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L'illusione keynesiana

di Gianluca Bifolchi - 14/10/2008

 
Ho visto ieri la pubblicità di un abito da donna in cui la fascia che copre l'ombelico è di un materiale avveniristico che reagisce al calore e si restringe all'aumentare della temperatura. Così, oltre una certa temperatura, l'orlo dell'abito si alza e scopre l'ombelico.

Trovo abbastanza deprimente il revival di teorie keynesiane nelle quali si pretende di trovare una risposta alla crisi finanziaria in corso e alla depressione che si annuncia. C'è gente che crede veramente che con un sistema monetario internazionale basato su cambi fissi e con solide iniezioni di liquidità da parte dello stato a sostegno della domanda aggregata tutto si aggiusterà. L'ingenuità di questo secondo argomento risulta palpabile se solo si considera che le spese del governo federale nell'industria della difesa fanno degli USA la più keynesiana economia del pianeta. Inoltre, non raccontiamo storie: il successo della ripresa USA dopo la Grande Depressione del 29 ha poco a che fare con il New Deal rooseveltiano, e molto con l'economia di guerra in cui, sotto un regime di rigido controllo dei prezzi, si attuò il riarmo statunitense per sostenere lo sforzo bellico della seconda guerra mondiale.

Suggerirei piuttosto di concentrare l'attenzione sulla casacca da donna che scopre l'ombelico al calore: se la nostra economia trova un punto di equilibrio solo in un'espansione illimitata dei consumi; se la produzione insegue la soddisfazione di bisogni insussistenti e fatui; se l'intero sistema delle comunicazioni di massa è dominato da messaggi pubblicitari e di marketing, che non veicolano informazione ma creano riflessi condizionati per abbassare la soglia critica del consumatore ( per fargli vedere un valore aggiunto in un ombelico che si scopre da solo), a cosa ci serve una stabilizzazione monetaria che si limita a sterilizzare - in parte - l'economia dalla speculazione e dall'usura? E perchè le nostre critiche al mercato si limitano al recinto della finanza, riguardando solo titoli e valute, e non anche a questioni dell'economia reale, del tipo: chi e cosa si produce, e per soddisfare quali bisogni?

La FAO ha fatto ieri sapere che le cifre dei salvataggi bancari di cui si parla sarebbero sufficienti a metter fine alla fame nel mondo per il prossimo mezzo secolo, semplicemente assistendo chi ha fame; ma la stessa agenzia, che non vuole assistere chi ha fame e non vuole essere un sistema terzomondista di mense per poveri, promuove piuttosto progetti di sviluppo e di sovranità alimentare infinitamente meno costosi: e tutti deficitari per le inadempienze finanziarie dei più importanti paesi membri, quelli che stanno ora lavorando a salvare il sistema finanziario dalla bancarotta!

Il Canada sta procedendo ad una massiccia eliminazione di maiali, per scongiurare una caduta eccessiva del prezzo delle carni suine. A parte qualche donazione a mense comunitarie e un parziale utilizzo per mangimi destinati ad animali domestici, tutto il resto andrà distrutto. Ciò nel quadro di un'impennata mondiale dei prezzi dei generi alimentari che sta mettendo in ginocchio i paesi poveri: ad Haiti hanno addirittura inventato la pizza di fango, cioè una focaccia di argilla insaporita con erbe ed olio, ingerita, masticata e deglutita per non morire di fame. Una volta la Pizza di Fango del Camerun da noi era una fortunata battuta spiritosa (riferentesi a una mitica valuta africana), ma credete che qualche haitiano riderebbe?

La vergogna delle cosiddette "crisi da sovrapproduzione", che portano a distruggere una derrata preziosa come la carne suina (ahimé, lo dico da vegetariano), in un contesto di crescente denutrizione, sono l'altra faccia della medaglia del vestito il cui orlo si ritira e scopre l'ombelico quando si supera una certa temperatura. Un economista direbbe che nel nostro sistema economico un ombelico che si scopre da solo ha un margine operativo lordo superiore alla possibilità per qualcuno di non morire di fame mangiando una costoletta di maiale.

Ma al di là dei problemi etici connessi all'iniqua distribuzione delle risorse, la ragione intrinseca dell'instabilità economica non ha a che fare con la volatilità dei valori finanziari, ma con la combinazione innaturale di bisogni umani drogati e sistema della produzione. La questione centrale, dunque, non è stabilizzare il sistema, ma riportare l'intero quadro dell'organizzazione economica all'interno della discussione democratica delle nostre società. Dobbiamo dare alla gente una possibilità reale di decidere se vogliamo ombelichi che si scoprono da soli o buone scuole; una televisione che continui ad essere oppio per il popolo o un formidabile strumento di informazione e crescita culturale; quale debba essere il peso dell'avidità e quale quello della solidarietà nel determinare il flusso delle risorse. Quanto può durare ancora l'illusione che i bisogni collettivi possano trovare una razionale soddisfazione fino a che le leve della produzione, della distribuzione e della comunicazione pubblicitaria sono nelle mani di poche persone, guidate nelle loro decisioni dalla massimizzazione del profitto?

Non esiste democrazia che non sia democrazia economica, e non c'è democrazia economica se le comunità non possono decidere il loro destino economico.