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Zerismo

di Simone Bussola - 29/11/2008

    

Sullo "Zerismo" mi sento di dire soltanto che tutti gli ismi che conosco mi fanno venire in mente il concetto di ideologia. Infatti De Marco non ci ha messo molto a smentire la mia impressione, pronunciando per l'appunto la parola "ideologia" già nella prima riga.
Bene, dirò subito che, secondo me, non solo non serve nessuna nuova ideologia, ma quella di cui stiamo parlando non è nemmeno un'ideologia. Infatti MZ non si è trasformato in un partito politico. Tutt'al più potremmo dire che ad unirci è la critica più o meno radicale verso questa modernità e lo sviluppo. Ma in realtà la nostra non è altro che una semplicissima e profonda presa di coscienza sul mondo. Il resto viene di conseguenza.
I discorsi di De Marco mi sembrano di stampo integralista. Credo che coloro che sono convinti di avere la Verità Assoluta che gli scorre ininterrottamente nelle vene siano persone potenzialmente pericolose. D'altronde non sono io che lo dico, è la Storia che lo dimostra.
Perché definisco l'articolo "incriminato" come integralista, almeno in alcuni punti? Innanzitutto l'uso ossessivo del verbo "dovere" secondo me indica un modo di vedere e concepire il mondo piuttosto dispotico; poi c'è una frase che mi ha fatto riflettere. "In fondo al cuore di esseri dotati di sangue celeste vi è una luce che non può essere spenta. Ad essi dobbiamo parlare e da questi dobbiamo essere riconosciuti come portatori di un nuovo-antico pensiero". Io, al contrario, penso che non ci siano persone che per tocco divino abbiano la capacità di capire ed altre no. Sono tre gli ostacoli principali per i quali però esse non percepiscono ciò che altri invece avvertono. Innanzitutto non sono informate correttamente su quel che succede intorno a loro e sul perché ciò accade; in secondo luogo, alcune di loro hanno dei miseri interessi privati da difendere (ideologia capitalistica); in terzo luogo, se da una parte non sono correttamente informate, dall'altra sono perfettamente formate. Io definirei semmai l'uomo moderno homo consumisticus. Questo sistema trova la sua fonte, apparentemente inesauribile, nella frustrazione dell'essere umano, il quale è indotto a credere che la soluzione a tale sgradevole sensazione stia nel consumare. Per cui lavorerà sempre di più, il che comporterà un'ulteriore frustrazione. Ed ecco il circolo vizioso del malessere dell'èra contemporanea. Ma da questo punto di vista la crisi economica che ci sta sempre più attanagliando, forse, può rivelarsi paradossalmente molto utile.
Poi, un altro piccolo appunto: che il concetto vero di partecipazione sia un concetto da scartare, beh, questo mi vede assolutamente in disaccordo. Come cantava Gaber "libertà è partecipazione". Vale a dire che la conquista della libertà passa per un processo di partecipazione effettiva (che poi questa non sia praticabile in Stati composti da milioni di persone è un altro discorso).
Credo che per raggiungere l'obiettivo non si debba passare da (ulteriori) isterismi di massa, né da un insensato collettivo ("Due stupidi sono due stupidi. Diecimila stupidi sono una forza storica" diceva Leo Longanesi), né da violente prese di posizione (che per altro avrebbero probabilmente vita breve, dato che la realtà nella quale viviamo si chiama, ahimè, mondo globalizzato). D'altro canto però dissento anche da Massimo Fini quando afferma che paradossalmente e cinicamente, per far esplodere definitivamente questo sistema dovremmo spingere ancora di più sull'acceleratore. Ho la netta impressione che se portiamo questa follia alle sue estreme conseguenze, il rischio è di finire intrappolati in un qualcosa di orrendamente irreversibile (questione ambientale). Qui infatti concordo col nostro "zerista" quando afferma che, probabilmente, non rimane molto tempo e che dovremmo quindi cominciare noi a fare qualcosa. Diciamo che non condivido il metodo. La direzione del treno sul quale stiamo viaggiando potrà finalmente invertire la sua rotta soltanto se tutti noi sapremo parlare finalmente alla gente che ci circonda ogni giorno, esponendo loro attraverso, per esempio, l'antica arte della conversazione quello che sappiamo e pensiamo sul mondo e sul nostro stile di vita. A volte mi è capitato di farlo e vi assicuro che si tratta di un'esperienza che vale la pena vivere. La distanza che ci divide dalla gente comune non è poi così lontana. Utopia? Beh, forse; ma a questo punto vien da dire anche a me, come scrisse Jacopo Fo, "Vinceremo, ma solo se sarà gradevole!".