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Le imprese transnazionali alimentano il conflitto nel Congo

di Bernardo Quagliotti de Bellis - 08/12/2008

 



Il vero nocciolo della guerra di questa seconda guerra del Congo è conseguenza della voracità manifestata dalle diverse multinazionali che vogliono accedere al controllo del coltan, minerale conosciuto anche con il nome di “oro grigio”. Il coltan è un minerale fondamentale per la costruzione e il mantenimento delle centrali nucleari, per la fabbricazione di proiettili e missili di lunga gettata e per lo sviluppo della telefonia cellulare. Si stima che l’80% delle riserve di questo minerale è presente nella Repubblica Democratica del Congo






Ormai nessuno può far più finta d’ignorare che la guerra che si svolge nella Repubblica Democratica del Congo ha come causa principale la depredazione dei metalli preziosi e delle risorse strategiche presenti in quel paese. E che come inesorabile conseguenza queste finanzino la propria guerra. Lo sfondo del conflitto è il saccheggio del minerale coltan da parte di poderose transnazionali e, come ha espresso il senatore Pere Sampol, questo motivo sovrasta il discorso della presentazione del conflitto come se fosse etnico o tribale.

Il nome di coltan deriva dall’abbreviazione di due minerali: columbite e tantalite, dai quali si estrae il tantalio e il niobio, i quali sono impiegati nelle industrie che si dedicano alla fabbricazione d’apparecchiature elettriche, centrali atomiche, missili, fibra ottica, elaborazione di condensatori e nella fabbricazione di telefoni cellulari, notebook e tantissimi altri dispositivi. Aziende transnazionali come Nokia e Sony rivaleggiano per l’acquisto di questo metallo – dichiarato strategico dagli Stati Uniti – e che attualmente ha un prezzo internazionale di 400 dollari il chilo.

La scalata dei prezzi del coltan è iniziata relativamente da poco tempo e ha avuto a che fare con l’impiego del tantalio per la fabbricazione di microchip di nuova generazione, per i videogiochi e come conseguenza che in Brasile, Australia e Tailandia sono iniziate a scarseggiare le riserve di questo minerale.

Le principali riserve di coltan si trovano nel sottosuolo delle province dell’Est del Congo, specialmente nella provincia di Kivi del Nord, nella regione dei Grandi Laghi, confinante con il Ruanda e l’Uganda, fedeli alleati degli Stati Uniti.

Il Congo si caratterizza per la straordinaria ricchezza del suo sottosuolo, la quale rappresenta la base principale dell'economia e la sua principale fonte d’ingressi. I diversi governi che si sono succeduti nel Congo, più che migliorare e aumentare la produzione del settore primario, hanno orientato i loro sforzi verso l’aspetto finanziario delle attività minerarie. Ciò li ha indotti a doverlo sottrarre dal controllo delle società europee, in primo luogo dalla “Nion Minière du Aut Kananga”, fondata nel 1906 e che era diventata uno “Stato all’interno dello Stato”.

Se il Congo appariva come il sesto produttore di rame nel mondo, attualmente il coltan è diventato il suo grande problema giacché, nuovamente, le grandi aziende europee e nordamericane pretendono il controllo delle risorse di quel paese.

Ma la situazione si aggravò quando la strategia internazionale della Cina cominciò a finanziare e a firmare contratti commerciali e d’aiuto tecnologico con i paesi africani. Lo scorso 19 novembre il “Foro Internazionale per la Verità e la Giustizia nell’Africa dei Grandi Laghi”, rese noto nella riunione di Madrid che le milizie del generale ribelle congolese Laurent Nikunda, “agendo da gendarmi dei grandi interessi internazionali, si oppongono all’entrata della Cina nella Repubblica Democratica del Congo per sfruttare le risorse minerarie nell’Est di quel paese”, precisamente quando il governo di Kinshasa, dopo aver firmato un contratto di finanziamento per 9.000 milioni di dollari con il governo di Pechino, a sua volta aveva tentato di stabilire accordi commerciali con la Cina affinché questa sfruttasse il rame e il coltan presente nel suo territorio.

FINANZIANDO IL CONFLITTO CONGOLESE

Un polemico rapporto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha segnalato che lo sfruttamento delle risorse naturali nel Congo – dando la precedenza al coltan – è la causa dell’attuale conflitto in quella regione, aggravato dall’azione dei paesi vicini (Ruanda e Burundi) i quali sono profondamente coinvolti nel contrabbando di questo pregiato minerale, usando i profitti che esso produce per continuare a finanziare la propria guerra.

Secondo quanto riferito in un rapporto elaborato da esperti delle Nazioni Unite, “l’Esercito Patriottico Ruandese ha creato una struttura ad hoc per supervisionare l’attività mineraria nel Congo e facilitare i contatti con le transnazionali occidentali. Si sono create alcune imprese miste tra i negozianti europei del coltan e membri della cerchia più vicina al presidente ruandese”.

La compagnia Somigi (Società Mineraria dei Grandi Laghi), un’azienda mista formata da tre società: Africom (belga), Prometo (ruandese) e Cogecom (sudafricana) detiene il monopolio nel settore dello sfruttamento dei minerali strategici. Secondo dichiarazioni rilasciate dal presidente del movimento ribelle “Raggruppamento Congolese per la Democrazia” (RCD), Adolphe Onusumba, “prima con la vendita dei diamanti si guadagnava intorno ai 200.000 dollari il mese. Con il coltan giungiamo a guadagnare più di un milione di dollari il mese”.

