uno strano momento, il momento della creazione di personaggi che fino a quel momento non avevano alcuna esistenza. Ciò che segue è irregolare, incerto, perfino allucinatorio, sebbene a volte possa essere una valanga inarrestabile. La posizione dell’autore è singolare. In un certo senso non è gradito ai personaggi. I personaggi gli fanno resistenza, non è facile vivere con loro, sono impossibili da definire. A loro di certo non ci si può imporre. In una certa misura si gioca con loro un gioco che non ha fine, gatto e topo, mosca cieca, nascondino. Ma alla fine ci si trova tra le mani persone di carne e sangue, persone con una propria volontà e sensibilità individuale, assemblate con dei componenti che non si possono cambiare, manipolare o distorcere.

Così il linguaggio dell’arte rimane un’impresa grandemente ambigua, sabbie mobili, un trampolino, una polla ghiacciata che potrebbe trascinare te, l’autore, in ogni momento.

Ma, come ho detto, la ricerca della verità non può fermarsi mai. Non può essere rinviata, non può essere posposta. Occorre affrontarla, proprio in tempo reale.

Il teatro politico presenta una gamma del tutto differente di problemi. La predicazione deve essere evitata a ogni costo. L’oggettività è essenziale. I personaggi devono poter respirare l’aria loro propria. L’autore non può porre loro dei limiti per costringerli a soddisfare i propri gusti o inclinazioni o pregiudizi. Egli deve essere preparato ad un approccio da una varietà di angolature, da un insieme di prospettive che sia pieno e privo di inibizioni; all’occasione a prenderli di sorpresa, magari, ma nondimeno a dar loro la libertà di seguire la strada che vogliono. Questo non sempre funziona. E la satira politica, naturalmente, non osserva nessuno di questi precetti, e infatti fa precisamente l’opposto, il che è la sua funzione specifica.

Nel mio testo Il compleanno credo di aver consentito a un intero spettro di opzioni di operare in una densa foresta di possibilità prima della focalizzazione finale su di un atto di asservimento.

Il linguaggio della montagna non aspira a una simile gamma di operazioni. Rimane brutale, breve e sgradevole. Ma nell’opera i soldati trovano il modo di divertirsi. A volte si dimentica che i torturatori si annoiano facilmente. Essi hanno bisogno di farsi una risata per tenere in alto lo spirito. Questo naturalmente è stato confermato dai fatti di Abu Ghraib a Baghdad. Il linguaggio della montagna dura solo 20 minuti, ma potrebbe andare avanti per ore e ore, sempre avanti, lo stesso schema ripetuto sempre di nuovo, ancora e ancora, ora dopo ora.

Ceneri alle ceneri, d’altro canto, mi appare svolgersi sott’acqua. Una donna che annega, la mano allungata sopra le onde, scivola giù invisibile, alla ricerca di altri, ma senza trovare nessuno né sopra né sott’acqua, trovando solo ombre, riflessi, galleggiando. La donna, una figura persa in un panorama che sommerge, una donna incapace di sfuggire al destino che sembrava essere solo di altri.
Ma così come essi morirono, anche lei deve morire.

Il linguaggio politico, quello adoperato dai politici, non si avventura in nessuno di questi territori in quanto la maggior parte dei politici, per ciò che ci viene dimostrato, è interessata non alla verità ma al potere e alla conservazione di quel potere. Per conservare quel potere è essenziale che la gente rimanga nell’ignoranza, che viva nell’ignoranza della verità, perfino la verità della sua propria vita. Ciò che ci circonda è dunque un immenso arazzo di menzogne, delle quali ci nutriamo.

Come ognuno di noi sa, la giustificazione dell’invasione dell’Iraq fu che Saddam Hussein possedeva un arsenale altamente pericoloso di armi di distruzione di massa, alcune delle quali potevano essere azionate in 45 minuti, causando spaventose devastazioni. Ci venne assicurato che era vero. Non era vero. Ci venne detto che l’Iraq aveva legami con Al Qaeda ed era corresponsabile delle atrocità dell’11 settembre 2001 a New York. Ci venne assicurato che era vero. Non era vero. Ci venne detto che l’Iraq minacciava la sicurezza del mondo. Ci venne assicurato che era vero. Non era vero.

La verità è qualcosa di totalmente differente. La verità ha a che fare con il modo in cui gli Stati Uniti intendono il loro ruolo nel mondo e scelgono di sostenerlo.

