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Libia e Italia nel Mediterraneo: il senso di un accordo strategico

di Alessandro Lattanzio* - 05/09/2008



L’Italia del centrodestra di Berlusconi ha preso un indirizzo, con le dovute proporzioni e misure storiche, che ricorda la politica ‘neutralista’ tenuta da governi del centrosinistra storico italiano: Aldo Moro, Giulio Andreotti, Bettino Craxi, solo per fare alcuni nomi. Una politica estera, quella di Roma, protesa al perseguimento di un proprio spazio economico-diplomatico nel Mediterraneo.

Certo, l’accordo firmato nei giorni scorsi, tra la Repubblica Araba Popolare della Jamahirya Libica e la Repubblica Italiana, è dettato dalla stringente necessità di assicurasi fonti di approvvigionamento energetico: gas da Russia e Algeria, petrolio dalla Libia, ecc. E non può essere diversamente!

La posizione geografica della penisola italiana, è fonte di strali e rimproveri. Il fatto che l’Italia sia immersa nel Mar Mediterraneo, viene vista e vissuta, da una fin troppo notevole porzione del ceto politico-imprenditoriale italiano, quale un ‘male’, un disagio politico o un handicap economico.

Eppure la vicinanza di due potenze energetiche, quali la Repubblica d’Algeria e la Libia popolare, dovrebbe rallegrare i responsabili dello stato italiano. Il petrolio e il gas per alimentare l’economia italiana, (o quel che ne rimane) può defluire da paesi vicini e, dopotutto, amichevoli tramite dei brevi, economici e sicuri oleogsadotti, che non richiedono particolari attenzioni tecniche (al contrario dei rigassificatori, costosi, complessi e potenzialmente pericolosi), e che non avrebbero mai, comunque, la capienza delle pipelines.
La favorevolissima posizione geo-strategica e geo-economica dell’Italia, posta al crocevia dei flussi economici, mercantili e culturali quale è il Mar Mediterraneo, invece di essere ‘sfruttata’ per risollevare le sorti dell’economia, viene imposta e fatta pesare quale causa della ‘maledizione’ dell’emigrazione dall’Africa e dal Medio Oriente. I tre fronti mediterranei dell’Italia, e specialmente il ‘fronte sud’, vengono visto, ancora una volta, come causa dei mali italici. Ovviamente, i sempre malinformati organi di stampa e radiotelevisivi nazionali, utilizzano lo ‘spettacolo’ estivo di carrette e vecchi natanti consunti, carichi di emigranti afro-asiatici, che minacciosamente si avvicinano alle coste del Mezzogiorno d’Italia. Una manna per scaricare colpe e responsabilità precise, sia verso popoli sofferenti (anche per causa di chi, poi, non li vuole alle proprie frontiere) e sia verso l’eterne colpevoli ‘regioni-colabrodo’ del sud. Raramente queste ‘fonti d’informazioni’ precisano che solo il 5-7% dell’immigrazione straniera in Italia, arriva solcando le onde mediterranee a bordo di vecchi pescherecci e scialuppe di fortuna provenienti dalla Tunisia o dalla Libia.

Ma proprio questa visione falsata, ha dato al presidente del consiglio Sivlio Berlusconi, una carta in più da giocare, per poter stipulare un accordo venticinquennale con il governo della Libia Popolare. Ovviamente la carta viene giocata sul tavolo della politica interna; essendo la Libia disponibile ad addivenire a un accordo di partnership, economico energetico e di controllo dei flussi migratori mediterranei, con Roma. E ciò in cambio di una condizione e di una richiesta: il riconoscimento delle sofferenze inferte alla popolazione libica durante l’occupazione italiana del 1911 al 1943, e la richiesta di ‘ricostruire’ una versione del XXI.mo secolo della vecchia Via Balbia; una superstrada che colleghi il confine libico-tunisino al confine libico-egiziano, impresa ampiamente alla portata dell’ingegneria civile italiana.

Rientra in quest’accordo libico-italiano, anche l’ovvio patto di mutua non-aggressione, dove si specifica: “l'Italia non userà e non permetterà di usare il suo territorio per ogni aggressione contro la Libia.” E viceversa. È una prassi comune, tra stati, stipulare accordi di mutua non aggressione, anche in margine di accordi di altra natura. È quasi un atto amministrativo.

Non ci sarebbe da scandalizzarsi, come fanno in molti, a destra e soprattutto a sinistra, nel sentire affermare ciò da Tripoli. È scritto in un accordo stipulato tra due nazioni sovrane.

Sovrane? In effetti è da stabilire se e chi è sovrano. Di sicuro la Libia lo è. L’altro stipulante lo è pure?

In effetti l’Italia fa parte del Trattato dell’Alleanza del Nord Atlantico e del suo braccio armato la NATO. Quindi la repubblica italiana è sottoposta, in relazione a tale trattato internazionale, a obblighi di carattere diplomatico (l’obbligo di sostenere un alleato aggredito) e limitazioni di carattere militare (concessione dell’uso del territorio nazionale a forze armate straniere, in primis degli USA). Teoricamente tale alleanza e relativa organizzazione, dovrebbero operare e svolgere compiti difensivi. Ma dopo il vertice del 1999, si è un po’ esteso questo campo d’azione: sono state aggiunte le ‘missioni umanitarie’, concetto alquanto fumoso ed abbastanza flessibile.

Quindi, se l’Italia stipula un accordo o trattato di mutua non aggressione, lo fa, appunto, in quanto entità statuale, ma non in quanto componente dell’Alleanza Atlantica e della NATO.

