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Capitalismo & Capitale... Prospettive

di Riccardo Torsoli - 22/09/2008

 

 

Le borse hanno festeggiato il tentativo di salvataggio bancario in salsa keynesiana, predisposto dalla FED e dal ministero del Tesoro americano.  Un piano che ha dimensioni pari a dieci volte quello Marshall, destinato alla ricostruzione post seconda guerra mondiale. Ben presto, però, si dovrà fare i conti con le ripercussioni sull’ economia reale causate dalla fine del ciclo del capitalismo monopolista e dalle politiche ultraliberiste.

Intanto possiamo già annotare: in questi giorni si chiude il ciclo delle politiche economiche e monetarie adottate negli ultimi trenta anni, che hanno visto come principale ispiratore il premio Nobel per l’economia Milton Friedman [nel ritratto a destra] e la sua scuola economica di Chicago. Tali politiche economiche hanno trovato la loro applicazione con il governo americano di Reagan, il governo inglese della Thatcher e quello cileno di Pinochet. Questa fase economica ha chiuso definitivamente il ciclo keynesiano e ha aperto il ciclo economico del “laissez-faire”, del dogma del monetarismo, del libero mercato portatore di libertà ed unico faro del capitalismo, del rigetto della responsabilità sociale delle imprese, della deregolamentazione selvaggia dei mercati, dell’allargamento del divario salariale.

Dogmi che hanno portato alla devastazione economica odierna e ispirato sia le politiche monetarie della FED targata Paul Volcker, Alan Greenspan e Ben Bernanke, sia le politiche odierne della BCE. Ma il piano di salvataggio messo a punto dalle autorità monetarie americane e dal governo Bush hanno praticamente sconfessato i dogmi ultraliberisti e libertari che avevano contraddistinto gli ultimi trent’anni di politiche economiche a stelle e strisce e riportato in auge le politiche di stampo neokeynesiano che i repubblicani americani, legati all’ortodossia della scuola neoliberista ed austriaca, hanno sempre visto come fumo negli occhi.

Ed ora quali scenari si aprono? Molto foschi, sebbene i mercati finanziari abbiamo salutato positivamente le iniezioni di liquidità e l’approntamento di un vasto piano di salvataggio del sistema bancario americano. Con grandi probabilità, il nostro futuro prossimo, sarà costellato da una forte depressione economica, accompagnata da una fortissima inflazione. Il grande piano di salvataggio, pari a 1000 miliardi di dollari, infatti, andrà a sommarsi all’immenso debito pubblico americano, scaricando così sui contribuenti le perdite delle politiche scriteriate del sistema bancario americano. Tutto ciò causerà una forte deprezzamento del dollaro, già oggi in corso, una fuoriuscita e/o un mancato afflusso di capitali che saranno diretti verso economie più solide e meno indebitate, come l’Europa. Non secondariamente, provocherà un forte calo dei corsi azionari ed una negativa stretta creditizia dovuta sia all’innalzamento dei tassi di interesse che alla instabilità del sistema bancario già fortemente provato. Il tutto scatenerà  fallimenti di imprese e, conseguentemente,  una forte disoccupazione e, di riflesso, una caduta dei salari.

Nel 1929, prima che iniziasse la depressione economica, l’inflazione era a zero, i buoni del tesoro trentennali fruttavano un buon 4% e la disoccupazione era al 3%. Questo scenario idilliaco si trasformò in poche settimane in un incubo economico che scosse tutto il pianeta. Oggi, siamo messi molto peggio rispetto ad allora perchè il debito pubblico americano ha dimensioni abnormi. Per questo motivo, al posto della deflazione che caratterizzò la depressione del ‘29, oggi si sostituirà l’iperinflazione.

In Europa, i contraccolpi saranno fortissimi: ma potremmo cavarcela con un’inflazione contenuta, grazie al ridotto debito pubblico europeo. Il che, comunque, non vale per l’Italia, anche se protetta dallo scudo monetario dell’Euro. Infatti, potremmo risentire più di altri paesi europei degli effetti di depressione economica americana, gravati, come siamo, da problemi strutturali, da un debolissimo e iniquo stato sociale, da un sistema politico farraginoso e da una classe politica non sempre all’altezza della situazione.

Per quanto apocalittico, però,  il quadro che si dipinge davanti a noi ha comunque un suo lato positivo: siamo prossimi ad una nuova alba, la notte, finalmente, sta finendo.