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Un bello show non fa una democrazia

di Thierry Meyssan - 04/11/2008

 

I media degli Stati membri della NATO danno un’ampia copertura alle elezioni presidenziali negli USA. Così facendo, trasmettono un doppio messaggio: l’avvenire dei popoli alleati si gioca a Washington, e gli Stati Uniti sono un modello di democrazia. Ora, è risaputo che l’elezione del presidente USA è falsata dal denaro. L’edizione 2008 è già costata più di 1,5 miliardi di dollari. Tuttavia questa critica resta superficiale in quanto lascia credere che i mezzi finanziari determinino il vincitore, mentre può forse accadere l’inverso: i soldi vanno al vincitore preventivamente designato. In realtà, fa notare Thierry Meyssan, la classe dirigente statunitense manipola ogni fase del processo elettorale, dalle primarie alle conventions, dalle liste elettorali alle macchine per il voto. Negli Stati Uniti, la democrazia è una pura finzione.



I media internazionali ci informano in dettaglio sulla campagna presidenziale negli Stati Uniti. Va da sé che questo paese sia una democrazia, che McCain e Obama si affrontino lealmente e che la scelta degli elettori determinerà la futura politica di Washington. Siamo dunque invitati ad appassionarci a questa telenovela in technicolor con le sue conventions illuminate da stars, le sue piogge di confetti e le sue clips televisive velenose.

Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, gli stessi media hanno suggerito che il sistema non funziona in questa maniera. Hanno osservato che la differenza tra repubblicani e democratici non era più evidente di quella tra Coca e Pepsi. Notavano che il presidente Bush non aveva la levatura per la sua funzione e non era in fondo che la marionetta di potenti interessi economici. Si stupivano che decisioni così importanti come la guerra in Iraq servissero maggiormente agli interessi di qualche multinazionale e di Israele che agli Stati Uniti in se stessi.

Da qui questa domanda falsamente ingenua: gli Stati Uniti sono veramente la democrazia che pretendono di essere?

Il popolo degli Stati Uniti non è sovrano

Si sarebbe tentati di rispondere “si” senza riflettere, tanto più che in passato la sinistra non ha li criticati su questo punto ma unicamente sull’assenza di diritti sociali. Per rispondere con maggior precisione, conviene definire cosa sia una democrazia e verificare se la Costituzione e la sua messa in atto corrispondano a questa definizione.

Classicamente, si distinguono tre tipi di regimi politici: la monarchia (il potere di uno solo), l’oligarchia (il potere di un’élite) e la democrazia (il potere del popolo). Per democrazia si intende un regime in cui il popolo è sovrano. Esso decide il suo destino, sia direttamente sia attraverso la mediazione di rappresentanti eletti o sorteggiati.

La Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti, principalmente redatta da Thomas Jefferson, è di essenza democratica. Si ispira alla filosofia dell’Illuminismo, soprattutto alle opere di John Locke. Essa afferma che “I governi sono stabiliti dagli uomini per garantire questi diritti [la vita, la libertà e la ricerca della felicità], e il loro giusto potere emana dal consenso dei governati. Ogni volta che una forma di governo diventa distruttiva verso questi scopi, il popolo ha il diritto di cambiarla o di abolirla e stabilire un nuovo governo”.

Ma le élites che avevano bisogno di arruolare volontari per condurre la guerra d’indipendenza, cambiarono il discorso quando si trattò di redigere la Costituzione. L’Assemblea Costituente che la scrisse fu soprattutto sotto l’influenza dei “federalisti” a capo dei quali stava Alexander Hamilton. Il loro obiettivo era di rompere con l’ingenuità bucolica del tempo. Volevano imporre un governo centrale forte, adatto all’epoca industriale, e tenere il “popolino” lontano dal potere politico, perché “il popolo è turbolento e incostante, raramente giudica o decide ragionevolmente”.

