Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Guida alla sopravvivenza. Imparare ad essere autosufficienti

Guida alla sopravvivenza. Imparare ad essere autosufficienti

di Guido Dalla Casa - 01/08/2008

                                                                                                                      
  Non occorre una gran fantasia per rendersi conto che la civiltà industriale odierna, che vive sulla crescita e si basa su non-cicli, è un fenomeno impossibile sulla Terra.
 La Natura si basa su cicli, questa civiltà si basa invece su “risorse” che si consumano e “rifiuti” che si accumulano; quindi non può durare a lungo. Dato il modo esponenziale con cui avanza e il suo grado di invasione del Pianeta, si può prevedere ormai prossimo l’inizio di quei fenomeni traumatici che ne segneranno la fine.
   Le probabilità che il modello si modifichi gradualmente fino a raggiungere condizioni stabili, cioè fino ad ottenere una situazione stazionaria (che in economia viene chiamata crescita-zero) e a funzionare solo su cicli chiusi, sono molto scarse. L’avvicinamento esponenziale di questa civiltà ai limiti globali del sistema è ormai rapidissimo.
   Sono passati più di dieci anni dall’ammonimento di U Thant alle Nazioni Unite (1) e dalla pubblicazione de I limiti dello sviluppo ma non si è fatto nulla per arrestare il processo: tutte le forze politiche continuano ad inneggiare allo “sviluppo” e la situazione si è ulteriormente aggravata.
   Le proiezioni in avanti di una trentina d’anni di molti fenomeni oggi in corso danno risultati chiaramente paradossali; i consumi energetici che si dovrebbero avere sulla Terra sono palesemente incompatibili con le “risorse” ancora a disposizione, ma soprattutto con il funzionamento stesso del Pianeta.
   C’è chi pensa che “c’è ancora molto petrolio sotto gli Oceani”. Se si trovasse ancora molto petrolio, sarebbe la peggiore delle sciagure. Già oggi muoiono centinaia di migliaia di esseri viventi a causa di questo liquido. Ogni tanto minuscoli trafiletti sui giornali danno notizia che centomila uccelli sono morti nel Mare del Nord per chiazze oleose vaganti. Non parliamo poi dei pesci, vengono uccisi in gran numero a causa del petrolio.
   Eventuali nuovi ritrovamenti non farebbero che ritardare di poco il collasso, aggravando però di molto la situazione.
   E’ la Vita che si distrugge. La civiltà industriale sta distruggendo la vita, come un male avanzante nel corpo cui appartiene. C’è da sperare che non si trovi più petrolio. Altrimenti sarebbe peggio. Non parliamo poi dei guai che si creano nell’atmosfera per la combustione di queste enormi quantità di combustibili fossili: le piogge acide sono in aumento ovunque. Anidride carbonica, ossidi di azoto e di zolfo vengono immessi nell’aria in quantità impressionanti. Tanti sono i fenomeni di questo tipo su scala mondiale: si è fatto solo qualche esempio.
   Se il modello di oggi, che chiameremo civiltà industriale sempre-crescente, dovesse continuare, si avrebbero conseguenze disastrose: immense foreste scomparse, interi mari privi di vita, megalopoli mostruose, malattie mentali e criminalità ovunque.
   Ci sono quindi molti motivi per ritenere che questi fenomeni si interromperanno prima, e questo può significare solo la fine traumatica di questa civiltà. E’ assai difficile immaginare cosa significhi in pratica, come è molto difficile comprendere quando sarà “il momento”: i segni premonitori ci sono già oggi, ma ne dovrebbero venire altri, più chiari. Anche se quasi nessuno li interpreterà in questo senso, perché nessun modello culturale umano è capace di concepire la propria fine. Si darà la colpa alle destre, alle sinistre, al capitale o al sindacato, agli imperialisti o agli egualitari, ai conservatori o ai progressisti, ma ben pochi percepiranno la sostanza del fenomeno, la fine di un modello di vita, quello industriale nato due secoli fa. Non si può interpretare questo collasso con motivazioni economiche, perché è la fine del concetto stesso di economia.
   Tutto questo sembrerà a molti la fine del mondo: ma, per quanto si tratti di una cosa drammatica, sarà solo la fine di una forma di pensiero, dell’idea-guida che lo scopo dell’umanità sia l’incremento indefinito dei beni materiali, cioè l’idea-guida della civiltà industriale. Cosa intende infatti questo modello come “miglioramento”? L’aumento dell’avere, del reddito, degli oggetti.
   A consolazione per questa prossima fine, che sarà traumatica per quasi tutti, salvo gli abitatori di qualche superstite foresta, ricordiamo che si accompagna a questa “crescita” anche l’aumento della criminalità, del consumo di farmaci di ogni tipo, delle malattie mentali.
