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La Notte del Brigante

di Fernando Riccardi - 08/10/2008

 



Primavera del 1861: l’insorgenza post-unitaria era sul punto di piegare la resistenza del neonato e malfermo stato italo-sabaudo, piegato sotto il peso incombente dei suoi marchiani errori. I laceri ‘cafoni’ che lottavano strenuamente per un pezzo di terra da coltivare e per la loro stessa dignità, avevano trovato nel generale Crocco un comandante valoroso e un insuperabile stratega. Nato nel 1830 a Rionero in Vulture, piccolo paese del potentino, aveva creduto nella buona fede di quei soldati venuti dal nord per rivitalizzare le desolate lande del meridione. E così, assieme a molti altri, si precipitò ad offrire i suoi servigi ai funzionari del nuovo governo. Le sue certezze, però, svanirono come neve al sole e il ‘piemontese’ svelò ben presto il suo vero volto di dispotico invasore. Già nell’ottobre del 1860 Luigi Carlo Farini, luogotenente generale di Napoli, parlando della parte meridionale dello Stivale, così scriveva a Cavour: “Altro che Italia! Questa è Africa: i beduini, a riscontro di questi caffoni, sono fior di virtù civile”. Di fronte a questo atteggiamento sprezzante le diseredate masse del sud non se la sentirono di chinare il capo per l’ennesima volta e decisero di prendere le armi. Eppure per un attimo avevano davvero pensato che quel curioso sovrano venuto da lontano, che parlava una lingua incomprensibile, così poco marziale nel suo portamento a cavallo, avrebbe potuto risolvere i loro problemi. Ma era stata soltanto una pia illusione. Nessuno poteva avere a cuore le sorti di poveri straccioni capaci soltanto di scorticarsi le mani e di spezzarsi la schiena per coltivare una terra che non sarebbe mai stata la loro. Questi amari pensieri agitavano anche la mente di Carmine Crocco che subito capì quale sarebbe stata, di lì in avanti, la sua missione. E quale il nemico da combattere con tutte le sue forze, compresa quella della disperazione. Gli insorgenti lucani avrebbero potuto contare sul suo coraggio. Bisognava abbattere, rovesciare il nuovo governo unitario che si stava dimostrando di gran lunga peggiore del vecchio stato di cose. Crocco diventò un capobanda temerario, osannato, temuto da tutti, amici e nemici, e da tutti rispettato. La sua banda a cavallo riuscì a collezionare una serie di vittorie contro i soldati sabaudi sempre più a disagio nel combattere una guerra sporca, subdola, fatta di agguati improvvisi e di repentine incursioni. Nell’aprile del 1861 gli uomini del ‘generale’ si impossessarono, quasi senza colpo ferire, di Ripacandida, Barile, Venosa, Lavello, Melfi, Carbonara, Calitri. Un bel pezzo di potentino finì nelle mani dei briganti che, abbattute le insegne sabaude, al grido di ‘viva re Francesco’, ripristinarono quelle borboniche. Anche Potenza stava per cadere. Il colpo, però, non riuscì. E ciò non tanto per la flebile reazione piemontese, quanto per insanabili contrasti tra Crocco, i suoi luogotenenti e il legittimista catalano Borges. Poi, con l’andare del tempo, le cose presero una piega diversa e preventivabile. I soldati piemontesi, che affluivano dal nord sempre più numerosi, a suon di fucilazioni, eccidi, devastazioni, saccheggi, deportazioni, giovandosi anche di una implacabile normativa speciale (si ricordi la ‘legge Pica’), sia pure con una fatica bestiale, riuscirono a riprendere il controllo della situazione. I briganti furono messi in condizione di non nuocere. Intorno al 1870, o giù di lì, il fuoco della rivolta era domato. I problemi, però, continuavano ad esistere. E se prima in molti salivano la montagna e impugnavano lo schioppo, ora cambiava lo scenario ma non la drammaticità della situazione. Il cencioso contadino, raccolte le sue poche cose in una misera valigia di cartone, lasciava il suo paese, quella terra per quale tanto si era battuto e che non era riuscito a fare sua, e si imbarcava verso terre lontane e spesso inospitali. Da brigante, insomma, diventava emigrante, con tutto ciò di deleterio che il nuovo status comportava. Anche l’impavido Crocco, come tutti gli altri capibanda, dovette piegarsi all’ineluttabile. Catturato, processato e condannato al carcere a vita, dopo più di trent’anni di dura prigionia, esalava l’ultimo respiro nel 1905 nel bagno penale