Hamilton avrebbe desiderato la creazione di una monarchia statunitense ma, a parte che questa formula non era più di moda, il progetto era irrealizzabile in assenza di una classe aristocratica autoctona. Nutrito delle opere di Thomas Hobbes, concepì dunque, per difetto, un regime nello stesso tempo repubblicano e oligarchico. La Costituzione è proclamata in nome del “popolo degli Stati Uniti”, ma non per questo il popolo è sovrano. Il potere appartiene agli Stati federali, sarebbe a dire in pratica ai notabili locali.

Questo aspetto essenziale del sistema politico USA è oggi mascherato dal ricorso al suffragio universale che da l’illusione della sovranità popolare. Tuttavia, ci si ricordi che nel 2000 la Corte suprema ritenne che non si dovesse tenere conto dello spoglio delle schede elettorali in Florida per proclamare il risultato dell’elezione presidenziale. Fondandosi su una nutrita giurisprudenza, anch’essa basata sulla Bibbia e sui Federalist Papers di Hamilton, rigettò la volontà degli elettori per accogliere quella del governatore della Florida, in quel caso Jeb Bush. Questo sbilanciamento assicurò la vittoria di George W. Bush, fratello del precedente. In un sistema democratico, la Corte suprema avrebbe atteso il risultato dello scrutinio in Florida. Essendosi poi rivelato favorevole ad Albert Gore, questi sarebbe diventato il 43° presidente degli Stati Uniti.

Le contraddizioni tra la Dichiarazione d’indipendenzae la Costituzione condussero tre membri dell’Assemblea Costituente a rifiutarsi di firmarla. Per uscire dalla crisi, fu trovato un compromesso sotto la guida del versatile James Madison: la Carta de diritti. Furono adottati dieci emendamenti per garantire i diritti del giudicabile di fronte all’arbitrio dello Stato.

In definitiva, le istituzioni traggono la loro legittimità dalla loro origine popolare. Ma i cittadini non possono davvero mettere bocca nella scelta dei loro dirigenti e dei politici mandati al potere. In compenso, dispongono di garanzie giuridiche per proteggersi dagli eccessi di potere.

Le primarie per escludere i contestatori

Nello spettacolo dell’elezione presidenziale che si svolge attualmente negli Stati Uniti, il primo atto sono state le “primarie”. Una presentazione superficiale lascia credere che i due grandi partiti politici consultino i propri membri, Stato per Stato, per scegliere i delegati che parteciperanno alle conventions dove designeranno il loro candidato. E’ falso: da una parte, le primarie non sono organizzate dai partiti ma dagli Stati, secondo regole proprie ad ognuno; dall’altra parte, nella maggioranza dei casi non sono solo gli iscritti al partito che partecipano alle primarie.

Ci sono sei metodi principali per le primarie, più metodi misti. In alcuni Stati, per partecipare bisogna essere iscritti al partito, in altri anche i simpatizzanti possono votare insieme ai militanti, a volte tutti i cittadini possono votare alle primarie dei due partiti, a volte possono votare tutti ma unicamente alle primarie del partito preferito, a volte i due partiti tengono in comune primarie a un turno, altre volte ancora a due turni. Sono possibili tutte le combinazioni di questi metodi. Ogni primaria, in ogni Stato, ha dunque un significato differente.

E poi ci sono Stati che non svolgono primarie ma caucus. Ad esempio, lo Iowa organizza distinti scrutini in ognuna delle sue 99 contee dove si eleggono delegati locali, i quali tengono delle primarie di secondo grado per eleggere i delegati alle conventions nazionali.

Tradizionalmente, questo circo comincia in febbraio e dura sei mesi, ma questo anno il Partito democratico ha modificato il suo calendario. Ha anticipato l’inizio e distribuito le date per fare durare il piacere quasi un anno intero.

Alla fine, i delegati si ritrovano alla Convention del loro partito. Vengono raggiunti dai super-delegati. I quali, contrariamente a quello che il loro nome lascia credere, non sono delegati da nessuno. Sono membri di diritto, ossia notabili e appartchiks. I super-delegati rappresentano l’oligarchia e sono sufficientemente numerosi per far pendere la bilancia in un senso o nell’altro, prevalendo sul risultato delle primarie e dei caucus. Essi sono circa il 20% alla convention democratica e quasi il 25% alla convention repubblicana.