Ma prima di tornare al presente io vorrei dare uno sguardo al recente passato, intendo dire la politica estera degli Stati Uniti dalla fine della Seconda guerra mondiale. Credo che sia doveroso per noi il sottoporre questo periodo a una sia pur limitata analisi, quella che ci è consentita dal tempo a disposizione.

Tutti sappiamo che cosa avveniva in Unione Sovietica e in tutta l’Europa dell’Est nel dopoguerra: la brutalità sistematica, le diffuse atrocità, la spietata soppressione del pensiero indipendente. Tutto questo è pienamente documentato e verificato.

Ma qui io sostengo che i crimini degli USA dello stesso periodo sono stati registrati solo superficialmente; tanto meno sono stati documentati, tanto meno ammessi, tanto meno riconosciuti come crimini. Credo che su questo si debba riflettere e che la verità abbia un significativo rapporto con lo stato in cui il mondo ora si trova. Benché necessitate in una certa misura dall’esistenza dell’Unione Sovietica, le azioni degli Stati Uniti in ogni parte del mondo dimostrano che essi ritenevano di avere carta bianca per fare ciò che volevano.

In effetti l’invasione diretta di uno stato sovrano non è mai stata il metodo preferito dall’America. Nel complesso, essi hanno preferito ciò che hanno descritto come ’conflitto a bassa intensità’. Conflitto a bassa intensità significa che migliaia di persone muoiono, ma più lentamente che se in un colpo solo si sgancia su di loro una bomba. Significa che si infetta il cuore del paese, che si provoca una proliferazione maligna e si guarda la cancrena fiorire. Quando il popolo è stato sottomesso - o, il che è lo stesso, battuto a morte - e i tuoi amici, i militari e le grandi imprese, siedono comodamente al potere, si va davanti a una telecamera e si dice che la democrazia ha prevalso. Questo era un dato costante della politica estera USA degli anni ai quali mi riferisco.

La tragedia del Nicaragua fu un caso altamente significativo. Scelgo di offrirlo qui come un esempio possente della visione del suo ruolo nel mondo da parte dell‘America, ora e allora.

Fui presente ad un incontro all’ambasciata USA a Londra alla fine degli Ottanta.

Il Congresso degli Stati Uniti stava per decidere se dare altro denaro ai Contras per la loro campagna contro lo Stato del Nicaragua. Io ero membro di una delegazione che parlava nell’interesse del Nicaragua ma il membro più importante di questa delegazione era Padre John Metcalf. Il capo delegazione degli USA era Raymond Seitz (allora numero due dell’ambasciata, più tardi egli stesso ambasciatore). Padre Metcalf disse: ’Sono responsabile di una parrocchia nel nord del Nicaragua. I miei parrocchiani avevano costruito una scuola, un ambulatorio, un centro culturale. Vivevamo in pace. Pochi mesi fa un gruppo di Contras ha attaccato la parrocchia. Hanno distrutto tutto: la scuola, l’ambulatorio, il centro culturale. Hanno violentato infermiere e insegnanti, massacrato medici, nella maniera più brutale. Si sono comportati come selvaggi. Chieda per favore al governo degli USA di ritirare il suo appoggio a questa abominevole attività terroristica.’

Raymond Seitz aveva un’ottima reputazione di uomo razionale, responsabile e assai raffinato. Era molto rispettato nei circoli diplomatici. Ascoltò, fece una pausa e poi parlò con una certa gravità. ’Padre,’ disse, ’mi lasci dire una cosa. In guerra, la gente innocente soffre sempre.’ Ci fu un silenzio gelido. Lo fissammo. Non si scompose.

La gente innocente, in effetti, soffre sempre.
Alla fine qualcuno disse: ’Ma in questo caso la “gente innocente” era vittima di una raccapricciante atrocità sovvenzionata dal suo governo, una tra le tante. Se il Congresso accorda ai Contras altro denaro, ulteriori atrocità di quel genere avverranno. Non è così? Il suo governo non è dunque colpevole per l’appoggio ad atti di omicidio e distruzione contro i cittadini di uno stato sovrano?’

Seitz fu imperturbabile. ’Non condivido che i fatti rappresentati supportino le vostre asserzioni,’ disse.

Mentre lasciavamo l’ambasciata un addetto degli USA mi disse che gli piacevano le mie commedie. Non gli risposi.

Dovrei ricordare che al tempo il presidente Reagan fece la seguente affermazione: ’I Contras sono l’equivalente morale dei nostri Padri Fondatori.’