   Inoltre, facciamo un’altra considerazione: la catastrofe della nostra civiltà è l’unica speranza di sopravvivenza per molte altre culture umane, gli Indios dell’Amazzonia, i Papua della Nuova Guinea, le ultime tribù africane, oceaniane, asiatiche. Se il processo continua, non hanno alcuna speranza di sopravvivere: sarebbero distrutte e fagocitate, i loro componenti dovrebbero scegliere fra restare abbrutiti dagli alcolici o trascinare miseramente la propria esistenza come “sottoproletari” ai margini di quell’altra civiltà. La catastrofe di questo sistema è anche l’unica speranza di sopravvivenza per moltissime specie di esseri viventi, animali e vegetali. Quindi è una disgrazia solo per noi.
   Ma torniamo ai fatti. Siamo tutti imbevuti, condizionati dal modo di vivere della civiltà industriale, e moltissimi non potranno sopportare nemmeno l’idea di vivere in un altro modello, non riescono neppure a concepirne la possibilità di esistenza. Ma c’è anche chi vuole comunque sopravvivere.
   Negli Stati Uniti c’è stata una fioritura di associazioni e movimenti, ma soprattutto vendite di oggetti che riguardano la sopravvivenza. Quindi, grossi affari per qualcuno, secondo il classico stile di quella gente. Questi gruppi di persone vengono chiamati “survivalisti” (dall’inglese survival=sopravvivenza).
   Di solito si preparano a maneggiare armi, ammassare provviste e scatolette in bunker, rifugi antiatomici, cantine. Al massimo si chiudono nelle loro palizzate, per difendere “la loro proprietà”. In complesso si tratta di prospettive molto squallide: viene da chiedersi se vale la pena di vivere come topi da fogna, pronti ad uccidere per non essere uccisi, tenendosi magari addosso la paura di morire di leucemia per le radiazioni, se si esce. Ma questo è il loro stile; e pensano di “ricominciare” come i pionieri, come i loro nonni.
   Non è partendo dalle armi, dalla violenza o dai bunker che si può salvare una vita decente; inoltre l’idea di “ricominciare” è semplicemente una follia, perché vorrebbe dire riprodurre le condizioni che hanno causato il collasso.
   In questo manuale si farà un’ipotesi diversa, basata su una sopravvivenza fisica iniziale, ma con la speranza di rinascere anche spiritualmente verso una forma di pensiero e di civiltà che abbia fondamenti filosofici diversi da quelli che sono stati alla base del modello fallito.
   Qualunque comunità, qualunque modello culturale deve basarsi sull’equilibrio, sulla consapevolezza di far parte in tutto e per tutto di un’Entità più vasta, che chiameremo la Natura.
   Lo scopo di questo manuale è di fornire una traccia, una debole guida verso quella che può essere una sopravvivenza fisica, psicologica e culturale; soprattutto una speranza di riuscire a sopravvivere al periodo di transizione, al periodo traumatico del collasso, e di fornire qualche indicazione per raggiungere una condizione più stabile e più serena. Per questo bisogna prepararsi, anche se le difficoltà di prevedere l’epoca e le modalità del cambio di modello rendono estremamente difficile intraprendere a tempo giusto azioni concrete.
   Bisogna comunque essere pronti a cavarsela anche nei primi tempi, quando il supporto della cosiddetta “civiltà” – che è poi soltanto una civiltà fra le tante – i rifornimenti e la facilità di trasporti verranno a cessare, quando è molto probabile che lo sbandamento generale provochi la formazione di numerose bande di delinquenza spicciola vagante, quando bisognerà scegliere se entrare in competizione su questo piano, o ritirarsi in località meno turbolente, ma molto meno “comode”. Bisognerà riuscire a cavarsela con poco a disposizione, senza possibilità di comprare roba nei negozi, o rivolgersi ad altri per ogni occorrenza.
   Bisognerà re-imparare rapidamente a vivere anche senza il panettiere, il lattaio, il negozio di vestiti. Trarre dal resto della Natura, ma in armonia con Essa, il necessario per vivere, e anche essere sufficientemente sereni.
   Per rendere più variata l’esposizione, a volte ci si rivolgerà ai lettori come se si trovassero al tempo presente, altre volte come se stessero leggendo il manuale già in condizioni di sopravvivenza, dopo il cambio di modello culturale.
-----------------
(1)“Non vorrei sembrare troppo catastrofico, ma dalle informazioni di cui posso disporre come Segretario Generale si trae una sola conclusione: i Paesi membri dell’ONU hanno a disposizione a malapena dieci anni per accantonare le proprie dispute ed impegnarsi in un programma globale di arresto della corsa agli armamenti, di risanamento dell’ambiente, di controllo dell’esplosione demografica, orientando i propri sforzi verso la problematica dello sviluppo. In caso contrario, c’è da temere che i problemi menzionati avranno raggiunto, entro il prossimo decennio, dimensioni tali da porli al di fuori di ogni nostra capacità di controllo” (U Thant, 1969)
 