L’originalità del sistema è che poiché i delegati alle conventions sono in maggioranza scelti da persone esterne al loro partito, essi rappresentano più o meno la stessa sensibilità che siano democratici o repubblicani. E se questo livellamento non bastasse, i super-delegati – sarebbe a dire l’oligarchia – possono ancora eliminare gli originali che restassero in lizza. In definitiva, i candidati designati dalle conventions saranno assolutamente consensuali, per non dire “incolori, inodori e insapori”.

Mentre i media USA presentano queste primarie come una estensione del dibattito democratico in seno ai partiti politici, il loro effetto è l’inverso: esse tendono a mantenere lo status quo eliminando tutti i candidati che non sostengono il sistema nel suo insieme.

Repubblicani e Democratici: due partiti gemelli

Questa scrematura è possibile perché i due grandi partiti sono strettamente intrecciati nell’apparato dello Stato. Per tutte le decisioni importanti, la Casa Bianca cerca un “consensus bipartisan” nominando una commissione ad hoc, composta in maniera uguale da dirigenti dei due partiti e co-presieduta da un repubblicano e un democratico, il che porta sempre a far passare l’interesse dell’oligarchia prima delle scelte politiche.

L’opposizione tra i due partiti non è che apparente dato che essi gestiscono insieme diverse istituzioni. Così, la National Endowment for Democracy (NED) [1], una sorta di vetrina legale della CIA, è gestita pariteticamente dai Repubblicani, dai Democratici, dalla principale organizzazione sindacale operaia (AFL-CIO) e dalla Camera padronale del commercio. Gli stanziamenti dedicati alla corruzione delle istituzioni politiche e sindacali nel mondo sono approvati in maniera bipartisan prima di essere distribuiti con l’intermediazione sia dell’International Republican Institute di John McCain, sia dell’International Democratic Institute for Foreign Affaire di Madeleine Albright. In questo caso preciso, non vi è che un’unica politica USA messa in atto da due organismi apparentemente distinti. La differenza tra repubblicani e democratici è una finzione che non esiste che quando l’apparato dello Stato USA si rivolge all’esterno.

John McCain e Barack Osama d’altronde scelgono tutte le occasioni per mostrare agli statunitensi la loro vicinanza ideologica. Per esempio, hanno messo in scena la loro partecipazione comune alla commemorazione degli attentati dell’11 settembre. O ancora, hanno pubblicato un comunicato comune di sostegno al piano Paulson per il salvataggio dell’economia.

In teoria, i contestatori possono creare nuovi partiti e presentare altri candidati all’elezione presidenziale. Ma in pratica, è impossibile. Le condizioni per fondare un partito sono differenti da uno Stato all’altro ed è impossibile soddisfarle tutte insieme. Lo sbarramento più efficace è quello del New Jersey dove bisogna riunire il 10% dei cittadini per creare una nuova formazione politica. Questa condizione è irrealizzabile in partenza e impedisce in modo definitivo ai piccoli partiti di disporre di una sezione in questo Stato.

Comunque sia, in certi Stati alcuni piccoli partiti sono stati legalizzati. Quando hanno designato il loro candidato in seguito alla loro convention federale, costui non potrà presentarsi in tutto il paese ma unicamente in questi Stati di modo che non avrà alcuna speranza di arrivare alla Casa Bianca. Se i democratici hanno designato Barack Obama e i repubblicani John McCain, l’avvocato dei consumatori Ralph Nader si presenta come indipendente e l’ex-rappresentante Bob Barr rappresenterà i libertari. Ci saranno anche tanti candidati i cui risultati non arriveranno all’1% su scala federale, come l’ex-rappresentante Cynthia McKinney per gli ecologisti, l’ambasciatore Alan Keyes per il Partito indipendente della California, il pastore Chuck Baldwin per il Partito della Costituzione, ecc. senza parlare dei tre candidati trotskisti Roger Calero per il Partito dei lavoratori, Gloria La Riva per gli scissionisti del Partito per il Socialismo e Brian Moore per i Socialisti-USA abbondantemente finanziati dalla CIA. In totale, dovrebbero esserci dai 15 ai 18 candidati mentre i media internazionali non parlano che dei due principali, tanto sono convinti che gli altri siano giusto tollerati per dare l’illusione del pluralismo.

