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Senza Stalin Israele non esisterebbe

di Enrico Mentana - 04/12/2008

Il ruolo dell'urss nella creazione dello stato ebraico

A volte il lavoro di un giornalista, e perfino quello di un giornalista televisivo, riesce a colmare anche le lacune degli storici
Rimozioni. Fino al 1989 nessuno aveva interesse a ricordarlo, ma il dittatore fu cruciale per la nascita della nazione. Lo spiega il libro di un giornalista russo.

A volte il lavoro di un giornalista, e perfino quello di un giornalista televisivo, riesce a colmare anche le lacune degli storici. È il caso di questo libro e del ruolo decisivo giocato dall'Urss di Stalin nel parto dello Stato ebraico. Nel gioco delle parti che ha caratterizzato i due campi politici e strategici fino al collasso del regime sovietico, nessuno aveva più interesse a ricordarlo, né Washington, che si era sempre più legata ad Israele, né Mosca, diventata il punto di riferimento di gran parte dei paesi arabi.
Nella vulgata storica il "sì" sovietico al nuovo stato passava per una stranezza o un calcolo machiavellico, mentre solo vaga traccia c'era degli imbarazzi americani e dell'opposizione britannica, e nessun accenno agli interessi petroliferi che li avevano originati. Quando poi, a scoppio ritardato, ha cominciato ad affermarsi la coscienza dell'orrore dei campi di sterminio, la traccia di tutti i maneggi diplomatici si è come cancellata. La gran parte dei nostri contemporanei crede che Israele sia nata sulla scia dell'emozione per la scoperta dell'Olocausto: ma così non è stato. Né per l'Occidente, che stava riposizionando ex nemici ed ex alleati, né per il Cremlino, dove l'unico che decideva non era certo tipo da impressionarsi per gli stermini altrui. Il fatto che Auschwitz sia stato scoperto e liberato dai soldati a cavallo dell'Armata Rossa ci rimane ormai solo dalla testimonianza indelebile di Primo Levi. Nessuna propaganda lo ha mai più enfatizzato: una rimozione eloquente.
Questo libro di Leonid Mlecin - che è uno dei giornalisti di maggiore prestigio della televisione russa, conduttore di talk show e storico appassionato - riscrive una storia fattualmente inoppugnabile, ancor di più dopo l'apertura degli archivi sovietici, ma che evidentemente a troppi altri pesava rimettere insieme, citazione dopo citazione, pagina dopo pagina. Non ci fosse stata l'Urss di Stalin - proprio lui, Koba il Terribile - la nazione israeliana non sarebbe mai nata. È una semplificazione, certo: ma chi può metterla in discussione? I materiali che Mlecin cita nel suo libro confermano questo ruolo dell'Urss stalinista, e anche il progressivo allentamento del rapporto tra Tel Aviv e Mosca, avvelenato dalla questione degli ebrei russi e del loro diritto di "tornare" dove tutto cominciò.
Questo tema è l'alfa e l'omega della vicenda dei sionisti di Russia, e si è sempre intrecciato con la storia di quel paese, in misura decisiva per le sue sorti, e in coincidenza con tornanti importanti della vicenda europea. Nel 1881, l'anno in cui i rivoluzionari di Narodnaja Volja uccisero lo zar Alessandro II, in Palestina vivevano solo venticinquemila ebrei. Prima della fine del secolo erano già il doppio, con l'arrivo degli ebrei russi in fuga dai pogrom scatenati in tutta la «zona di residenza» come reazione popolare all'attentato, del quale peraltro gli ebrei non portavano alcuna responsabilità. È quello che viene considerato l'evento scatenante del sionismo organizzato, anche se dei quasi tre milioni di ebrei che lasciano l'Europa Orientale tra il 1881 e lo scoppio della Prima guerra mondiale, solo l'un per cento sceglie la Palestina: ma sarà una scelta fondativa. Molta parte dei pionieri che faranno la storia dello Stato ebraico (e che sono tra i protagonisti del racconto di Mlecin) sono figli di quest'esodo, la prima aliah di Eretz Israel.
Non sempre la storia ripete le sue tragedie in forma di farsa; ma certo ha la sua ironia. Così, oltre un secolo dopo, l'altra grande cesura della storia russa, il crollo dell'Unione Sovietica, ha aperto la strada all'ultima aliah, dalle proporzioni ben più cospicue rispetto a quella dei pionieri. La dissoluzione dell'impero comunista ha portato nell'arco di un decennio quasi un milione di russi di discendenza ebraica ad utilizzare la «legge del ritorno» per stabilirsi in Israele. Un terzo di loro non è ebreo. La nuova migrazione - inattesa e imprevedibile per portata e motivazioni - ha fatto di quella russa la principale comunità del paese, modificandone strutturalmente il profilo demografico della nazione. In mezzo a questi due esodi c'è la storia raccontata dal libro di Mlecin.