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Un quadro al giorno: «Annunciazione» di Andrea Previtali (1505 circa)

di Francesco Lamendola - 05/01/2009


 

Nel Santuario di Santa Maria del Meschio, a Vittorio Veneto, si custodisce - sull'altar maggiore - una pala rinascimentale che è un autentico capolavoro, benché sconosciuto ai più, così come sconosciuto, o quasi, ne è l'autore: l'«Annunciazione» di Andrea Previtali (1505 ca.).
Andrea Previtali, detto il Cordegliaghi o Cordeliaghi, nasce a Berbenno, in territorio bergamasco (allora parte della Repubblica di Venezia), e precisamente nella Valle Imagna, fra il 1470 e il 1480 e muore a Bergamo nel 1528.
Da giovane, a Venezia - uno dei massimi centri dell'arte mondiale dell'epoca, ove lo conduce il suo precoce ingegno -  è allievo del grande Giovanni Bellini e riceve dal maestro veneziano l'impronta inconfondibile della sua arte, alla quale rimarrà sostanzialmente fedele per tutta la vita, pur subendo anche l'influsso di numerosi altri artisti, in particolare di Lorenzo Lotto.
Fin dalla sua prima opera datata e firmata, la «Madonna col Bambino e donatore» del Museo Civico di Padova (del 1502), mostra in maniera esplicita il suo debito col Giambellino e con alcuni pittori belliniani come il Cima da Conegliano (del quale ci siamo già occupati, nella serie «Un quadro al giorno», a proposito della «Madonna in trono con Angeli e Santi» nel Duomo di Conegliano, del 1492), oltre che con l'arte leggiadra e sognante di Vittore Carpaccio.

Scrive lo storico dell'arte Camillo Semenzato (ne «Le Muse. Enciclopedia di tutte le arti», Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1967, vol. IX, p. 353-54):

«Chiarissima derivazione belliniana presenta anche lo "Sposalizio di Santa Caterina", nella sacrestia di S. Giobbe a Venezia, e l'opera di identico soggetto alla National Gallery del 1504.
In altri dipinti del 1506 i contatti col Bellini sono sempre prevalenti anche se affiorano elementi ricavati da altri pittori operosi a Venezia, come Antonello e il Carpaccio; successivamente lo attrassero profondamente Giorgione e Boccaccino. La "Madonna col Bambino e due Angeli" della "National Gallery" di Londra rivela infatti i contatti col Boccaccino, conosciuto a Venezia. Non a questo momento potrebbe appartenere invece un ciclo di affreschi nella Scuola dei Battuti a Conegliano, la cui attribuzione è stata proposta di recente. Nell'ultimo tempo del soggiorno veneziano il pittore risentì anche della presenza di Palma il Vecchio, come già si nota nella "Madonna con Bimbo fra S. Agostino e Sant'Anna" all'Accademia Carrara di Bergamo; ella fine di questo periodo è l'"Annunciazione" nel santuario di S. Maria di Meschio a Vittorio Veneto. Intorno al 1511 il pittore ritornò a Bergamo ed al momento iniziale del suo nuovo soggiorno possono appartenere una "Madonna con Bimbo, Santo e donatore" della Raccolta Moroni di Bergamo, gli affreschi ora a Palazzo Suardi con le "Arti meccaniche e liberali" e la pala con "S. Giovanni Battista e quattro Santi" della chiesa di S. Spirito, firmata e datata 1515.
Dal 1515 al 1525 la produzione del Previtali subì il fascino di Lorenzo Lotto con il quale i contatti sembrano talvolta molto stretti, anche se non si perdono i segni della sua prima produzione veneziana. Del 1518 è l'affresco con la "Madonna adorata dai Magi tra molti Santi", nel santuario della Madonna dei Campi di Stezzano presso Bergamo, e di qualche anno posteriore può essere la "Sacrea Conversazione Casotti" dell'Accademia Carrara, interessante per il realismo dei ritratti.. Appartengono a questo ultimo periodo anche la "deposizione" della chiesa di S. Andrea a Bergamo, il "S. Benedetto in trono" nella cattedrale di Bergamo del 1524. L'ultima opera datata è il polittico con la "Madonna col Figlio e Santi", del 1525, nella chiesa di S. Spirito, che però venne terminata nella parte superiore da un altro pittore.
Il Previtali non fu un caposcuola, un artista in grado di imporre un proprio linguaggio autonomo: la sua arte infatti si sviluppò nella scia di altri pittori, ciononostante la sua produzione non mancò di qualità e gli accordi entro cui venne elaborata gli permisero di raggiungere spesso una pienezza espressiva, ora nella gentilezza della composizione, ora nel divagare dei paesaggi, ora nel realismo sincero e quasi paesano di certi particolari.»