L’esercito ruandese trasporta il minerale alla capitale del Ruanda (Kigali) e, successivamente, verso gli impianti di Somirwa, prima di esportarlo verso gli Stati Uniti, Germania, Olanda, Belgio e, da quest’ultimo paese, verso il Kazakistan. Il marchio H. C. Starck – filiale della Bayer -, l’uomo d’affari svizzero, Chris Huber, e la fabbrica di trasformazione Ulba del Kazakistan, giocano un ruolo fondamentale in tutta questa complicità internazionale.

PRECEDENTI

Il coltan, fin dalla sua prima fase, per il solo fatto di apparire sotto forma di sabbia, è stato il vero obiettivo della seconda guerra del Congo, nella quale sono morti circa quattro milioni di persone per fame, esecuzioni o a colpi di machete. Questa guerra che verosimilmente è finita nel 2003, ha avuto come protagonisti ben nove nazioni, oltre che venti gruppi tribali diversi che hanno manifestato una lealtà illimitata. Tutti lottavano per motivi etnici e politici. Tra quelle nazioni si trovava il Ruanda e tutte le nazioni africane che erano considerate tra le più povere del pianeta.

Laddove il coltan si estrae in condizioni che consentono alla manodopera di ricevere una paga degna, come in Australia, Brasile e Tailandia, al prodotto estratto vengono applicate le imposte e le tasse, il che, alla fine, grava sul prezzo dell’estrazione del minerale. Nel Congo, invece, è più semplice, poiché s’infrangono tutte le regole del diritto umano. Secondo i dati dell’ONU, tra il 1998 e il 2002, da quella repubblica sono state estratte approssimativamente 3,9 milioni di chili di coltan, i quali sono stati impiegati nel mondo industriale per un valore di 793 milioni di dollari, senza che la repubblica del Congo percepisse nemmeno un modesto diritto di “canone”.

Nel conflitto odierno, le truppe d’osservazione delle Nazioni Unite (MONUC [1]) , restano a “osservare”, come hanno denunciato alcune ONG per i fatti di Kiwanja, le centinaia di civili che si ammazzano ogni giorno. La popolazione teme che si ripetano gli avvenimenti accaduti nel periodo 1998-2003, in cui morirono circa 4 milioni di angolani. Risulta essere davvero sorprendente osservare che in quegli anni in cui le truppe del Ruanda, dell’Uganda e del Burundi, invasero selvaggiamente il Congo, tuttora adesso continuino ad essere ignorate dai mezzi di comunicazione.

DOMANDE SENZA RISPOSTA

Perché in questi giorni le popolazioni delle città di Goma e Bakuvu – capitali di Kivi Nord e Kivi Sud – chiedono che spariscano tutti i caschi blu dal territorio congolese?
Perché il tenente spagnolo Díaz de Villegas, nominato il settembre scorso comandante della MONUC, ha recentemente rinunciato dal suo incarico?
Sono veridiche le testimonianze rilasciate da persone che raccontano di aver visto i caschi blu in operazioni di trasferimento delle truppe ribelli che sono al comando di Nikunda? Se le truppe di questo generale vincessero nei combattimenti, quelle dell'ONU (MONUC) abbandoneranno il posto? Questp atteggiamento potrà apparire antitetico quando l'esercito congolese si troverà nella situazione di vincere e le suddette truppe s'interporranno tra i combattenti.

OBIETTIVO: DIVIDERE IL CONGO?

Per voler argomentare questa domanda l'esercito ruandese uccise, il 26 ottobre 1996, a Monsignor Christope Munzihirwa, arcivescovo di Bukavu. In tempi più recenti, il vescovo congolese di Kamina – Monsignor Jean-Anatole Kalala Kaseba – durante un incontro a Madrid con il Comitato di solidarietà con l'Africa nera, affermò: “Crediamo che coloro che hanno creato questa situazione possano porre fine, particolarmente gli americani. L'ONU è lì, inclusive nella mia diocesi. Sono degli osservatori, ma cosa significa essere un osservatore? Hanno un progamma che non ci vogliono dire. Ci avevano assicurato che erano venuti per frapporsi tra i belligeranti, ma invece vengono a confermare la spartizione del paese. Noi avremmo preferito che si trattenessero in tutte le città, ma accade che non sono presenti né in Uganda né in Ruanda”.

I rapporti tra il Ruanda e il Congo sono tesi sin dal genocidio ruandese del 1994, che secondo l'ONU produsse un milione di morti. È auspicabile che il summit “dedicato ai combattimenti” e svoltosi la settimana scorsa a Nairobi con i presidenti della Repubblica del Congo e di Ruanda, sotto l'egida del segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, possa risolvere questa grave crisi che la comunità internazionale non ha saputo risolvere e che le trasnazionali hanno approfittato eccellentemente.
In apparenza il MONUC (truppe dell'ONU) non ha il compito di proteggere i civili d’entrambe le parti, ma quello di proteggere le regole del gioco geopolitico che le imprese transnazionali stanno sviluppando in quest'area dell'Africa nera.

(trad. dallo spagnolo di V. Paglione)


1. MONUC, Missione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo (N.d.T.)

Fonte:
http://www.laondadigital.com/LaOnda/LaOnda/418/B2.htm