 
1. -  Dove andare
 “Rilievo e clima isolano le montagne: le comunicazioni sono più rare, più faticose, più pericolose e più spesso interrotte. Questo isolamento ha però spesso i suoi lati buoni. Nei periodi di incertezza le montagne hanno offerto rifugi sicuri a coloro che osavano stabilirvisi. E’ in questo modo che esse hanno acquisito gran parte delle loro popolazioni. Persino nelle montagne attraversate da grandi strade, battute da predoni e soldati, rimanevano vallate appartate e poco accessibili, alti versanti facili da sorvegliare e da difendere.
   Nell’interno di questi rifugi ha potuto rafforzarsi il gusto della libertà, maturare l’esperienza dell’autonomia.
   Rifugio di popolazioni, conservatrice di idee e tradizioni, la montagna ricorda le isole. In ambedue i casi non si è mai trattato, salvo rare eccezioni, di isolamento totale; in ambedue i casi l’isolamento relativo tuttavia è stato dei più efficaci, persino sulle montagne e sulle isole più vicine alla pianura o al continente.”
                                                 (da La Montagna, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1962)
 
   Facciamo un’ipotesi concreta sul prossimo futuro, una delle tante possibili.
   In uno dei prossimi anni potrebbe succedere che:
  Il prezzo del petrolio è aumentato ancora, gli Stati arabi del Medio Oriente sono in continua guerra fra loro, i governi cadono e cambiano. Lo stretto di Hormuz risulta infine chiuso per eventi bellici. Una superpotenza pensa di intervenire. In Europa c’è già il razionamento dei prodotti petroliferi. Ben pochi, soprattutto nelle città, sono in grado di passare l’inverno senza di essi. Le industrie sono costrette a ridimensionarsi o a fermarsi. Agitazioni, delinquenza, disoccupazione, prezzi altissimi peggiorano la situazione di mese in mese.
   Nei deserti del Medio Oriente non c’è giorno senza guerra.
   Nessuno vuole riconoscerlo, ma in realtà l’aumento continuo dei beni materiali, il cosiddetto sviluppo economico, è ormai alla fine.
   L’inquinamento ha ridotto il Mediterraneo, il Mar del Giappone, il Mar Nero, il Baltico e gran parte dell’Atlantico a mari quasi privi di vita. Il pesce, ormai raro, ha prezzi altissimi. L’ideologia industriale è alle corde.
   Finché una delle superpotenze, vedendo ormai prossimo il collasso, decide, come suo vecchio costume, di “estrarre per prima la pistola”.
   Così un mattino ascoltate la notizia: New York e Mosca, Kiev e Detroit, Tokyo e Shanghai sono già un cumulo di rovine radioattive. Un fatto del genere è possibile anche per altre considerazioni: un modo con il quale l’Organismo Totale, cioè la Natura, può reagire all’attuale eccesso di popolazione umana con il minimo di distruzione per gli equilibri vitali è proprio quello di eliminare le grandi città, densissime di popolazione e di consumi e molto scarse di altre forme di vita.
   L’Organismo reagisce eliminando i centri di concentrazione del suo male.