In Nicaragua gli Stati Uniti sostennero la brutale dittatura di Somoza per oltre 40 anni. Il popolo nicaraguense, guidato dai sandinisti, rovesciò questo regime nel 1979, una straordinaria rivoluzione popolare.

I sandinisti non erano perfetti. Possedevano la loro brava dose di arroganza e la loro filosofia politica conteneva numerosi elementi contraddittori. Ma erano intelligenti, razionali e civili. Si proponevano di instaurare una società equilibrata, decente, pluralista. La pena di morte fu abolita. Centinaia di migliaia di contadini poverissimi furono strappati alla morte. A oltre 100.000 famiglie fu data la terra. Furono costruite duemila scuole. Una imponente campagna di alfabetizzazione ridusse nel paese l’analfabetismo a meno di un settimo. Furono istituiti l’istruzione gratuita e un servizio sanitario gratuito. La mortalità infantile fu ridotta di un terzo. La poliomelite fu debellata.

Gli Stati Uniti denunciarono questi risultati come sovversione marxista-leninista. Nella visione del governo USA, si stava creando un precedente pericoloso. Se al Nicaragua fosse stato permesso di istituire norme basilari di giustizia sociale ed economica, di elevare gli standard sanitari ed educativi e di raggiungere la coesione sociale e un giusto orgoglio nazionale, i paesi confinanti avrebbero perseguito gli stessi obiettivi e fatto le stesse cose. Beninteso, all’epoca vi era una tenace opposizione allo status quo in El Salvador.

Ho parlato prima di un ’arazzo di menzogne’ che ci circonda. Il presidente Reagan descriveva abitualmente il Nicaragua come una ’segreta totalitaria’. Questo era generalmente considerato dai media, e di certo dal governo inglese, un giudizio adeguato e corretta. Ma di fatto non c’era traccia di squadroni della morte sotto il governo sandinista. Non c’era traccia di torture. Non c’era traccia di brutalità militare, sistematica o ufficiale. Nessun sacerdote è mai stato ucciso in Nicaragua. C’erano del resto tre sacerdoti nel governo, due gesuiti e un missionario, Maryknoll. Le segrete totalitarie erano in effetti nella casa accanto, nel Salvador e in Guatemala. Nel 1954 gli Stati Uniti avevano abbattuto il governo democraticamente eletto del Guatemala, e si stimano in oltre 200.000 le vittime delle successive dittature militari.

Sei gesuiti tra i più eminenti al mondo vennero trucidati nell’Università centroamericana di San Salvador nel 1989 da un battaglione del reggimento di Alcatl addestrato a Fort Benning in Georgia, USA. Il coraggiosissimo arcivescovo Romero fu assassinato mentre diceva messa. Si stima che morirono 75.000 persone. Perché furono uccise? Furono uccise perché credevano che una vita migliore fosse possibile e dovesse essere realizzata. Questo ideale li qualificò immediatamente come comunisti. Esse morirono perché osarono mettere in discussione lo status quo, l’infinito ristagno di miseria, malattia, abbrutimento e oppressione, che era stato il loro diritto di nascita.

Gli Stati Uniti alla fine abbatterono il governo sandinista. Ci vollero alcuni anni per avere ragione di una forte opposizione ma alla fine l’incessante persecuzione economica e 30.000 morti fiaccarono lo spirito del popolo del Nicaragua. Si ritrovarono esausti e un’altra volta poverissimi. I casinò ritornarono nel paese. Sanità e istruzione gratuiti erano finiti. Il grande capitale tornò sugli scudi. La ’democrazia’ aveva prevalso.

Ma questa ’politica’ non fu affatto limitata al Centroamerica. Essa fu attuata in ogni parte del mondo. Era infinita. Ed è come se non finisse mai.

Gli Stati Uniti appoggiarono e in molti casi crearono ogni dittatura militare di destra nel mondo dopo la fine della seconda guerra mondiale. Mi riferisco a Indonesia, Grecia, Uruguay, Brasile, Paraguay, Haiti, Turchia, Filippine, Guatemala, El Salvador, e naturalmente Cile. L’orrore che gli Stati Uniti inflissero al Cile nel 1973 non può mai essere espiato e non può mai essere perdonato.

Centinaia di migliaia di morti si verificarono in tutti questi paesi. Si verificarono? E sono in tutti i casi da attribuire alla politica estera degli USA? La risposta è: sì, si verificarono e sono da attribuire alla politica estera americana. Ma non lo si voleva sapere.