Il presidente sarà eletto il 15 dicembre da 538 persone

Le regole elettorali sono volutamente complesse. La loro opacità tiene i cittadini lontani dalle decisioni. Cerchiamo comunque di riassumerle più chiaramente possibile.

Il prossimo 4 novembre, ogni Stato chiamerà alle urne i cittadini residenti sul suo territorio. In funzione della loro volontà, il governo locale designerà il membri del “Collegio elettorale presidenziale” che rappresenteranno lo Stato. Sono questi 538 elettori che eleggeranno a maggioranza assoluta, il 15 dicembre, i prossimi presidente e vice-presidente degli Stati Uniti. I loro voti in busta chiusa saranno solennemente scrutinati il 6 gennaio dal vice-presidente uscente in qualità di presidente pro tempore del Senato. E’ solo a quel momento che verrà proclamato il vincitore.

Ogni Stato dispone di tanti elettori quanti sono i suoi deputati e senatori al Congresso. Ora, il numero dei suoi deputati è proporzionale all’importanza della sua popolazione, mentre il numero dei senatori è fisso. Ne segue che i cittadini di piccoli Stati sono molto meglio rappresentati nel Collegio elettorale presidenziale di quelli dei grandi Stati. Il Wyoming, che non ha che 0,5 milioni di abitanti, dispone di 3 elettori mentre la California con 36,5 milioni di abitanti non ne ha che 55. Gli abitanti dello Wyoming sono dunque rappresentati 4 volte meglio di quelli della California. Questo sistema elettorale a due gradi è profondamente non egualitario. Tecnicamente è possibile disporre della maggioranza del Collegio elettorale presidenziale non avendo che un terzo dei voti dei cittadini.

In maniera più generale, il partito che arriva primo nella consultazione popolare arraffa tutti i seggi dello Stato nel Collegio elettorale presidenziale. Ad esempio, secondo i sondaggi, i cittadini della Florida sono a tutt’oggi incerti. Il candidato che la spunterà in questo Stato non avrà che un piccola percentuale di voti di vantaggio ma potrà contare su 27 elettori rappresentanti della Florida in seno al Collegio elettorale presidenziale, mentre il suo concorrente non ne avrà alcuno. Tuttavia, il Maine e il Nebraska fanno eccezione: utilizzano quanto a loro un sistema semi-proporzionale.

Nel corso degli ultimi anni, i candidati hanno preso l’abitudine di concentrare la loro campagna elettorale sugli Stati più popolati e di abbandonare gli altri. In effetti, è sufficiente vincere negli 11 Stati principali per diventare presidente.

In linea di principio, i 538 elettori devono votare in seno al Collegio elettorale presidenziale secondo l’impegno preso davanti allo Stato che li ha delegati. Ma il loro mandato non è “imperativo” che in 24 Stati. Gli altri possono quindi cambiare opinione in spregio della volontà popolare. Il caso è raro, ma nel 1836 23 elettori razzisti delegati a votare il candidato democratico hanno cambiato idea dopo aver saputo che il suo vice-presidente aveva avuto una relazione con una nera.

Macchine per votare, macchine per truccare

Anche se il voto a due livelli è un mezzo supplementare per rafforzare il controllo oligarchico dei risultati, non è più sufficiente oggigiorno quando i media di massa nuocciono all’opacità del sistema. La classe dirigente, perdendo fiducia nelle proprie istituzioni, ha ideato un modo radicale di imbroglio: le macchine per votare [2]. Esse gli permetteranno di eliminare i partiti alternativi e di scegliere la squadra, repubblicana o democratica, che metterà in atto la sua politica.

