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Gaza: operazione “piombo fuso”. L'orrore arriva dal cielo

di Giovanni Gnazzi - 29/12/2008

 

Operazione “piombo fuso”. Così, con un nome niente affatto scelto a caso, Israele ha gettato nel sangue Gaza. Sono già duecentoventisette i morti, centinaia i feriti e decine e decine le case distrutte, le strade divelte dai razzi partiti dagli elicotteri israeliani e il bilancio, purtroppo, é destinato a crescere. Il pretesto, anche quello, è il solito: i razzi Qassam che l’idiozia di Hamas invia più per dare concreta quanto macabra testimonianza della sua esistenza che per tentare di piegare Israele e costringerla a fantomatici negoziati. Errore. Tel Aviv non ha nessuna intenzione, a nessuna condizione, di negoziare alcunché: né il ritiro dai Territori occupati, né la fine degli insediamenti dei coloni, né il rientro della diaspora palestinese, né l’esistenza di due stati. Israele, semplicemente, vuole che la realtà resti quella che è: immutabile. Semmai, coglie ogni occasione per impedire che il negoziato nasca. E dunque, al rituale dei Qassam, si oppone quello, molto più sanguinoso, dei raid aerei. Non è stata la prima volta, non sarà l’ultima.

Tel Aviv ha ormai nella rappresaglia la modalità principale della sua contrapposizione ai palestinesi. La scusa, questa volta, è appunto quella dell’annuncio da parte di Hamas della fine della tregua fino ad ora osservata e dei razzi lanciati verso gli insediamenti dei coloni. Israele non aspettava altro per dispiegare un’operazione militare a base di terrore, bombardando dall’alto e a più ondate la popolazione inerme.

Raccontano ora, i cantori della propaganda occidentale, che l’obiettivo della rappresaglia israeliana era Hamas e non la popolazione palestinese; ma le decine di donne e bambini che in queste ore si tenta di trasferire in Egitto, dove hanno sede le uniche strutture ospedaliere in grado di far fronte alla catastrofe umanitaria, raccontano invece un'altra storia. Quella dell’ennesimo episodio di pulizia etnica che il governo israeliano attua da decenni nei confronti dei palestinesi. Siano essi governati dall’Olp o da Hamas, non c’è differenza: bombe su bombe, embargo su embargo. Un milione e mezzo di palestinesi, ancora una volta, diventano la carne da macello per la sopravvivenza dello stato d’Israele e per il mantenimento del suo complesso militar-industriale.

La "democrazia" israeliana conferma il suo sistema valoriale che fa da sfondo alla sua esistenza: quello che prevede di dominare a ferro e fuoco tutti coloro che ne mettono in discussione l'inviolabilità e l'invincibilità, entrambe ormai categorie presunte. In effetti, a ben vedere, a Israele non risulta l’esistenza di palestinesi innocenti; nelle case o ai posti di blocco, nelle strade o negli ospedali; con bombe lanciate dagli aerei o dai cannoni, con attentati e raid, la fantasia degli Stranamore israeliani non conosce limiti. La politica è chiara: ucciderne quanti più possibile, diffondere terrore e paura, imporre alla comunità internazionale una ritualità di morte che renda ogni strage parte del racconto infinito dell’occupazione israeliana, come il ripetersi stanco di una lotta impari e di un destino ineluttabile, così da far ritenere come inutile ogni possibile intervento.

Dure le prese di posizione del mondo arabo e nette quelle dell’Europa, in particolare per bocca del Presidente francese Sarkozy e persino di Berlusconi, che chiedono a Israele di fermarsi immediatamente. Il Segretario generale dell’ONU ha chiesto l’immediata cessazione dei raid con la stella di David, ma il governo di Tel Aviv non pare disposto all’ascolto. Del resto, il suo principale sponsor, Washington, si è distinta ancora una volta per il sostegno diretto, a tutto campo, ai crimini peggiori ideati e realizzati dallo stato ebraico in terra di Palestina. L’ormai ex-presidente George Bush, consultatosi con l’ormai ex-segretario di Stato Condoleeza Rice, ha fatto spallucce all’ennesima tragedia consumatasi sulla pelle dei palestinesi.

Ma la durezza delle prese di posizioni risulta, nello stanco ripetersi della ritualità, l’emblema più evidente di una sostanziale indifferenza dell’Occidente, che celebra l’ennesima ipocrisia della sua politica: quella dell’indignazione a mezzo comunicato stampa cui segue l’ignavia più totale. Nessuna misura, tanto meno ritorsiva, contro Israele, che può continuare ad essere, nello stesso tempo, il primo violatore del diritto e anche l’unico che la comunità internazionale continua a lasciar libero di non subirne le conseguenze.