   Quando una specie si moltiplica in modo abnorme arrecando danni di ogni genere all’Equilibrio Generale, la Natura, cioè la Mente Universale, fa nascere nei componenti di questa specie degli istinti suicidi. Il fenomeno si manifesta, ad esempio, nei lemmings e nelle locuste. Il modo in cui questi istinti suicidi possono manifestarsi in pratica nella specie umana è la guerra totale.
   Ma ritorniamo alla nostra ipotesi:
   Dopo la distruzione di alcune città, c’è una larva di mobilitazione generale, ma il buon senso di parecchi giovani fa sì che nelle caserme, invece di muoversi compatti verso un ipotetico “nemico della patria”, si senta vagamente che tutto questo non ha più senso e incominciano in pratica grossi ammutinamenti. I grandi sistemi di comunicazione e di rifornimento, i servizi, cominciano a collassare.
   Nel giro di pochi giorni, o di poche ore, dovete decidere se affrontare questo mondo ormai in disordine, rischiando che l’atomica venga a far fuori anche qualche città italiana, o fuggire. Ma dove? E per quanto tempo?
   I survivalisti americani si rintaneranno dentro i loro bunker, o dietro le loro palizzate, con le mitragliatrici e le scatolette, magari pensando a qualche vecchio film, ma tutto questo è soltanto squallido e folle.
   E voi che farete? Molto dipenderà da dove vi trovate. Qualcuno penserà di raggiungere qualche località isolata, tagliata fuori o tagliabile da grosse vie di comunicazione, quindi sostanzialmente un ambiente non facile, secondo la mentalità di oggi, dove la gran parte delle persone non penserà di dirigersi perché di accesso difficile, o agevolmente isolabile.
 
   In Italia, località simili possono trovarsi in montagna, sulle Alpi o sugli Appennini, o nelle isole minori. Pur facendo qualche accenno anche a soluzioni riguardanti le isole, ci si riferirà più in particolare alla fuga in località montane.
   Sarebbe bene avere già un rifugio dove pensare di dirigersi, magari con qualche riparo, casa o capanna larvatamente abitabili.
   Come località adatte si potrà scegliere:
 
- in località marina, qualche isola abbastanza piccola per non essere facilmente bersaglio di malintenzionati, e quindi così povera di “risorse” da non essere ambita per atti di pirateria, ma non troppo piccola e arida da non consentire alcuna forma di sopravvivenza a una comunità di almeno venti-venticinque persone.
E’ indispensabile che esista almeno una sorgente di acqua dolce o che le piogge vi siano sufficientemente frequenti da non rendere problematico l’approvvigionamento di una quantità minima di acqua. L’acqua è la base essenziale senza la quale non è possibile alcuna forma di sopravvivenza, anche se vi sono popolazioni che sono riuscite a vivere nel deserto del Sahara, in cui però avevano una perfetta conoscenza delle oasi e dei pochi pozzi.
Deve esserci un minimo di vegetazione, deve essere possibile allestire degli orti, il mare circostante deve essere sufficientemente pescoso. L’isoletta deve consentire l’allevamento di qualche animale, come capre, pecore, galline.
 