Nelle democrazie lo scrutinio è compito dei cittadini. Generalmente, funzionari comunali o regionali presiedono il seggio elettorale ma sono i cittadini che fanno lo spoglio delle schede sotto lo sguardo dei rappresentanti di lista. Negli Stati Uniti, la gestione dei seggi elettorali è subappaltata a ditte private. Per ridurre il personale necessario allo spoglio, queste ditte possono ricorrere a computer per il conteggio dei voti. Il loro utilizzo è talmente seducente che spesso si procede a numerose elezioni in una volta (presidente, parlamentari, sindaci, ecc.) e lo spoglio si rivela lungo e complesso.

Diversi studi scientifici su queste macchine, particolarmente quello del professor Avi Rubin della John Hopkins University, hanno tutti concluso che esse non offrono alcuna garanzia di sicurezza. E’ un veloce gioco da ragazzi modificare il software per truccare i risultati senza lasciare la minima traccia. La maggior parte dei computer per il voto utilizzati negli USA sono stati concepiti dalla Global Election System (GES), sotto la guida di Jeff Dean. Questo informatico è stato condannato 23 volte per aver truccato software internet destinati ad utilizzatori terzi e per aver raggirato i suoi clienti. L’uso di questo tipo di macchine è incompatibile con i principi della democrazia ed è sorprendente che i cittadini USA accettino di partecipare a una tale buffonata.

Come se questo non bastasse, questo anno hanno aggiunto una nuova opportunità di imbroglio: il voto anticipato. Invece di tenere lo scrutinio in un’unica giornata, lo hanno distribuito lungo un mese. Più del 30% dei voti dovranno essere espressi prima del 4 novembre, lasciando tutto il tempo necessario per procedere a brogli su larga scala.

Scegliere i cittadini

Malgrado questa somma di manipolazioni, rimane tuttavia un’incognita: la volontà dei cittadini. La classe dirigente WASP (White Anglo-Saxons Puritans) ha dunque al contempo creato difficoltà amministrative per iscriversi nelle liste elettorali e sviluppato tutto un arsenale giuridico per privare i poveri dei loro diritti civili. E spesso, in un paese che fino a cinquant’anni fa praticava ancora la discriminazione razziale, i poveri sono le persone di colore.

Non potendo organizzare un suffragio per censo, molti Stati hanno emanato leggi che sopprimono per un periodo determinato i diritti civili di persone che hanno riportato condanne penali. Nel Kentucky e in Virginia l’interdizione è a vita. Alcuni Stati hanno esteso questa privazione a persone cui siano state notificate infrazioni al codice della strada. Conoscendo l’ingiustizia che caratterizza la giustizia USA, i criminali condannati sono quasi esclusivamente poveri di colore. Nel Michigan, il legislatore ha da poco esteso la privazione dei diritti civili alle famiglie vittime della crisi dei subprimes che non sono state in grado di pagare le rate del mutuo ed a cui è stata confiscata la casa. Così, non solamente i cittadini non scelgono i loro dirigenti, ma sono i dirigenti che scelgono i loro elettori.

Non esistono statistiche che permettano di distinguere i cittadini che non desiderano votare, quelli che non sono riusciti ad iscriversi alle liste elettorali e quelli che sono stati privati dei diritti civili. Tuttavia, il risultato è qui: nel 2004, su 215 milioni di cittadini in età di voto, solamente 122 milioni sono andati alle urne (cioè il 56% di partecipazione). George W. Bush è stato trionfalmente eletto da 286 membri del Collegio elettorale presidenziale ma non aveva ottenuto che 62 milioni di voti dai cittadini, ossia il 28% dei cittadini in età di voto.

Democrazia di mercato

Veniamo al contenuto della campagna elettorale. Nella maggior parte dei paesi del mondo, le campagne elettorali permettono di sviluppare una visione politica e di metterla in concorrenza con le altre. Non è lo stesso negli Stati Uniti perché, come nell’insieme dei paesi anglo-sassoni, va da sé per cultura che non esista l’interesse generale. Benché la Costituzione sia di spirito repubblicano, la sua pratica non lo è.

Ogni candidato cerca di aggregare attorno a sé la più ampia coalizione di interessi particolari e si vanta degli aiuti ricevuti come di altrettante prove della sua capacità di governare. Non c’è posto per dibattiti d’idee nel senso europeo del termine. I candidati non difendono una visione del mondo e non hanno un programma esaustivo. Hanno delle posizioni su argomenti precisi in funzione degli interessi che rappresentano. Presentano le loro azioni passate sui vari temi come esempi della loro futura politica.

