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A Darwin le specie. Ma l'uomo?

di Giuseppe Sermonti - 08/02/2006

Fonte: Avvenire



 
È da tempo invalso l'uso di estendere il campo della teoria dell'evoluzione dalla comparsa, tre miliardi e mezzo di anni fa, delle prime forme elementari di vita, sino ad oggi. Anzi, qualcuno anticipa la teoria all'origine del cosmo, 10-15 miliardi di anni fa. In realtà la teoria di Darwin si limitò più modestamente a L'origine delle specie, cioè a un fenomeno di portata limitata, per il quale Darwin e Wallace credettero di avere trovato i meccanismi: la variazione casuale e, soprattutto, la selezione naturale, la famosa «preservation of favoured races in the struggle for life» del sottotitolo darwiniano. È evidente che il Big bang e la genesi delle nebulose e degli astri sono al di fuori del modello della lotta tra le razze, come è estranea ad essa la origine della vita dalla non-vita. È difficilmente compatibile con il modello anche la cosiddetta "esplosione del Cambriano", allorché, un mezzo miliardo di anni fa, comparvero, in un tempo geologicamente breve, tutti i tipi viventi che avrebbero occupato gli oceani e la terra. Questa esplosione era stata dimostrata vent'anni prima della pubblicazione de L'origine delle specie, da Roderick Murchison, e Darwin aveva ammesso: «Io non posso darne una spiegazione soddisfacente».
Diamo a Darwin quel che è di Darwin, l'origine delle specie. E diciamo subito che non è un fenomeno minore, anche se all'uomo della strada poco importa se gli uccelli siano derivati dall'Archeopterix o dall'Hesperornis. Non è un fenomeno minore perché "specie" è anche l'uomo, e la sua origine per trasformazione graduale da una specie inferiore (la famosa scimmia) è il problema rovente dell'evoluzione, il Rubicone della nostra scienza. L'origine dell'uomo dalla scimmia (e non la selezione naturale) è ciò che ha reso la nascente teoria dell'evoluzione rivoluzionaria e scandalosa.
Fu proprio di fronte al problema dell'origine dell'uomo che la teoria variazione-selezione entrò in crisi. Come il talento musicale o il genio matematico potevano offrire un vantaggio riproduttivo ai portatori? Wallace, pur rimanendo fedele alla selezione naturale, entrò in una crisi mistica e Darwin adottò quello che sarebbe stato chiamato "darwinismo sociale". Se, nella società umana urbanizzata, la natura non favorisce i migliori, ragionò, sarà opportuno incoraggiare la lotta di tutti contro tutti (il contrario della cristiana "comunità d'amore") e promuovere la eliminazione delle razze inferiori. È davvero imbarazzante che si sia dato così poco peso all'asserto darwiniano «che le razze incivilite stermineranno e si sostituiranno in tutto il mondo a quelle selvagge» (sic!). Quanti lutti e miseria ha riversato questo auspicio sul ventesimo secolo! All'alba del nostro, si collocano sullo stesso piano morale (per tacere delle armi di distruzione di massa) l'aborto selettivo, la diagnosi pre-impianto, la fecondazione eterologa e la transgenesi, che cercano spazio nei tempi moderni, sulla base della loro scientifica raffinatezza.
In un articolo sull'"Osservatore Romano" intitolato Evoluzione e creazione (16-17 gennaio 2006), Fiorenzo Facchini, dopo averci data una versione estesa dell'evoluzione, si impegna a sdrammatizzare il problema dell'origine dell'uomo e della sua anima. Il magistero della Chiesa romana, nelle parole di Giovanni Paolo II è stato esplicito nell'accettare l'evoluzione («L'evoluzione non è più una mera ipotesi»), nel senso più lato della parola, ma è stato altrettanto esplicito nell'affermare, seguendo Pio XII, che «la Chiesa cattolica ci comanda di ritenere che l'anima è immediatamente creata da Dio». Erano così condannate «le teorie e le filosofie che considerano lo spirito come emergente dalla forze della materia viva». Ciò che il magistero della Chiesa non può tollerare non è tanto la selezione naturale, quanto «il Caso, il puro Caso» di Monod, all'origine della vita e dell'uomo. L'esigenza di un Disegno, sia pur vagamente definito, è alla base di ogni opposizione, ideologica o scientifica, al casualismo neo-darwiniano.
Non è competenza della Chiesa esprimere un giudizio scientifico su una teoria naturale. Opportunamente, nel maggio del 1982, la Pontificia academia Scientiarum convocò, per prendere conoscenza, un gruppo di lavoro sui "Recenti progressi nell'evoluzione dei Primati", cui anch'io fui invitato. Non si fece parola dell'anima, ma un fatto emerse chiaro: che, per usare i termini di David Pilbeam, i caratteri degli scimmioni sono «derivati» rispetto a quelli umani e gli «ascendenti comuni» sono vicini all'uomo, che è cambiato poco rispetto ad essi (il contrario di quello che riteneva Darwin). Inoltre, mentre i fossili degli scimmioni africani sono del tutto mancanti, fossili di ominidi sono fatti risalire a due-tre milioni di anni fa. L'andatura bipede degli ominidi precede di milioni di anni quella sulle nocche dei Pongidi. Questi dati non fanno una teoria, ma certo non offrono il quadro scientifico per autorizzare la ridicola vignetta della scimmia che gradualmente si erige e si denuda per diventare uomo bianco. Come giustamente nota Facchini, nella rappresentazione materialista dell'origine dell'uomo dalla scimmia, «non è in gioco la scienza, ma una ideologia». La Chiesa riafferma l'origine diretta dell'uomo da Dio, «ma non ci dice come». Va rimarcata tuttavia la pesante contaminazione ideologica della paleo-antropologia neo-darwiniana.
Non è giusto dimenticare che, in omaggio alla teoria dell'uomo derivato dalla scimmia, cento anni fa era in allestimento il più grottesco falso della storia scientifica, il cranio di Piltdown. Questo emblema dell'uomo-scimmia era stato montato, con una calotta di uomo moderno (australiano) colorata con bicromato di potassio e una mascella medievale di orango del Borneo (con i denti limati), e onorato con l'esposizione quarantennale in una vetrina del Museo di Storia naturale di Londra. Nello stesso tempo, nello zoo del Bronx, a New York, era esibito al pubblico in una gabbia, insieme a un orango e uno scimpanzé, un pigmeo congolese (Ota Benga), come esemplare dell'anello intermedio tra l'uomo e la scimmia! E tutto ciò è avvenuto con il concorso di predicatori protestanti, giornalisti codardi e paleontologi compiacenti, come rimarca l'autore di un recente libro (1992) su Ota Benga, Philip Verner Bradford, nipote del reverendo che portò il pigmeo del Congo a New York.
La paleontologia, l'anatomia e la biologia molecolare hanno accertato che l'uomo "non" deriva dagli scimmioni, ma poiché questa conclusione non è abbastanza laica e c'è il sospetto di una contaminazione clericale, allora si ritiene conveniente perseverare nella affermazione che «il nostro nonno era un babbuino», come disse scherzosamente Darwin, e insegnarlo ai bambini nelle scuole. Concordo con Facchini che il modo e il momento della comparsa della scintilla della coscienza non è argomento affidabile alla scienza, e vorrei al riguardo usare un termine che definisce i confini della scienza, quello di "mistero". In polemica con Richard Dawkins che ha introdotto il suo «Orologiaio cieco» con la micidiale affermazione che ormai l'enigma dell'esistenza «è stato risolto. per merito di Darwin e Wallace».