di Portoferraio. Di tutto questo e molto di più (la rivolta infiammò il meridione d’Italia per dieci lunghi anni) si parlerà il 10, 11 e 12 ottobre a Melfi e a Palazzo San Gervasio, due comuni del potentino ben lieti di conservare nel loro dna il germe inestinguibile del brigantaggio. La manifestazione denominata ‘La Notte del Brigante’, sarà illustrata giovedì 9 ottobre, alle ore 12.00, in una conferenza stampa che si terrà nella sala del consiglio comunale di Melfi. L’organizzazione è curata dall’associazione culturale ‘Mediterraneo 2000’, da Controcorrente Edizioni, dall’associazione ‘Amici de l’Alfiere’, dalla pinacoteca e biblioteca Camillo d’Errico, con il patrocinio delle amministrazioni comunali di Melfi e di Palazzo San Gervasio e grazie alla munifica collaborazione di un pool di aziende locali e nazionali. Previste mostre fotografiche, rappresentazioni teatrali (“Gli uomini non ne sapranno niente. Storie di briganti e brigantesse”, soggetto di Fiore Marro, regia di Enzo Morzillo), concerti di musica popolare con tarantelle, pizziche e tammurriate (si esibiranno i Rotumbè, Arakne Mediterranea e Mediterraneo Sound), proiezioni di diapositive, immagini e documenti (“L’invasione del Regno delle Due Sicilie” a cura di Alessandro Romano). Non mancherà, naturalmente, un convegno di studi dal titolo “Brigantaggio: l’orgoglio di un popolo tra passato e futuro”, che si ripeterà a Palazzo San Gervasio e a Melfi nelle giornate di venerdì 10 e sabato 11 ottobre (ore 18.00), al quale prenderanno parte storici, docenti, giornalisti, scrittori, tutti esperti della materia brigantesca: Giuseppe Melchionda, Antonio Pagano, Pietro Golia, Fulvio Caporale. Vincenzo Labanca, Pompeo Onesti, Edoardo Vitale, Fernando Riccardi, Ulderico Nisticò. I lavori saranno coordinati da Luigi Bianchini e Luigi Racca. L’atmosfera sarà resa ancora più accattivante dall’allestimento di numerosi stand di prodotti tipici dell’artigianato locale, mentre tutto intorno aleggerà soave la fragranza della ‘varolata’, le gustose castagne arrostite. Molto intensa la giornata conclusiva di domenica 12 ottobre che si aprirà a Melfi (ore 9.30) con il raduno del corteo storico che vedrà sfilare il locale gruppo di briganti a cavallo, il gruppo ‘Maio Santo Stefano’ di Baiano, l’Accademia della Battaglia di Bitonto e il Reggimento Realmarina di Calatanissetta. Alle 12.30, nella sala consiliare del comune, si terrà un incontro con sindaci e amministratori comunali, provinciali e regionali per la stesura di un protocollo d’intesa su una ipotesi di sviluppo dell’economia legata al turismo storico-culturale. Faranno gli onori di casa il sindaco di Melfi Alfonso Ernesto Navazio e il primo cittadino di Palazzo San Gervasio Federico Pagano. Nel pomeriggio (ore 16.30) si terrà una visita all’accampamento dei briganti con un assaggio di cucina lucana e di prodotti tipici. Chiuderà il programma la pièce teatrale di Enzo Morzillo (ore 18.00, teatro Ruggiero di Melfi) e, infine, il concerto “La notte del Brigante” (ore 21.00, piazzale del ‘Palapastore’) a cura de ‘I Rotumbè’. Per ulteriori informazioni si può contattare la segreteria organizzativa telefonando ai numeri 347/7230311 - 348/4113385 - 338/7235994 - 339/4312357 - 329/0336936 - 338/2007071. L’ufficio stampa è a cura di Mauro Finocchito (334/6149801). Un’occasione straordinaria per conoscere qualcosa di più su una particolare parentesi del nostro passato, a ben vedere neanche troppo lontano, che una storiografia partigiana ha volutamente occultato e minimizzato. Se oggi, a buon diritto, si parla di una ‘questione meridionale’ ben lungi dall’essere avviata a risoluzione, le radici vanno ricercate proprio in quel travagliato decennio post-unitario quando la forza bruta degli invasori piemontesi piegò la dignità delle genti del sud. Fu proprio allora che si scavò quel solco profondo tra Nord e Sud che non si è riusciti, e non si riuscirà mai, a colmare. Ma guai a parlarne. Si corre il serio rischio di essere bruciati come eretici impenitenti sulla gigantesca pira dell’ortodossia storiografica. Un rischio che gli organizzatori de “La Notte del Brigante” hanno sicuramente messo in conto ma che non ha impedito loro di procedere dritti lungo la strada della verità storica. Una verità che, prima o poi, finirà inevitabilmente per trionfare.