Tutto ciò non è mai accaduto. Nulla è mai accaduto. Anche mentre stava accadendo, non accadeva. Non aveva importanza. Non era di nessun interesse. I crimini degli Stati Uniti sono stati sistematici, costanti, feroci, inesorabili, ma pochissimi ne hanno davvero parlato. Complimenti all’America. Ha esercitato una manipolazione scientifica del potere in tutto il mondo mentre si mascherava da forza rivolta al bene universale. E’ un fantastico, perfino brillante, numero di ipnosi, di gran successo.

Vi invito a considerare che gli Stati Uniti sono senza dubbio il più grande spettacolo in circolazione. Possono essere brutali, indifferenti, sprezzanti e spietati, ma sono anche molto abili. Come piazzisti non hanno eguali e la loro merce più venduta è l’amore di sé. Sono dei vincenti. Ascoltate tutti i presidenti americani dire alla televisione le parole ’il popolo americano’, come nella frase ’Io dico al popolo americano che è il tempo di pregare e di difendere i diritti del popolo americano e chiedo al popolo americano di aver fiducia nel suo presidente per l’azione che intende svolgere nell’interesse del popolo americano.’

E’ un brillante stratagemma. Il linguaggio è in effetti adoperato per tenere a bada il pensiero. Le parole ’il popolo americano’ procurano un guanciale quanto mai voluttuoso di rassicurazione. Non si ha bisogno di pensare. Basta mettersi comodi sul cuscino. Il cuscino può soffocare l’intelligenza e le facoltà critiche ma è molto confortevole. Questo naturalmente non riguarda i 40 milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà e i 2 milioni di uomini e donne imprigionati nell’immenso gulag carcerario, che attraversa gli USA.

Gli Stati Uniti non si preoccupano più di conflitti a bassa intensità. Non vedono più alcun motivo di essere reticenti o anche equivoci. Essi mettono le carte in tavola senza timori né riguardi. Semplicemente se ne fregano delle Nazioni Unite, del diritto internazionale o del dissenso critico, che considerano impotenti e irrilevanti. Hanno anche una pecorella belante che gli va dietro docilmente, la patetica e supina Gran Bretagna.

Che cosa è accaduto alla nostra sensibilità morale? Ne abbiamo mai avuta una? Che cosa significano queste parole? Si riferiscono a un termine adoperato molto di rado di questi tempi: coscienza? La coscienza di agire non solo con i nostri atti ma anche con la nostra corresponsabilità negli atti degli altri? Tutto questo è morto? Guardate la baia di Guantanamo. Centinaia di persone detenute senza un’accusa da oltre tre anni, senza assistenza legale o regolare processo, tecnicamente detenute a tempo indeterminato. Questa struttura totalmente illegittima è mantenuta in spregio alla Convenzione di Ginevra. Non soltanto è tollerata ma a stento è ricordata da ciò che viene chiamata la ’comunità internazionale’. Questo oltraggio criminale è commesso da un paese, che dichiara di essere ’la guida del mondo libero’. Pensiamo a quelli che sono a Guantanamo? Che cosa dicono di loro i media? Ne accennano quando capita – un trafiletto a pagina sei. Essi sono stati consegnati a una terra di nessuno dalla quale invero potrebbero non tornare mai. Al momento molti di loro sono in sciopero della fame, alimentati forzatamente, compresi i residenti inglesi. Niente riguardi in queste procedure di alimentazione forzata. Niente sedativi né anestetici. Solo un tubo attaccato al naso e dentro la gola. Si vomita sangue. Questa è tortura. Che cosa ne dice il Ministro degli Esteri inglese? Nulla. Che cosa ne dice il Primo Ministro inglese? Nulla. Perché? Perché gli Stati Uniti hanno detto: criticare la nostra condotta a Guantanamo costituisce un atto ostile. O si è con noi o contro di noi. Così Blair tiene la bocca chiusa.

L’invasione dell’Iraq è stata un atto banditesco, un impudente atto di terrorismo di stato, che dimostra assoluto disprezzo per l’idea del diritto internazionale. L’invasione è stata un’azione militare arbitraria ispirata da una serie di menzogne su menzogne e da una grossolana manipolazione dei media e dunque del pubblico; un atto inteso a consolidare il controllo militare ed economico americano del Medio Oriente camuffato, come estrema ratio, da liberazione - essendo fallite tutte le altre autogiustificazioni. Una formidabile affermazione di forza militare responsabile della morte e mutilazione di migliaia e migliaia di persone innocenti.