Ed è proprio qui che si evidenzia la ‘sovranità limitata’, tanto invocata in passato, dalla sinistra italiana, ed ora, opportunamente sottaciuta da essa (almeno dal marzo 1999). Insomma, l’Italia non può garantire, in forza dei trattati e degli accordi stipulati nel 1949, 1955 e 1999, che il proprio territorio non venga utilizzato da tutti o una parte dei suoi alleati nella Nato, per operazioni ostili contro la Libia, anche se non mancano precedenti illustri: nel 1986, con l’Operazione ‘Eldorado Canyon’, gli USA bombardarono Tripoli e Bengasi causando decine di vittime tra la popolazione civile libica. Gli FB-111 dell’USAF, decollati dal Regno Unito, dovettero raddoppiare il percorso e la durata dei voli di andata e ritorno, poiché la Francia e la Spagna, pur aderendo al Patto Atlantico, negarono l’uso del loro spazio aereo ai velivoli statunitensi. Tripoli, probabilmente, facendo cenno alla clausola di mutua non aggressione, si riferiva al comportamento allora tenuto da Madrid e Parigi. Ma forse, in effetti, anche in relazione a questo caso specifico, si chiede troppo a Roma.

Tripoli, inoltre, fa cenno anche al possibile impiego, in caso di eventuali aggressioni, di basi depositi o infrastrutture, della Nato presenti in Italia; questione su cui si è cercato di imbastire un discorso pretestuoso in relazione al numero di ‘basi’ della NATO presenti in Italia, che siano 113 ‘basi’, o si tratti di un numero leggermente inferiore di strutture di vario tipo, dalle basi aeree alle antenne del sistema Loran, si ha sempre a che fare con elementi del sistema NATO che tutti, nessuno escluso, possono essere utilizzati tanto per missioni difensive che per missioni offensive.
L’affermazione fatta da Tripoli, non poteva che suscitare polveroni e scandalismi, superflui e ipocriti. Il nocciolo della questione è la posizione internazionale dell’Italia, che non potrà svolgere pienamente una politica internazionale autonoma, senza prima rivedere, quanto meno, la serie di accordi stipulati nell’ambito del Patto Atlantico, ad iniziare dalle clausole segrete.

L’accordo sul risarcimento del periodo dell’occupazione coloniale, pone un precedente giuridico, che non inquieta solo Londra, per il suo passato colonialista ed imperialista classico: “Stavolta, però, anche se nessuno in Italia vi ha posto l' accento, è successo qualcosa di importante e grave: per la prima volta nella storia una potenza coloniale ha chiesto scusa. Una cosa che ha scandalizzato gli inglesi: la Bbc ci ha fatto l' apertura del giornale radio.” E la cosa pone una base giuridica a possibili minacce di cause di risarcimento verso gli USA e la loro politica internazionale interventista.

Infine, è in questo quadro che un Daniel Pipes, presunto esperto di questioni mediorientali, ma falco neocon, può permettersi di ‘consigliare’ il governo italiano nel suo approccio verso un paese vicino (e amico), per egli, l’accordo italo-libico indebolisce la NATO: «…Come Putin cerca di indurre i Paesi europei che più dipendono da petrolio e gas russi a prendere le distanze da noi, così Gheddafi cerca di indurvi a stare dalla sua parte nel caso di un nuovo scontro con l'America. Avete firmato un accordo non solo commerciale ma anche politico».

La linea del radicalismo neocon statunitense, sta naufragando anche presso gli amici, o presunti tali; perciò i suoi fautori, spaventati, impauriti e irritati, ricorrono sempre più alle minacce (Avete firmato un accordo non solo commerciale ma anche politico), ma anche ad affermazioni involontariamente ironiche e controproducenti: «Gheddafi ha ottenuto un risarcimento per le colpe di Mussolini e ha aperto le porte ad altri Paesi arabi per richieste ancora maggiori, come l'Algeria nei confronti della Francia. L'Europa deve essere molto ferma al riguardo: niente riparazioni dopo un certo tempo. (…) Accetto che chi soffrì sotto un' occupazione straniera sia risarcito. Ma che c'entrano i figli e i nipoti? Che cosa c'entra l'Italia di oggi con quella colonialista di ieri? Si strumentalizza il nostro senso di colpa, accade anche in America a proposito della schiavitù, abolita oltre 150 anni fa. Ed è ridicolo. Di questo passo, la Spagna chiederà riparazione all'Arabia Saudita per l'invasione del 711, e voi italiani risponderete degli abusi dell'Impero romano».

Si potrebbe anche aggiungere, cosa c’entrano gli svizzeri di oggi, i tedeschi di oggi, i polacchi e gli austriaci (il cui territorio era stato annesso al Terzo Reich), con la distruzione degli ebrei negli anni ’40? Curioso che per i libici non valga ciò che, invece, viene insistentemente ricordato riguardo Auschwitz, Mauthausen, Babi Yar e il ghetto di Kaunas. Il neocon filo-sionista Daniel Pipes ha chiuso, così, con le pretese del Yad Vashem?

Ma tutto ciò nasconde e copre la vera e definitiva paura dei neocon e dell’ "impero" USA, quella di scoprirsi, essi, di essere le canaglie isolate nel sistema delle relazioni internazionali: «… perché un'Europa sulla difensiva avrebbe meno potere in Medio Oriente, farebbe minore presa sui Paesi arabi, lasciando più spazio al radicalismo islamico».


*Alessandro Lattanzio, redattore di Eurasia. Rivista di studi geopolitici, esperto di questioni strategiche, anima i seguenti siti di informazione ed analisi:
http://www.aurora03.da.ru/
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