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Mar Nero, nuova sfida

di Franco Cardini - 04/12/2008

    

C’e ormai davvero poco da scherzare. Inutile attaccarsi ai luoghi comuni e gridare alla “nuova guerra fredda”. Che la storia si sia rimessa in moto eccome, e ormai innegabile: e se n’e accorto perfino quel Francis Fukuyama che qualche anno fa ci assicurava di esserne usciti (e qualcuno gli aveva creduto). Non toccare il can che giace, dice il proverbio. Figurarsi l’orso. S’illudeva chi, ai primi degli Anni Novanta dello scorso secolo, credeva-sperava di averlo ucciso per sempre, l’orso russo: e ne andava vendendo la pelle appunto prima di esser sicuro che fosse morto. La campagna a colpi di propaganda, di beni di consumo, di supermarkets, di “effetto Mac Donald’s” e – ohimè – di Chicago Boys, banda di criminali incompetenti teppisti travestiti da esperti in economia e finanza, pareva esser riuscita la dove avevano fallito le divisioni corazzate di Hitler.
Di conseguenza, abbiamo vissuto quasi un ventennio di regime mondiale caratterizzato da una mostruosa accelerazione degli aspetti deteriori (in politica internazionale, ma anche in economia e in finanza) della globalizzazione e dell’egemonia di una sola superpotenza: con gli esiti che ormai, dall’America latina all’Afghanistan alla stessa situazione interna statunitense, sono sotto gli occhi di tutti. Ma l’arroganza di chi ha gestito questo ventennio, e soprattutto degli sciagurati otto anni della presidenza Bush, forse il peggior leader che gli Stati Uniti abbiano mai avuto, ha prodotto i suoi frutti. Ed e davvero il caso di dire che chi semina vento raccoglie tempesta.
Tra i frutti avvelenati che stiamo raccogliendo, era ovvio che vi fosse anche questo: il risveglio e il riarmo della Russia, stanca di attacchi, di soprusi, di manovre d’accerchiamento nucleare, di provocazioni (basti pensare alla politica dell’allargamento della NATO verso l’est europeo, di cui l’Unione Europea e stata succube e corresponsabile). Ed ecco la situazione, in continuo preoccupante evolversi: al punto che viene da temere che il... presidente degli USA,... debba trovarsi da qui o poco ad affrontare, che Dio non voglia, un nuovo 1962. Il fatto e che il più recente bilancio statale russo registra un’impennata alla voce relativa alle spese militari; alla fine del settembre 2008 una squadra navale russa è salpata dal Mare del Nord verso il Venezuela, mentre si vanno preparando esercitazioni militari nel Mar dei Caraibi e Cuba, ferita e indignata per il fatto che nell’agosto-settembre scorso il suo appello alla sospensione per evidenti motivi umanitari dell’embargo finchè gli effetti degli uragani estivi non si fossero allontanati (un’ennesima bravata, questa, dell’ineffabile signora Rice), si va aprendo di nuovo alla collaborazione con la Russia come ormai da anni non faceva. Frattanto, l’Iran di Ahmedinejad si appresta a ricevere armamenti e sostegno da Mosca: e il “pericolo iraniano” finora chiamato artificiosamente in causa (come potesse essere una “minaccia nucleare” un paese che non ha ancora neppure il nucleare civile resta un mistero) rischia di diventar qualcosa di piu vicino alla sia pur ancor fortunatamente remota realta. Lo sappiamo tutti, il vecchio proverbio: a forza di gridar “Al lupo, al lupo!”...
Non e questa la sede per affrontare quello che pur rimane il nodo della questione. La Russia non ci sta più alle due tesi del diktat statunitense, che l’Europa sembra aver invece supinamente accettato: un mondo unipolare e il controllo planetario della superpotenza unica nel nome della cosiddetta “ingerenza umanitaria” (rivelatasi del resto ingerenza e basta). Mosca sta lavorando alla costruzione di uno “spazio egemonico russo” all’interno del quale non pare disposta ad accettare ingerenze di sorta: e per questo stringe i rapporti con i paesi della cosiddetta SCO (Shanghai Cooperation Organization) e disegna una mappa della sua area di controllo e di sicurezza che dall’area artica giunge all’Asia centrale e, in Europa, fin alla Moldavia; intanto, rifiuta il piano di cosiddetta “partnership strategica” con la NATO (quello, per intenderci, di Pratica di Mare), dal momento che esso si e tradotto in una politica di accerchiamento ai suoi danni; ed esige un nuovo trattato di sicurezza paneuropea. Si può onestamente darle torto?
Tale nuovo trattato appare in effetti tanto piu urgente visto un altro aspetto dell’irresponsabile arroganza della NATO e di chi la guida. Tra poco scadrà l’accordo russo-ucraino che regola la presenza della flotta militare russa nella base ucraina del porto di Sebastopoli in Crimea. I meno distratti fra noi (pochissimi) ricorderanno ch’esso era stato stabilito nel contesto del trattato d’amicizia e cooperazione russo-ucraino del 1997, che avrebbe dovuto durare fino al 2018. Ma allora i rapporti tra i due paesi erano ben diversi, e in particolare un’adesione dell’Ucraina alla NATO era impensabile. Dopo la “rivoluzione arancione” del 2004 le cose sono molto cambiate, per quanto ormai le forze che allora prevalsero appaiano ormai screditate e in crisi. La cosa è complicata dal fatto che in Crimea i russi sono circa il 50% della popolazione, cui va aggiunto un 20% tataro. A Sebastopoli, centro di circa 350.000 abitanti, i russi sono piu o meno 220.000 (vale a dire circa il 75%), cui vanno aggiunti piu meno 15.000 militari della base navale. Proviamo a immaginare i possibili effetti di un allargamento della NATO all’Ucraina su tutta la penisola di Crimea e in particolare su Sebastopoli. Dal momento che i tempi dell’idillio tra la Russia e la NATO appaiono almeno per ora irreversibilmente trascorsi e che una partnership navale tra i due e allo stato attuale improponibile, se le cose vanno avanti di questo passo c’è da attendersi davvero di tutto: compresa la secessione della Crimea dall’Ucraina.
Se l’Europa avesse una politica estera unitaria e indipendente, sarebbe forse il caso di accelerare i rapporti con l’Ucraina proponendole un ingresso nell’UE a patto che esso non sia accompagnato, com’è invece sciaguratamente accaduto per altri paesi dell’Europa orientale, da un’adesione alla NATO. Ma questi, nell’Europa invertebrata di oggi, sono sogni. Forse basterebbe comunque che le diplomazie europee facessero capire ai dirigenti di Kiev che, per noi e per loro, sarebbe molto utile che l’Ucraina facesse qualche passo per dimostrare a Mosca di non esser disposta a divenire cosi soggetta alla politica statunitense di quanto fino ad ora e sembrato sia avviata ad essere. Cio concorrerebbe a mantenere un qualche equilibrio in uno scacchiere che ormai sembra fondamentale all’interno del sistema strategico e geopolitico euromediterraneo. O è ormai troppo chiedere e sperare anche soltanto questo minimo di moderazione, di equilibrio, di prudenza?

 

da www.francocardini.net