Abbiamo portato al popolo iracheno torture, cluster bomb, uranio impoverito, e a scelta innumerevoli atti di omicidio, sofferenze, abbrutimento e morte e chiamiamo questo ’esportazione della libertà e della democrazia nel Medio Oriente’.

Quante persone si devono uccidere per meritare la qualifica di massacratore e di criminale di guerra? Centomila? Sono più che sufficienti, direi. Dunque è giusto che Bush e Blair siano citati davanti alla Tribunale Penale Internazionale. Ma Bush è stato furbo, non ha ratificato il Tribunale Penale Internazionale. Perciò Bush ha avvertito che, se un qualunque soldato o politico americano si dovesse trovare alla sbarra, egli invierà i marines. Ma Tony Blair ha ratificato il Tribunale e perciò può essere perseguito. Possiamo fornire il suo indirizzo al Tribunale, se è interessato: è al numero 10 di Downing Street, a Londra.

La morte in questo contesto è irrilevante. Sia Bush che Blair accantonano per bene la morte. Almeno 100.000 iracheni sono stati uccisi dalle bombe e dai missili americani prima che iniziasse la rivolta irachena. Queste persone non contano. Le loro morti non esistono. Essi sono un buco nero. Non sono neppure registrati come morti. ’Noi non contiamo i cadaveri,’ ha detto il generale americano Tommy Franks.

All’inizio dell’invasione ci fu una fotografia, pubblicata sulla prima pagina dei quotidiani inglesi, di Tony Blair che baciava sulla guancia un bambino iracheno. ’La riconoscenza di un bambino’, diceva la didascalia. Alcuni giorni dopo, in una pagina interna, c’era la storia con fotografia di un altro bambino di quattro anni, senza braccia. La sua famiglia era saltata in aria per un missile, lui era il solo sopravvissuto. ’Quando riavrò le mie braccia?’ chiedeva. L’episodio fu lasciato cadere. Bene, Tony Blair non teneva tra le braccia né quel bambino, né il corpo di qualunque altro bambino mutilato, né il corpo di un qualunque cadavere insanguinato. Il sangue è sporco. Ti sporca la camicia e la cravatta mentre stai facendo un discorso sincero alla televisione.

I 2.000 morti americani sono fonte di imbarazzo. Alle loro tombe vengono trasportati al buio. I funerali sono riservati, in luogo sicuro. I mutilati marciscono nei loro letti, alcuni per il resto della loro vita. Così sia i morti che i mutilati marciscono, in tombe di specie differente.

Ecco ora un estratto da una poesia di Pablo Neruda, ’Spiego alcune cose’:
E una mattina tutto questo stava bruciando,
una mattina i falò
si levavano dalla terra
divorando esseri umani
e da allora fuoco,
polvere da sparo da allora,
e da allora sangue.
Banditi con aerei e con mori,
banditi con anelli al dito e duchesse,
banditi con domenicani benedicenti
venivano dal cielo a uccidere i bambini
e per le strade il sangue dei bambini
scorreva con semplicità, come il sangue dei bambini.

Sciacalli spregevoli agli sciacalli,
pietre che l’arido cardo inumidisce e sputa,
vipere abominevoli alle vipere.

Al vostro cospetto ho visto il sangue
della Spagna sollevarsi come una marea
per annegarvi in un’onda
di superbia e coltelli.

Generali
felloni:
guardate la mia casa morta,
guardate la Spagna spezzata:
da ogni casa volumi di fuoco
invece che fiori,
da ogni cavità della Spagna
la Spagna che riemerge,
e da ogni bambino morto un fucile di precisione,
e da ogni delitto nascono pallottole
che un giorno centreranno
i vostri cuori.

E voi chiederete: perché la sua poesia
non parla di sogni e di foglie
e dei grandi vulcani della sua terra natia.

Venite a vedere il sangue nelle strade.
Venite a vedere
il sangue nelle strade.
Venite a vedere il sangue
nelle strade!*

Lasciatemi dire con chiarezza che nel citare la poesia di Neruda non paragono in alcun modo la Repubblica spagnola all’Iraq di Saddam Hussein. Cito Neruda perché in nessun’altra poesia contemporanea ho letto una descrizione così potente e viscerale del bombardamento di civili.

