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L'abbondanza non c'è più

di Filippo Ghira - 17/09/2008

 

L'abbondanza non c'è più

La crisi finanziaria in atto negli Stati Uniti è una crisi strutturale. Non è l’effetto di problemi congiunturali ma ha a che fare con lo stesso modo di intendere la vita economica e quindi anche la finanza. La crisi è in altre parole il risultato della sindrome dell’abbondanza.
Sin dal loro arrivo in America i coloni provenienti dall’Europa vi hanno infatti trovato terra e acqua in misura illimitata e in grado di assicurare raccolti tali da sfamare più che abbondantemente tutti i nuovi arrivati. Una terra dove poter pascolare le mandrie e quindi assicurare carne e latte in quantità. Una terra il cui sottosuolo era ed è ricchissimo di oro e, quel che è più importante, in epoca industriale si è rivelato essere ricco di petrolio. Insomma una terra benedetta da Dio che aveva in tal modo voluto premiare gli europei che avevano abbandonato il vecchio continente per stabilirsi oltre Atlantico.
Come del resto testimoniano i celebri versi scolpiti alla base della Statua della Libertà.
Se non si tiene presente tutto questo, non si può comprendere non solo e non tanto il perché gli Stati Uniti si sentano investiti della missione divina di evangelizzare il mondo e convertirlo ai principi americani, ma non si può nemmeno capire l’approccio nei riguardi dell’economia e della finanza. In altre parole, la convinzione che tutto, anche il denaro e il petrolio, sia e rimarrà sempre abbondante.
Una convinzione che non ha contagiato solamente il cittadino medio ma anche i politici, i governanti, e gli operatori del settore finanziario.
A questo, come sempre, si è aggiunto un altro elemento, la speculazione, che in questi ultimi mesi ha raggiunto livelli che non ci si poteva più permettere, soprattutto perché era il sistema economico e finanziario nel suo complesso ad essere indebitato. Erano indebitate le banche, quelle di investimento, che avevano chiesto in prestito soldi, negli Usa e all’estero, per poter speculare sul mercato dei subprime e non solo su quello. Erano indebitate Freddie Mac e Fannie Mae le due agenzie parapubbliche, nazionalizzate il mese scorso da Bush, che speculavano acquistando mutui dalle banche commerciali, su questi creavano obbligazioni che poi ricollocavano presso altri investitori. Tra i quali appunto la Lehman Brothers fallita due giorni fa e la Merril Lynch acquistata dalla Bank of America, guarda caso una banca commerciale, rivolta all’economia reale e quindi più sana. Ma una volta innescatasi la prima crepa nell’edificio, era inevitabile che ci fosse un effetto domino.
Un altro aspetto dell’american way che si è manifestato in tutta la sua spietatezza con il crac della Lehman Brothers, è quello della aleatorietà del posto di lavoro.
Le foto sulle prime pagine dei giornali con i dipendenti della banca, licenziati con un semplice e-mail, che lasciavano la sede della Lehman con il classico scatolone di cartone nel quale avevano riposto i propri effetti personali, è un po’ la metafora di un sistema che molti, troppi, vorrebbero far adottare anche in Europa. Un lavoro aleatorio che si può sempre perdere con una casa, generalmente in legno, per la quale i cittadini americani accendono un mutuo ma nella quale nessun europeo acceterebbe mai di abita.