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Palestina: e adesso?

di Eugenio Roscini Vitali - 29/12/2008

 

In Israele i falchi hanno vinto e ancora una volta la tenuta politica e morale di un’offensiva su Gaza è diventata semplice retorica. Attesa da giorni, la reazione di Gerusalemme alle dichiarazioni di Hamas che si è rifiutato di rinnovare un cessate il fuoco iniquo è arrivata, implacabile e come sempre pesantissima. Nell’arco di pochi minuti gli aerei con la stella di David hanno colpiti il porto e le caserme dei miliziani del movimento islamico che governa la Striscia di Gaza; tra le macerie centinaia di morti e feriti. Una rappresaglia dagli effetti devastanti, sproporzionata rispetto alla minaccia ma al tempo stesso annunciata dagli stessi leader israeliani, che si sono trovati concordi nel rispondere al “no” di Hamas sul rinnovo della tregua informale stabilita il 19 giugno scorso.

Il rifiuto del movimento islamico palestinese a trattare con chi continua a tenere sotto assedio un milione e mezzo di persone è stato evidentemente più pungente degli oltre 300 razzi Qassam lanciati negli ultimi due mesi sul Neveg occidentale dalle Brigate Al-Quds, e più precisamente dal 4 novembre scorso, da quando sei militanti palestinesi erano rimasti uccisi durante uno scontro a fuoco con le Forze di Difesa Israeliane intervenute per distruggere un tunnel scavato sotto il confine.

Il raid israeliano è stato condotto con elicotteri e caccia F16; da nord a sud della Striscia sono più di 30 gli obiettivi colpiti alle 11.30 del 27 dicembre; una pioggia di fuoco che ha distrutto gran parte dei centri di sicurezza di Hamas: comandi, basi di addestramento e arsenali bellici individuati nei mesi scorsi dai servizi segreti israeliani. Gli arsenali e installazioni colpite erano in gran parte situate in aree densamente abitate e tra le vittime ci potrebbero essere numerosi civili. Tra i target il commissariato di Elgewzet, intorno al quale sorgono almeno tre scuole e altrettante facoltà universitarie. Il bilancio provvisorio è di circa 300 morti e 290 feriti,120 dei quali in condizioni gravissime. Gli ospedali della Striscia di Gaza sono ormai al collasso e c’è urgente bisogno di elicotteri per trasportare i feriti più gravi in Egitto.

In relazione alla rappresaglia, il premier Olmert ha dichiarato che Israele ha fatto tutto il possibile per mantenere la tregua e che nessuno Stato accetterebbe mai che la vita dei propri cittadini sia messa in pericolo. Il presidente israeliano, Shimon Peres, ha detto che lo Stato ebraico non ha comunque intenzione di procedere ad un’invasione via terra. In un’intervista pubblicata dal quotidiano in lingua araba al-Sharq al-Awsat, Peres ha precisato che verranno prese tutte le misure necessarie affinché venga fermare il lancio di razzi su Israele, ma che l’esercito della Stella di David non entrerà nella Striscia: “Non ce ne siamo andati da Gaza per tornarci”.

Parole meno confortanti dal ministro della Difesa, Ehud Barak, che fino a qualche giorno fa sembrava più propenso al dialogo ed ora tiene a precisare che l’offensiva non sarà né facile né breve e proseguirà per tutto il tempo necessario: “C’e un tempo per la calma (termine che in arabo viene tradotto come tregua) e un tempo per combattere: ora è il momento di combattere”. Della stessa opinione il ministro degli Esteri e candidato premier Tzipi Livni, che in vista delle elezioni anticipate si è messa a caccia dei voti dei partiti sionisti e dei conservatori di Kadima e ha spiegato l’attacco con la necessità di Israele di difendere il suo territorio dagli attacchi palestinesi.

Le condanne e gli appelli dalla comunità internazione comunque non mancano: l’alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, Javier Solana, ha invocato il rinnovo della tregua, così come il presidente della repubblica francese, Nicolas Sarkozy, che ha espresso la sua più viva preoccupazione per l’escalation della violenza. La Russia ha chiesto a Israele di fermare la massiccia offensiva su Gaza e ad Hamas di interrompere definitivamente il lanci di razzi; gli Stati Uniti hanno definito l’azione palestinese contro il territorio israeliano la causa scatenante dell’attacco e hanno invitato Gerusalemme ad evitare che i raid provochino perdite civili. Al contrario, Teheran ha condannato gli attacchi israeliani ed ha esortato la comunità internazionale a prendere immediati provvedimenti.

Veemente la reazione dei media arabi che accusano Israele di non aprire i valichi di Gaza per prestare soccorso alle vittime palestinesi. L’Egitto ha condannato l’offensiva israeliana e la Lega Araba ha chiesto alla Libia, membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di convocare una riunione urgente dell’organo esecutivo del Palazzo di vetro. La tensione è alta e l’aria che si respira ricorda quella degli anni settanta, delle guerre arabo-israeliane: per costringere i governi a fare pressione su Israele affinché venga posta fine alla carneficina in atto, c’è chi chiede di bloccare l’esportazione del petrolio verso occidente e chi, come il presidente dell’OLP, Faruk Kaddoumi, si rivolge alla Russia perchè interrompa l’esportazione del gas all’Unione Europea. C’è chi reclama l’intervento dei governi arabi contro l’aggressione israeliana e chi evoca una terza Intifada, definendo sia l’Autorità nazionale palestinese che Abu Mazen, che ha comunque parlato di “vigliacca aggressione”, “un traditore della patria”. La Conferenza Islamica classifica l’azione israeliana come un crimine di guerra, mentre i capi del movimento dei Fratelli Musulmani dell’Egitto e della Giordania chiedono al mondo arabo di soccorrere i fratelli palestinesi e di puntare i fucili contro l’odioso nemico sionista.

Il leader di Hamas in esilio, Khaled Meshaal, ha invitato i palestinesi alla lotta contro Israele e ha promesso che la guerra a Gaza sarà come la Seconda guerra del Libano combattuta nel 2006. Moussa Abu Marzouk, vice di Meshaal e responsabile dell’ufficio politico di Hamas a Damasco, ha fatto sapere che il movimento islamico reagirà con ogni mezzo: “Tutte le opzioni sono sul tavolo, compresi i kamikaze”. Una minaccia da non sottovalutare, visto che all’interno della solo Striscia il numero di miliziani pronti a combattere e ha sacrificarsi per la causa palestinese sono circa 20 mila e che l’arsenale dell’ala armata del movimento può contare su oltre mille razzi, alcuni dei quali, i Grad, hanno una gittata di 40 chilometri. Dal Libano potrebbero poi arrivare le versioni modificate dei micidiali Katiusha utilizzati da Hezbollah, gli stessi che nel conflitto del 2006 tempestarono il nord di Israele e causarono decine di vittime tra la popolazione civile.

Si pensa che il movimento sciita abbia a disposizione circa 40 mila razzi, alcuni dei quali potrebbero raggiungere obbiettivi ad oltre 150 chilometri di distanza; nel raggio di 30 chilometri dalla frontiera, una distanza che rappresenta la gittata dei Qassam sparati di solito, vivono circa 350 mila israeliani. Intanto, subito dopo la fine del raid aereo, dalla Striscia le Brigate Al-Quds hanno iniziato un fitto lancio missili: nel sud di Israele quattro persone sono rimaste ferite e nella località di confine di Netivot è stata addirittura uccisa una donna. C’è da credere, purtroppo, che sia solo l’inizio.