Ho detto prima che gli Stati Uniti sono ora totalmente franchi quanto mettono le carte in tavola. Questa è la situazione. La loro politica ufficiale è ora definita ’predominio a tutto campo’ (full spectrum dominance). Non è un termine mio, è loro. ’Predominio a tutto campo’ significa controllo della terra, del mare, dell’aria e dello spazio e di tutte le risorse connesse.

Gli Stati Uniti ora occupano 702 istallazioni militari in 132 paesi sparsi per tutto il mondo, con la lodevole eccezione della Svezia, naturalmente. Non sappiamo affatto come ci sono arrivati; ma ci stanno, ed è tutto a posto.
Gli Stati Uniti posseggono 8.000 testate nucleari attive e operative. Duemila sono già allertate, pronte per essere lanciate con un preavviso di 15 minuti. Stanno sviluppando nuovi sistemi di armamento nucleare, noti come scudo spaziale. Gli inglesi, sempre pronti a cooperare, intendono rimpiazzare il proprio missile nucleare, il Trident. Su chi sono puntati, io chiedo? Su Osama bin Laden? Su di voi? Su di me? Su Joe Dokes? Sulla Cina? Su Parigi? Chi lo sa. Ciò che sappiamo è che questa follia infantile – il possesso e la minaccia di usare le armi nucleari – è al cuore dell’attuale filosofia politica americana. Dobbiamo ricordarci che gli Stati Uniti sono in stato di guerra permanente e non mostrano alcun segno di volerlo allentare.

Molte migliaia, se non milioni, di persone negli stessi Stati Uniti sono visibilmente disgustate, si vergognano e si indignano dalle azioni del loro governo, ma al momento non sono una forza politica coerente – non ancora. Ma è improbabile che l’ansia, l’incertezza e la paura che vediamo crescere ogni giorno negli Stati Uniti diminuiscano.

So che il presidente Bush ha molti collaboratori estremamente competenti che gli scrivono i discorsi, ma vorrei offrirmi volontario per questo lavoro. Propongo il seguente breve discorso che egli può fare in televisione alla nazione. Lo vedo grave, i capelli pettinati con cura, serio, vincente, sincero, spesso accattivante, a volte con un sorriso ironico, attraente in modo singolare, un vero uomo.
’Dio è buono. Dio è grande. Dio è buono. Il mio Dio è buono. Il Dio di Bin Laden è cattivo. Il suo è un Dio cattivo. Il Dio di Saddam era cattivo, tranne che lui non ce l’aveva. Lui era un barbaro. Noi non siamo barbari. Noi non tagliamo la testa alla gente. Noi crediamo nella libertà. Come Dio. Io non sono un barbaro. Io sono il leader democraticamente eletto di una democrazia amante della libertà. Noi siamo una società compassionevole. Noi diamo la compassionevole sedia elettrica e la compassionevole iniezione letale. Noi siamo una grande nazione. Io non sono un dittatore. Lui lo è. Io non sono un barbaro. Lui lo è. Sì, lo è. Tutti loro lo sono. Io posseggo l’autorità morale. Vedete questo pugno? Questa è la mia autorità morale. E non lo dimenticate’.

La vita di uno scrittore è un’attività assai vulnerabile, quasi nuda. Non ci si deve piangere sopra. Lo scrittore fa la sua scelta e le rimane fedele. Ma è vero che si è esposti a tutti i venti, alcuni dei quali davvero gelidi. Si finisce da soli, in una posizione pericolosa. Non si trova alcun riparo, alcuna protezione – a meno che non si menta, nel qual caso naturalmente si costruisce la propria protezione e, si potrebbe concludere, si diventa un politico.

Più volte questa sera ho fatto riferimento alla morte. Citerò ora una mia poesia che si chiama ’Morte’.

Dove fu trovato il corpo morto?
Chi trovò il corpo morto?
Il corpo morto era morto quando fu trovato?
Come fu trovato il corpo morto?

Di chi era il corpo morto?

Chi era il padre o la figlia o il fratello
O lo zio o la sorella o la madre o il figlio
Del corpo morto e abbandonato?

Il corpo era morto quando fu abbandonato?
Il corpo fu abbandonato?
Da chi era stato abbandonato?

Il corpo era nudo o vestito da
viaggio?

Che cosa vi fa dichiarare morto il corpo morto?
Avete dichiarato morto il corpo morto?
Quanto conoscevate il corpo morto?
Come sapete che il corpo morto era morto?