Ci sembra utile, per arricchire il quadro, riportare anche quanto scritto sul Previtali da Nolfo di Carpegna, già soprintendente alle Gallerie di Palazzo Venezia in Roma (in «Enciclopedia Cattolica», 1952, vol. IX, col. 1.995):

«In numerose opere si firma "discepolo di Giovanni Bellini" ma il suo temperamento di facile e rapido assimilatore lo ha fatto accostare di volta in volta a diversi altri artisti: nel periodo giovanile, il più felice, al Cima e al Carpaccio, dai quali prende una nettezza di impianto plastico ed una freschezza e luminosità di colore che sono fra i pregi maggiori delle sue opere. Appartengono a questi anni una "Madonna con donatore" del 1502 (Museo civico di Padova), una "Sacra conversazione" a Berlino, un "Matrimonio di S. Caterina" alla "National Gallery" di Londra (altra molto affine in S. Giobbe a Venezia) e la bellissima "Annunciazione" del Santuario del Meschio (Vittorio Veneto) il cui luminoso paesaggio convalida l'attribuzione fatta al Previtali delle scenette pastorali della "National Gallery", già credute del Giorgione. Dal 1510 alla morte il Previtali è a Bergamo, ove subisce in maniera molto sensibile l'influenza del Lotto, stabilitosi in quella città poco dopo di lui. Sono di questo periodo: "Il Battista e altri Santi" della Chiesa di S. Spirito (1515), ancora affine ai belliniani, tipo Catena e Basaiti, la "Madonna con la Famiglia Casotti" dell'Accademia Carrara, decisamente lottesca, ricca di colore ma con una spiacevole ampollosità di forme che si ritroverà, aumentata, in opere posteriori: la "Crocifissione" del 1523, in S. Alessandro della Croce, il "S. Benedetto e santi" della Cattedrale (1521). Altre opere: un giovanile: "S. Sebastiano" ad Aix (Longhi), la "Trinità" di Alzano Maggiore (1517), ecc.»

Ma veniamo alla magnifica «Annunciazione» di Vittorio Veneto, una pala che misura 261 cm. di  altezza per 165 di larghezza e che si trova sull'altare maggiore della chiesa di Santa Maria Ausiliatrice del Meschio (il Meschio è il fiume che passa per la città e che dà il suo nome al quartiere che sorge intorno a tale edificio sacro).
Come si è visto, essa appartiene alla prima parte dell'itinerario artistico del Previtali e mostra più evidente l'influsso del suo maestro veneziano, Giovanni Bellini; e, non a torto, è da molti ritenuta il suo capolavoro.
Tale si presenta, in effetti, sia per l'estrema gentilezza ed eleganza della composizione, sia per il realismo sincero suggerito da certi particolari iconografici, quali la stupenda vista "en plen air" che trabocca quasi dalla grande bifora posta al centro della composizione .
L'Angelo Gabriele è sulla destra, si inginocchia nell'atto di pronunciare la famosa frase: «Ave, o Maria, il Signore è con te!» (Vangelo di Luca, 1, 29). Nella destra tiene un giglio dal lunghissimo stelo; la sinistra è raccolta sul petto, in atto di rispetto e devozione; le ali, non troppo grandi, nulla aggiungono all'estrema leggiadria della sua figura biancovestita, con il serico panneggio che offre all'artista l'occasione di realizzare un autentico sfoggio di bravura per la felice sintesi di corposità realistica e di aerea leggerezza.
Di fronte a lui, sulla sinistra della composizione, la Vergine è inginocchiata davanti al leggio e, mentre l'Angelo è rappresentato di profilo (anzi, quasi di tre quarti), ella è raffigurata frontalmente, di modo che il suo viso dall'espressione  misticamente rapita è interamente rivolto all'osservatore. È inginocchiata su una pedana, per cui la lunga e corposa veste scivola a terra da un'altezza maggiore  e si ripiega in eleganti volute.
A parte la diversa angolatura, la figura della Vergine è una replica di quella dell'Angelo: anch'ella porta la sinistra al petto con le dita aperte (mentre la destra è invisibile perché nascosta dal leggio), anch'ella inclina soavemente l'ovale del viso: ma, mentre l'Angelo lo piega in avanti, ella lo piega di lato, nella direzione di lui, sicché si realizza una perfetta simmetria dei loro contorni.
La stanza in cui si svolge la scena è di una eleganza ricercata e, al tempo stesso, linda e misurata, senza alcun eccesso o sbavatura: ricorda il miglior Carpaccio, ad esempio il celebre «Sogno di Sant'Orsola».
Al centro, in basso e in primissimo piano, tre gradini che servono a conferire profondità alla scena; in secondo piano, le due figure dell'Angelo e di Maria Vergine; il piano di fondo è dato, come già accennato, dalla bifora aperta che allunga la prospettiva e ravviva l'atmosfera impeccabile, ma un tantino fredda, dell'interno, con un arioso giardino verdeggiante, che si staglia contro un cielo d'un azzurro dolcissimo, proprio al centro della pala.
Tutto, in quest'opera, parla un linguaggio sobrio e realistico e, al tempo stesso, raffinatamente idealizzato, quasi sognante:  dal lindo pavimento marmoreo su cui si staglia l'ombra dell'Angelo Gabriele (un corpo vero e proprio, dunque, non un essere di luce), al tappeto riccamente decorato sotto la finestra, alle vetrate  istoriate da cerchi in ferro battuto nella parte superiore della bifora, al sontuoso soffitto in penombra. Ma, più di ogni altra cosa, il mirabile effetto d'insieme è concretato mediante la morbidezza della pennellata, la luce diffusa che sembra bagnare le superfici dai colori smaglianti - il bianco della veste dell'Angelo, il rosso e il blu della veste e della sopravveste di Maria, l'azzurro terso e sfumato del cielo incorniciati dal verde degli alberi -, l'incomparabile nitore della scena e la grazia fresca, armoniosa e misuratissima che promana dal muto colloquio fra l'inviato celeste e l'Ancella del Signore.