- in località montana, una conca, un alpeggio, una valle sufficientemente chiusa da tutti i lati, con un solo imbocco, agevole, e magari non troppo.
Se la zona non è nota, meglio ancora. Un segno che la località è abitabile in modo autonomo, è che sia stata abitata nel passato, o che lo sia ancora, magari da qualche anziano pastore, che però può diventare prezioso per consigli e per instaurare una reciproca collaborazione: chi arriva avrà bisogno di chi è sempre stato lassù. In questo caso inoltre ci sono già baite: anche se un po’ diroccate, si potranno rimettere in piedi.
 
   Ricordatevi, per farvi forza, che un simile modo di vita autonomo è stato possibile per secoli sulle montagne, nelle campagne e sulle isole; è durato fino a non molti anni fa. Quindi, se avete impegno e siete forti spiritualmente, potete farcela anche voi.
   Forse pensate che troppa gente vi salirà, e di tutti i tipi. Ma probabilmente non sarà così: chi è ormai visceralmente attaccato al suo mondo di oggetti e di simboli non salirà dove l’accesso è faticoso, quando le automobili non andranno più, e le funivie saranno fili inutili, buoni solo a deturpare la montagna. Preferiranno lottare a morte nelle pianure, nel vano tentativo di restare aggrappati alle “comodità”, per contendere agli altri con la violenza quel poco che sarà rimasto.
 
2. -  Cosa portare con sé – Come cavarsela nei primi tempi
 
 
3. -  Principi di sopravvivenza indefinita
 
   In un modello culturale umano è possibile sopravvivere a tempo indefinito solo se si tengono sempre presenti alcuni principi fondamentali, che discendono in sostanza dalla percezione completa e consapevole di essere parte di una Entità, di un Organismo più vasto, cioè della Natura. Siamo componenti di Qualcosa che ha leggi di funzionamento che non possono essere ignorate.
   E’ la dimenticanza di questo fatto la causa del prossimo collasso dell’attuale modello culturale umano di derivazione europea.
   Alcune filosofie orientali consideravano veri soltanto i processi che possono perpetuarsi senza limiti di tempo. Anche le comunità del futuro dovranno regolarsi in questo modo.
   Vediamo qualcuno dei principi essenziali:
 
- Ogni territorio può sostenere come massimo un numero di persone determinato: se sono di più, non si può vivere in equilibrio, quindi la comunità non può durare. Le tensioni che ne segnerebbero la fine sono inevitabili. Per vedere quante persone possono vivere in un dato territorio si può, in prima approssimazione, contare quante capanne, o case, o baite, vi erano da secoli. Se il territorio era abitato lungo tutto l’arco dell’anno, si può avere un numero approssimato contando circa due o tre persone per casa preesistente. Se era abitato solo durante la stagione estiva, sarà bene ridurre il numero così ottenuto. In conclusione: la densità di popolazione umana in un dato territorio ha dei limiti massimi ben precisi.
 
- Non si può “buttare via” niente, perché ogni cosa è lì, e non scompare, se non rientra in un ciclo della Natura nelle giuste proporzioni.
 
- Ogni processo della comunità deve essere un ciclo chiuso che lascia inalterato l’ambiente, cioè il numero di specie viventi animali e vegetali deve restare circa costante. Le specie esistenti in natura in quel territorio erano le migliori per esso: devono mantenersi. Non si deve “prendere” qualcosa di fisso né riversare sostanze nell’ambiente, altrimenti le “risorse” di partenza si esauriranno e i “rifiuti” si accumuleranno, recando ben presto danni intollerabili.
 
- Non esistono specie “utili”, “nocive” e “innocue”, esiste solo l’equilibrio globale.
 
- Una forma di “crescita” materiale all’interno della comunità significherebbe la rottura di un equilibrio: si deve evitare.
 
- Tutto quello che si preleva deve essere utilizzato al massimo e restituito in qualche forma alla Terra. Non si può ingannare il ciclo complessivo della Vita: ogni “vittoria” è illusoria e apparente. Un aumento di qualcosa in qualche momento e in qualche punto, corrisponde a una degradazione in qualche altro punto, o tempo, o attività.
 