Hai lavato il corpo morto
Gli hai chiuso entrambi gli occhi
Hai seppellito il corpo
Lo hai lasciato abbandonato
Hai baciato il corpo morto

Quando guardiamo dentro a uno specchio noi pensiamo che l’immagine di fronte a noi sia fedele. Ma muoviamoci di un millimetro e l’immagine cambia. Noi stiamo in effetti assistendo a un infinito gioco di specchi. Ma a volte uno scrittore deve rompere lo specchio – perché è dall’altra parte di quello specchio che la verità ci fissa.

Io credo che nonostante gli enormi ostacoli che esistono, la risoluta, costante, tenace determinazione intellettuale di definire, come cittadini, la reale verità delle nostre vite e delle nostre società è un compito decisivo che incombe su noi tutti. Esso infatti è vincolante.

Se una tale determinazione non si incarna nella nostra visione politica, non avremo nessuna speranza di ripristinare ciò che per noi è così prossimo ad essere perduto – la dignità dell’uomo.

* Tratto da Spiego alcune cose di Pablo Neruda (la traduzione tiene conto dell’originale spagnolo)

© The Nobel Foundation 2005


(trad. it. V. Gaeta)



POSTFAZIONE

TESTIMONIANZA A STOCCOLMA


Quando fu informato di avere ricevuto il Premio Nobel per la letteratura, Harold Pinter disse che sarebbe andato a Stoccolma a ritirarlo. L’aggravamento della malattia di cui soffre da anni lo ha costretto a leggere sulla sedia a rotelle il discorso che aveva preparato.
Il video della lettura è stato proiettato a Stoccolma il 7 dicembre 2005. Lo si può vedere all’indirizzo http://nobelprize.org/literature/laureates/2005/pinter-lecture.html
In una stanza spoglia, accanto a una fotografia che ne mette in risalto la trascorsa imponenza fisica, c’è l’uomo sofferente di oggi, con il volto scavato ma con una incredibile determinazione di portare a termine la sua lettura, vera summa del suo pensiero artistico e politico.
Contro lo spirito del tempo, si tratta di una testimonianza di impegno, che giunge quando i discorsi sulla responsabilità dell’intellettuale e sul suo rapporto con la politica appaiono obsoleti. Ed è singolare, ma certo non casuale, che essa provenga da un artista di un’area come quella anglosassone, nella quale questi temi erano in passato molto meno sentiti che in Francia o in Italia.
Anzitutto è delineato l’impegno propriamente artistico. Viene definito senza categorizzare lo statuto della verità nell’ambito della “esplorazione della realtà attraverso l’arte”.
La situazione aurorale nella quale nascono le opere viene evocata in modo straordinariamente coinvolgente. La descrizione delle modalità con le quali i personaggi si impongono allo scrittore può ricordare certe riflessioni del miglior Pirandello, autore il cui senso scenico è certamente tenuto in considerazione da Pinter. Ma solo pinteriane sono l’asciuttezza e la semplicità con le quale si viene introdotti e guidati nel laboratorio della creazione artistica.
Pinter lo aveva fatto più volte in passato, ad esempio in un discorso pronunciato nel 1970 ad Amburgo (1). Mai, forse, in modo così articolato, rendendo con parole ineguagliabili il processo non razionale dell’ispirazione e del suo imporsi all’autore, assai lontano dal paradigma ottocentesco del narratore onnisciente.
Sempre definendo senza categorizzare, Pinter si addentra poi nelle modalità di composizione di alcuni dei suoi testi politici, sempre più importanti e frequenti dagli Ottanta in poi.
Anche il teatro politico rimane un ambito artistico, nel quale la verità è plurale e non è posseduta dall’autore (“egli deve essere preparato a un approccio da una varietà di angolature, da un insieme di prospettive che sia pieno e privo di inibizioni; all’occasione a prendere …i personaggi… di sorpresa, magari, ma nondimeno a dar loro la libertà di seguire la strada che vogliono”).
Si passa poi all’impegno politico propriamente detto. Qui la verità di fatto non può essere né ermetica né equivoca ma deve dare conto della brutalità del potere e dell’incombere di un “immenso arazzo di menzogne” delle quali veniamo nutriti. La tortura la guerra e la violenza appaiono allora la cifra del nostro tempo, contrassegnato dallo “stato di guerra permanente” degli USA.
Segue una straordinaria e raccapricciante descrizione di ciò che il dominio dell’impero americano ha fatto e continua a fare al mondo in cui viviamo. C’è ben poco da aggiungere o da chiosare, solo notare come l’habitus empirico anglosassone induca Pinter a innervare la sua appassionata requisitoria di dati di fatto che anche ai più informati si rivelano impressionanti nella loro sequenza.
Rispetto all’ambito direttamente politico, nessuna “verità plurale”, nessuna obliquità verso l’arazzo di menzogne ha ragion d’essere.
L’acme si raggiunge nella citazione del diplomatico americano che, vedendosi contestare le atrocità dei Contras, pronuncia una frase che sembra tolta di peso da una commedia dello stesso Pinter: “Non condivido che i fatti rappresentati supportino le vostre asserzioni”. Con la successiva ripulsa dello scrittore verso l’ammirazione espressa per le sue commedie da un diplomatico. Un’ammirazione rivolta all’arte per eludere il senso politico e umano di quanto appena accaduto, della discussione appena terminata con quella incredibile frase.
Lungi dall’appartenere al solo discorso sull’Olocausto, il negazionismo appare intimamente connesso alla violenza del potere contemporaneo. Le guerre, le torture, gli stermini non sono mai accaduti. La sensibilità morale che li registra e vi si ribella non si sa cosa sia. Coscienza è una parola arcaica.
Non sorprende che una simile valutazione provenga dal figlio del sarto ebreo, abituato da ragazzo alle minacce dei fascisti nella Londra degli anni di guerra. Colui che, dopo aver firmato nel 1989 la sceneggiatura tratta dall’Amico ritrovato di Fred Uhlman, non esitò nel 1994 a inviare alla New York Review una dura protesta contro il recensore di Schindler’s list, che aveva ricordato i massacri compiuti dai totalitarismi del Novecento senza citare gli USA (2).
C’è spazio nella Nobel Lecture per una rievocazione lucida e appassionata dei meriti del governo sandinista, che richiama alla mente le riflessioni fatte in un’intervista del 1994 (3).
E c’è spazio per l’espressione dell’ammirazione per un artista da Pinter così lontano come Neruda. Ancora, ci viene incontro il senso della vita e della morte in una poesia, nella quale il corpo morto, dead body, non è mai cadavere, corpse.
Infine è invocata la rottura degli specchi alla quale è talvolta chiamato lo scrittore. E‘ il rifiuto del “pinterismo” da parte di Pinter, in nome non di una forzata politicizzazione dell’arte ma del legame con la società che ogni arte, tanto più se teatrale, mantiene - nonostante e a causa della sua autonomia.
L’impegno artistico, l’impegno politico, l’amore per la verità che pure si esprime in modi diversi nei due ambiti, costituisce il senso finale della Nobel Lecture. Ma ognuno di noi, secondo Pinter, è chiamato a difendere e ad attuare la fragile e imprescindibile dignità dell’uomo.
Nella sua lucida emozionante chiarezza, il discorso del grande scrittore al culmine della sua carriera rappresenta un viatico per un futuro meno oscuro di questo nostro presente.

