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Vittoria di Obama: cosa cambia per la Russia?

di Stefano Vernole* - 03/12/2008

 


La netta affermazione di Barack Obama alle elezioni presidenziali statunitensi viene da molti interpretata come la possibilità per gli Stati Uniti di aprire una nuova pagina nelle relazioni internazionali.
Se infatti le residue disponibilità finanziarie permetteranno al nuovo inquilino della Casa Bianca scarsa agibilità in politica interna, l’enorme peso geostrategico (circa 800 basi militari sparse nel mondo) e il temibile potenziale militare a disposizione, consentiranno ancora per alcuni anni agli Stati Uniti d’America di rimanere uno dei protagonisti della geopolitica globale.
Fra i temi più attesi, allora, si discute molto sulla posizione che Obama assumerà nei confronti della Russia, dopo la recente crisi caucasica e le successive dichiarazioni del Cremlino, secondo il quale “il tempo della ritirata è finito”.
Proprio nel momento in cui il candidato del Partito Democratico veniva acclamato quale vincitore, il Presidente russo, Dmitri Medvedev, confermava il prossimo dispiegamento di complessi missilistici “Iskander” nell’enclave di Kaliningrad, sul Mar Baltico, in risposta al progetto dello scudo spaziale statunitense e delle sue basi militari in Polonia e in Repubblica Ceca.
Oltre a questo, bisogna ricordare come da anni la NATO stia espandendosi sempre più verso Est e si prepari ad inglobare non solo Paesi balcanici come l’Albania, la Croazia e la Bosnia ma anche gli immediati vicini della Russia, Georgia ed Ucraina (con inevitabili conseguenze sulla flotta russa di base a Sebastopoli).
Da questo punto di vista non riteniamo ci saranno mutamenti sostanziali nel comportamento di Washington.
Durante la campagna elettorale, Obama si era limitato a generiche dichiarazioni riguardo ai futuri rapporti con Mosca: “Dobbiamo fornire sostegno morale alla Polonia, all’Estonia, alla Lituania e a tutte le nazioni dell’ex blocco sovietico. Ma dobbiamo anche fornire a questi Paesi un sostegno economico e finanziario per aiutarli a ricostruire le loro economie. Credo che la Russia non si stia comportando bene ma credo che per noi sia importante capire che non abbiamo a che fare con l’Unione Sovietica di un tempo ma con un Paese che ha ancora degli impulsi nazionalisti che, a mio parere, sono pericolosi”.
E’ un fatto estremamente significativo che uno dei principali consiglieri politici del nuovo inquilino della Casa Bianca sia Zbigniew Brezinski, “policy maker” di lunga data, ossessionato però dalla Russia e in particolare da una possibile alleanza tra Mosca e Berlino (oggi la Germania è il primo partner commerciale della Russia).
La costante marcia di espansione della NATO verso Oriente - sempre più a ridosso dei confini russi - insieme alla conseguente guerra di aggressione all’Afghanistan (nazione nella quale Obama intende rafforzare la presenza di truppe statunitensi) - con l’obiettivo di riempire il vuoto di potere in Asia Centrale provocato dal crollo dell’Unione Sovietica - rimarranno una costante della politica estera nordamericana.
Una delle possibili chiavi interpretative della vittoria di Obama risiede nella necessità degli Stati Uniti di recuperare quel “primato morale” che, per lungo tempo propagandato dai mezzi di comunicazione globali, ha permesso di attutire le cadute d’immagine provocate dal loro storico imperialismo.
Più che un candidato per il proprio Paese (“la rivincita dei neri, la preoccupazione per i poveri” ecc.), perciò, Obama appare come un Presidente scelto dalle principali lobby d’oltreoceano per convincere l’Europa della possibilità di rimediare insieme ai disastri economico-bellici provocati da otto anni di Amministrazione Bush.
Non solo, la schiacciante vittoria russa della scorsa estate nella guerra-lampo contro la Georgia aveva profondamente impressionato le classi dirigenti e la stessa opinione pubblica di un’Europa, che essendosi castrata militarmente per oltre 60 anni, rimane paradossalmente attratta dalle manifestazioni di forza (il famoso paragone del politologo statunitense Robert Kagan, “gli Europei vengono da Venere, gli Americani da Marte”, ci sembra oltremodo azzeccato, tanto da far pensare che l’Unione Europea rappresenti oggi una sorta di principio femminile alla disperata ricerca del suo opposto maschile …).

In conclusione, il fatto che l’Establishment nordamericano abbia puntato su Obama, sta a significare che gli Stati Uniti intendono impedire l’inevitabile rottura delle relazioni transatlantiche e la costruzione di quella sinergia Bruxelles-Mosca che, sola, potrebbe consentire la nascita di un’ Eurasia finalmente sovrana.

*Stefano Vernole, redattore di Eurasia. Rivista di studi geopolitici, è esperto di questioni balcaniche

Fonte: "
Nasha Gazeta" del 20 novembre 2008