Se è vero - come è stato detto - che Andrea Previtali non ebbe un ingegno originale né la forza di imporre una sua maniera, ma fu soprattutto un sensibile e dotatissimo assimilatore dell'arte altrui - dal Bellini, al Capaccio, al Lotto - è pur vero che, nelle sue opere migliori, e in particolare in questa luminosa e trepidante «Annunciazione», tutta pervasa dal senso del mistero e, perciò, opera autenticamente religiosa (e non religiosa solo nel titolo e nel soggetto, come altre opere di artisti rinascimentali), egli raggiunge una rara perfezione stilistica e definisce un proprio mondo poetico con la sicurezza e la scioltezza del tratto pittorico, con la felice e calibrata intuizione dello spazio compositivo, con la trasparenza psicologica dei personaggi, tutti immersi nell'incanto di una ineffabile realtà trascendente.
L'«Annunciazione» del Previtali è stata a lungo uno dei gioielli della cittadina di Ceneda, sede di un antichissimo vescovado (Vittorio Veneto è la creazione recente, precisamente del 1866, di un piano urbanistico che ha collegato, mediante un viale fiancheggiato da costruzioni moderne, due borghi nettamente distinti: Ceneda, ai piedi delle colline, e Serravalle, intorno alla stretta valle rocciosa che immette verso la vallata bellunese e il Cadore, la quale fu sede di un "castrum" romano fino dal I secolo avanti Cristo).
Si dice che quando Tiziano Vecellio, nei suoi viaggi tra Venezia, ove teneva bottega, e la natia Pieve di Cadore, passava per Ceneda, non mancava mai di fare una sosta nel quartiere del Meschio,  per entrare nella chiesa di S. Maria e trattenersi ad ammirare la pala del Previtali - che egli, tuttavia, erroneamente attribuiva a Giovanni Bellini, tratto forse in inganno dall'eccezionale maturità artistica che da essa traspare.
Fino a qualche anno fa quest'opera veniva datata, tradizionalmente, al 1514; oggi questa datazione appare poco verosimile, anche perché il rientro del Previtali a Bergamo si colloca nel 1511-12 e, da quella data, l'influsso di Lorenzo Lotto tende a sovrapporsi - o, se si preferisce, a fondersi - con quello del Giambellino. Per tale ragione, e anche per una serie di raffronti con le opere del primo periodo, di cui possediamo una sicura datazione, è più probabile che l'anno di esecuzione della «Annunciazione» di Ceneda sia da porsi verso il 1505.
Il viaggiatore che si trovi a transitare per Vittorio Veneto è, dunque, avvisato: passare oltre, senza rendere omaggio a questo capolavoro del nostro migliore Rinascimento, sarebbe una omissione della quale, un giorno, non potrà che pentirsi.