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Il funerale della Vittoria

di Piero Melograni - 14/10/2008

   
Lo storico Piero Melograni ricostruisce tutte le fasi della complessa manifestazione di massa organizzata nel 1921 per la sepoltura del Milite ignoto a Roma inserendola nel clima politico e sociale del primo dopoguerra. Il film muto Gloria - Apoteosi del soldato ignoto girato all’epoca, ci restituisce tutti i particolari dell’evento, costruito come un vero rito collettivo pensato per rinsaldare il legame fra la monarchia e gli italiani attraverso il ricordo dei soldati caduti per la patria. Secondo Melograni, solo nel 1921, quando l’Italia era ormai uscita dal biennio rosso che seguì la fine della Prima guerra mondiale, il re e il governo moderato di Bonomi riuscirono a organizzare la manifestazione che portò in treno il corpo di un soldato senza identità da Aquileia fino a Roma per essere seppellito sull’Altare della patria.

Il 25 ottobre 1921, una popolana di Gradisca d'Isonzo (Gorizia) indicò, fra le undici bare radunate nella basilica di Aquileia, quella del "milite ignoto" da seppellire a Roma, in Piazza Venezia, sul grande monumento dedicato a Vittorio Emanuele II, "padre della patria", ove il milite ignoto si trova tuttora. Quella popolana si chiamava Maria Bergamàs, aveva 54 anni ed era stata prescelta perché suo figlio, richiamato alle armi dagli austriaci, (nel 1914 Gradisca apparteneva all'Austria) aveva disertato arruolandosi volontario con gli italiani. Era morto in combattimento il 16 giugno 1916. Non essendosi mai ritrovato il corpo, anche lui poteva essere il "milite ignoto".
Le undici bare di Aquileia provenivano dalle undici zone in cui si era più combattuto: Rovereto, Dolomiti, Altipiani, Grappa, Montello, Basso Piave, Cadore, Gorizia, Basso Isonzo, San Michele, nonché il tratto da Castagnevizza al mare. Era stato escluso l'Alto Isonzo forse perché Caporetto si trovava in quella zona e permaneva l'infondato sospetto che alcuni italiani avessero tradito consentendo al nemico di sfondare. La solenne cerimonia fu organizzata solo nel 1921 poiché durante il biennio rosso 1919-1920 non sarebbe stato possibile celebrare i caduti in guerra: l'idea di patria era in declino, e la Grande guerra risultava impopolare, per non dire peggio. Si era conclusa con una vittoria, ma perfino gli interventisti ritenevano si trattasse di una «vittoria mutilata». I socialisti, affascinati da Lenin, volevano «fare la rivoluzione come in Russia». Gli ufficiali in divisa e decorati al valore venivano insultati. Mi pare indicativo che i francesi e gli inglesi seppellissero il loro milite ignoto un anno prima degli italiani.
In Italia il biennio rosso si era concluso nel settembre 1920 con il fallimento dell'occupazione delle fabbriche poiché gli operai non erano stati in grado di far funzionare gli impianti senza i tecnici e i capitali dei "padroni". Lo stesso Lenin – in una lettera del 28 ottobre 1919, pubblicata dal quotidiano socialista «Avanti!» il 6 dicembre successivo – aveva chiesto agli italiani di non tentare alcuna rivoluzione. Gaetano Salvemini scrisse che quella lettera ebbe, tra gli estremisti, l'effetto di una doccia fredda. A destra si sospettò addirittura che si trattasse di un falso. Era invece autentica. Lenin temeva la rivoluzione in Italia.
Grazie alla fallita occupazione delle fabbriche e agli ordini di Lenin, l'Italia tornò a una relativa tranquillità. Ecco dunque che il 4 luglio 1921 si formò un governo presieduto da Ivanoe Bonomi, un socialdemocratico moderato che [...] nel 1912 aveva fondato il Partito socialriformista. Nel 1915, benché avesse 42 anni, si era arruolato come volontario per combattere gli austriaci. [...] Nel 1921 il suo governo era costituito da socialriformisti, da cattolici e da ex combattenti. Il biennio rosso era proprio finito e Mussolini sarebbe salito al potere l'anno seguente.
Sul viaggio del milite ignoto da Aquileia a Roma esiste un impressionante documentario cinematografico dell'Istituto Luce, muto ma con didascalie, intitolato Gloria - Apoteosi del soldato ignoto [...]. In esso vediamo sia Maria Bergamàs tra le undici bare, sia il treno speciale che attraversa l'Italia tra due ali di folla. Molti si inginocchiano al suo passaggio e lanciano fiori. In tanti immaginano che il padre, lo sposo, il fratello caduto in guerra senza che se ne siano ritrovate le spoglie, possa trovarsi sul treno e scorgono in quel milite ignoto il loro congiunto scomparso. Avvolte in veli neri molte donne salgono sul vagone. Il treno sosta a Conegliano, Venezia, Mestre, Padova, Bologna. A Venezia la bara percorre il Canal Grande su un barcone. A Firenze compie un breve giro in città. Sosta anche ad Orvieto. Alcuni biplani scortano il treno, ma non sarebbero in grado di trasportare la bara. Il treno è stato preferito perché consente di trasformare il viaggio in una grande manifestazione di massa, della quale i partiti di governo e la monarchia avvertono il bisogno. Per comprendere il clima di quei giorni si ponga mente al fatto che siamo vicini sia alla commemorazione dei defunti, sia al terzo anniversario della vittoria. Si è fatto in modo che il treno arrivi a Roma il 2 novembre, giorno dei morti, e che alla stazione Termini il feretro sia accolto da Vittorio Emanuele III di Savoia. Il re, a piedi, segue il feretro fino alla Basilica di Santa Maria degli Angeli, nella vicina piazza dell'Esedra. [...] Nella basilica ci sono anche la regina Elena e le principesse, rigorosamente a lutto.
In tutto il documentario si nota una forte presenza del clero cattolico. Mezzo secolo prima Roma e lo Stato pontificio sono stati sottratti al papa e la ricorrenza del 20 settembre (breccia di Porta Pia) viene celebrata come festa nazionale, ma l'articolo 1 dello Statuto albertino continua ad affermare che «La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato». Il 4 novembre 1921, terzo anniversario della vittoria sugli austro-tedeschi, un gruppo di medaglie d'oro trasporta il feretro del milite ignoto da piazza dell'Esedra a piazza Venezia, per inumarlo sull'altare della patria. È presente, oltre al re e alla regina, la ormai settantenne regina madre Margherita di Savoia, che sale a fatica le scale del Vittoriano. È la vedova di Umberto I, il re ucciso a Monza nel luglio del 1900 dall'anarchico Gaetano Bresci. Accanto alle scale un vecchio garibaldino di Mentana (1867) suona con la tromba il segnale dell'attenti. [...]