   Il modo di funzionare della Natura, cioè per cicli, è l’unico modo in cui può esistere indefinitamente la Vita come complesso.
   Non si possono scegliere o rifiutare questi principi, perché non si tratta di stabilire se questo sia bene o male, meglio o peggio, ma di constatare che solo così si può continuare a vivere su tempi lunghi.
   Non mettetevi in testa una mentalità “da pionieri”: sarebbe la vostra fine. Il vostro angolo di mondo non è una cosa da conquistare, ma voi siete una parte di esso. Dovete convivere come una parte di un Insieme. Non c’è proprio niente da conquistare, né da modificare: l’ambiente naturale non può essere “migliorato”, potete solo integrarvi meglio in Esso. Non si può migliorare quello che ha impiegato quattro miliardi di anni per divenire ciò che è.
   Non dovete temere troppo le “scomodità” anche se, dato che provenite da un modello che aveva eletto il “comfort” a una specie di religione, il passaggio psicologico sarà difficile. Pensate che nelle città dove era massimo il consumo degli oggetti apportatori del cosiddetto benessere, erano massime anche le nevrosi, l’angoscia, le malattie mentali e la delinquenza. Quindi non poteva trattarsi di un vero benessere. Dovrete invece essere sempre in situazione di atteggiamento mentale sereno. Questo è essenziale.
   Non c’è bisogno di molto per essere sereni: un po’ di cibo e calore, e un po’ di cultura, ma nel senso più aperto del termine. Il difficile sarà cancellare i miti della civiltà precedente: l’esaltazione dell’ego, la crescita, lo sfruttamento.
   Solo con una nuova metafisica potrete sopravvivere culturalmente, ma non è poi tanto nuova: è la metafisica animista-panteista di quasi tutte le culture umane, e tutte hanno vissuto millenni, fino all’arrivo della sopraffazione, fino all’arrivo del fanatismo accrescitivo di questi due secoli. Due secoli contro milioni di anni.
   Ricordatevi di non fare contrapposizioni del tipo di quella umanità-natura o umanità-animali (purtroppo tanto comuni oggi): la specie umana è una specie animale, la specie umana è parte integrante della Natura. Si può essere lieti di questo, e ciò non significa affatto il materialismo, anzi significa un profondo senso religioso, il senso di un’appartenenza anche spirituale all’Unità Totale, all’Unica Mente.
   Non prendete mai posizioni del tipo di “lotta contro le forze ostili della natura”, perché sono queste le posizioni che hanno causato la catastrofe del modello da cui provenite.
 
4. - Allenamento
  “Staccarsi progressivamente dall’esistenza è l’insegnamento tradizionale dell’India, l’immersione frenetica nel vivere è l’inarrestabile malattia dell’Occidente. Abbiamo esportato dappertutto questo nostro miasma, eccitatore di violenza, spegnitore di sorriso.”       
                                                                                                                      (Guido Ceronetti)
                                             