per Koreja: V.G.




(1) “Mi accorgo, a volte, di talune insistenze dentro la testa. Immagini, personaggi che premono per essere scritti. Posso versarmi da bere, fare una telefonata o farmi un giro nel parco: qualche volta riesco a soffocarli, siccome so che potrebbero trasformarmi la vita in un inferno. Ma altre volte non li posso evitare e sono costretto a cercare in qualche modo di rendere loro giustizia. Sarà un inferno, però è il migliore inferno nel quale mi possa capitare di stare”.

(2) “La grande differenza tra la spietata politica estera degli Stati Uniti e altre politiche ugualmente spietate è che la propaganda statunitense è infinitamente più efficace e i media occidentali meravigliosamente accondiscendenti. La responsabilità delle infinite atrocità perpetrate in nome della “democrazia” è forse qualcosa che il recensore del film potrebbe anche considerare”.

(3) “Forse si può dire che il problema di trovare il senso di appartenenza è il problema centrale del nostro mondo. Io non passo certo per un romantico, e credo di non risultare affatto romantico se dico che invece in Nicaragua ho avvertito questo senso di appartenenza, di comunità, di condivisione. Una sintesi viva di vita politica e vita privata: la coscienza politica non era una cosa teorica, astratta, ma era parte della vita, parte integrante del tessuto sociale” (Canziani e Capitta, Harold Pinter scena e potere, Garzanti, 2005, pag. 186).