John McCain non distribuisce opuscoli riassuntivi delle sue posizioni. Al contrario, Barack Obama ha fatto stampare il volumetto The Blueprint for Chicago che elenca 15 argomenti differenti, che mescolano senz’ordine alcune misure in favore di gruppi di popolazione (gli anziani, le donne, i reduci, gli agricoltori); misure verso determinati problemi (la morale, la povertà); e politiche di settore (economia, fisco, politica estera). Questo modo di fare evita alcuni inconvenienti ma dissocia i problemi e impedisce ogni riforma globale. Il pragmatismo si rivela un’altra maniera di difendere lo status quo .

A Washington, si diffida del termine “democrazia”. Per distinguersi da certi suoi usi (come in “democrazia popolare”), si preferisce l’espressione “democrazia di mercato”. In questo modo si sottolinea che non si concepisce una democrazia politica senza “libero mercato”. Si ammette così implicitamente che la competizione elettorale è paragonabile alla vendita in un supermercato: le marche si affrontano a colpi di pubblicità per smerciare prodotti identici. Scegliendo imballaggi differenti, il cittadino-consumatore fa la fortuna degli uni o degli altri ma per lui non cambia nulla: acquista sempre lo stesso prodotto.

I Padri fondatori degli Stati Uniti volevano al contempo che le loro istituzioni fossero legittimate dal popolo e che questi fosse tenuto lontano dalle scelte politiche. Non soltanto il paese non è mai stato una democrazia, ma col tempo la classe dirigente ha inquinato un sistema dove l’elezione del presidente non tende ad esprimere la volontà popolare ma a manifestare l’adesione popolare alle istituzioni e a ri-legittimarle. Le primarie permettono di selezionare i candidati più conformisti mentre i computer per il voto e il voto anticipato garantiscono la possibilità di correggere i risultati delle urne.

Questo sistema non manca di ricordare quello della vecchia Unione Sovietica. I notabili locali si sostituiscono all’avanguardia del proletariato per costituire un’élite che manovra i fili. Lo scrutinio a due livelli ricorda il “centralismo democratico”, ecc. E’ d’obbligo costatare che la vita politica USA è un arcaismo della Guerra fredda. Come ha osservato l’ex-presidente Mikhail Gorbaciov, gli Stati Uniti hanno bisogno d fare la loro perestroika per girare pagina e entrare nell’era della modernità democratica.

Se questo show rigenera la società ogni quattro anni, serve anche a ripulire l’immagine degli Stati Uniti nel mondo. L’opinione pubblica internazionale è invitata a seguire uno spettacolo che fa dimenticare i crimini precedenti e le restituisce la speranza. Questo anno il casting è particolarmente riuscito: un brioso giovane nero assistito da un vecchio veterano della politica contro un ex combattente spalleggiato da una donna senza complessi. Già la stampa internazionale titola sul dopo Bush come se le guerre in Afghanistan e in Iraq non fossero che errori passeggeri imputabili soltanto all’amministrazione uscente.

Thierry Meyssan
Analista polistico, fondatore della Rete Voltaire.



Questo articolo è apparso inizialmente sul settimanale politico russo Профиль (Profilo) col titolo ХОРОШЕЕ ШОУ-ЕЩЕ НЕ ДЕМОКРАТИЯ”. Costituisce il dossier centrale dell’edizione del 22 ottobre 2008 (n. 630).



NOTE

[1] “La NED, nebulosa dell’ingerenza democratica”, di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 22 gennaio 2004.

[2] “Le system électoral US en question” e “Comment truquer les primaires US”, Réseau Voltaire, 23 gennaio 2004 e 3 febbraio 2008.



Titolo originale: “ Un bon show ne fait pas une démocratie
Fonte : Voltairenet.org
Link:
http://www.voltairenet.org/article158431.html
29.10.2008

Scelto e Tradotto per Comedonchisciotte.org da MATTEO BOVIS