   Ora torniamo al tempo presente. Questo breve capitolo è dedicato a qualcosa che potete cominciare a fare subito: un allenamento fisico-spirituale.
   Siete qui, in mezzo a un mondo tecnologico e inquinato. Automobili corrono ovunque. Questa è la realtà di oggi. Che fare, per allenarvi, per essere pronti al cambiamento, senza soffrirne inutilmente? Non potete lasciare tutto, anche perché siete parte di quanto vi sta attorno.
   Provate a fare qualcosa di diverso, o di normale, ma con atteggiamenti nuovi. Prendete un sacco in spalla e girate per le montagne: le Alpi si prestano bene. Non sarà necessario che saliate su particolari cime; se ne avete voglia, al momento potete anche salire. Da una valle all’altra, dormendo dove capita: rifugi, o baite, o fienili. Ricordate l’atteggiamento: non dovete competere con nessuno e con niente, né arrivare prima né dopo di alcunchè. Non avete alcun tempo da rispettare. Se piove o c’è la nebbia, godetevele: anch’esse hanno la loro magica bellezza. Anche la pioggia ha il suo bello, e le nuvole sono meravigliose.
   Il tempo qualche volta è bello, e qualche volta no.
   L’atteggiamento mentale deve essere di non-competizione, mai di conquista. Non dovete dimostrare niente a nessuno, neppure a voi stessi; non dovete competere né con il tempo, né con la montagna, né con niente altro. L’esperienza sarà rasserenante, di percezione della Totalità, sentendovi parte della Natura, in posizione di non-contrasto, di non-dualità. Il camminare lento e ritmico della salita concilierà questa integrazione. La respirazione profonda e il ritmo lento vi saranno amici. Non sarà necessario “raccontare”, né “dimostrare” niente. Non preoccupatevi della fatica: niente vi aspetta, niente ha fretta. Il corpo non si affaticherà, se in armonia con il profondo.
   Potete sostare quando volete, parlare dell’Essere, o dell’ultima pianticella incontrata. Ma non strappatela, non raccogliete. Potete prendere un fungo, se poi lo mangiate quella sera; o fragole e mirtilli. Altrimenti lasciate stare la Manifestazione, anche voi siete Quella.
   Potreste andare anche in pianura, ma in Europa questa possibilità è perduta. Sulle montagne potete ancora. Tenetevi lontani dal fondovalle invaso dalle auto; state lontani il più possibile anche dalle funivie. Potete anche pensare a nulla, o al Nulla. Fermatevi quando volete, dove volete. E’ un’esperienza non di alpinismo, ma soprattutto di integrazione nella Natura alpina.
   Non dovete conquistare né dimostrare niente, neanche a voi stessi. Non c’è da lottare con la montagna: non ha senso. L’io deve attenuarsi, non esaltarsi. Solo contemplazione, ritmo, e percezione. Oppure Nulla.
   Anche se siete materialista, sarà un’esperienza edificante: vi riposerà. Lasciate a casa l’automobile, scenderete ben lontano da dove siete partiti. Per recarvi alla partenza e per tornare dopo, usate il treno, o le corriere.
   Poi vi disintossicherete dall’inquinamento: sulle montagne ci sono gli ultimi posti con aria e acqua pure. Oltretutto, essere abituati a camminare in montagna vi sarà utile, per quando torneranno le comunità alpine.
   Meglio se siete in pochi, o un gruppetto, meglio se siete metà e metà, perché altrimenti, nel dialogo, vi mancherebbe l’altra metà del cielo.
   Se non siete materialista, vi sentirete maggiormente parte della Mente Universale, della Natura, e questo contribuirà all’allentamento dell’ego. Assaporate il piacere della non-competizione. Se vi salta in mente di salire una cima, non è per conquistarla, ma per integrarvi con una natura di quota maggiore. O per niente, senza nessun altro scopo.
    Potreste scoprire che, dopo avere magari provato a fare viaggi in treno, auto, aereo, pullman e nave, il mezzo più bello e completo per passare qualche settimana girando è viaggiare a piedi. E’ il mezzo meno pericoloso e più soddisfacente. Chi seguiva le carovane al passo dello yak o del cammello viveva anche durante il viaggio, senza preoccuparsi della “rapidità”. Cercate di dimenticare la velocità, questo valore così strano della nostra epoca e della nostra civiltà.
   Potete fare anche altri tipi di allenamento: imparate a mungere, a fare il burro e il formaggio, a tagliare l’erba per ricavare il fieno. Siate dolci con gli altri animali: fra voi c’è uno scambio reciproco di favori, siete in simbiosi con essi.
   Imparate a rispettare tutto il mondo vegetale: non ne potete fare a meno. E vi ricompenserà largamente.
   Se vi è più congeniale il mare, passate qualche settimana su un’isoletta, con una barca a remi. Giratela a piedi, imparate a sopravvivere.
 
5. – Le erbe spontanee e i funghi.
     Premesse – Foglie, germogli, licheni – Radici, rizomi, tuberi, bulbi – Fiori, nettare, polline - Frutti, bacche, noci, semi – Piante commestibili – I funghi.
 
6. – L’orto                                           
(continua)