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Tempo, eternità e americanismo

di Lorenzo Chialastri - 21/02/2006

Fonte: Rinascita

 



Con il termine Impero possiamo indicare il grande sistema di potere che ha catturato il nostro ‘momento storico’.
La potenza dell’Impero può considerarsi direttamente proporzionale al ‘prisma del capitalismo’ secondo un fattore costante ‘A’. Dove per ‘prisma del capitalismo’ avevamo inteso quel corpo costituito da più facce, quella del capitalismo, quella del consumismo, quella della globalizzazione, dell’egoismo, della povertà, con base il denaro e per coperchio il liberismo. Le facce del prisma, oltre a non esser viste contemporaneamente, hanno ciascuna, sfaccettature multiple e suddivisioni proprie, sono relazionate tra loro da implicazioni funzionali e giustificazioni propagandistiche. Tutte però sono ammantate dallo stesso credo democratico.
“Siamo favorevoli alla democrazia presso tutti i popoli perché è il quadro politico del capitalismo”.
Il fattore ‘A’ sta invece per americanismo, nell’americanismo s’individua una predisposizione culturale asservita al modello americano non più limitata ad un’estensione geografica.
Come ci ricorda Gambescia: fino al 1880 la maggior parte delle famiglie nord americane provvedeva in proprio sia per il vestire che per il mangiare, in giro di trenta anni la maggior parte delle stesse famiglie compravano dall’industria tutto il necessario. Quindi l’industria capitalista crebbe vertiginosamente, ma per mantenere il passo era necessario mantenere lo stesso livello di produzione e di consumo.
La democrazia americana si fece da supporto ideologico e politico alle necessità economiche. L’organizzazione istituzionale del capitalismo si ha con il capitalismo ai vertici dello Stato. Le necessità del capitalismo diventano le necessità stesse dello Stato. Lo Stato crea stimoli e progetta guerre, per pianificare l’economia capitalista.
Quando la formula si rivelerà vincente in patria americana, la pretesa di estenderla al mondo, diventerà oltre che sacrosanta, anche un’opera di bene. Per fare il tutto è necessario l’impianto democratico nei paesi ad interesse economico.
Di Fernand Braudel: “Il capitalismo trionfa quando si identifica con lo Stato, quando è Stato”. Così il trionfo diventa universale quando il capitalismo si identifica con l’Impero. Lecito è chiederci, ma quando il capitalismo si fa Stato, lo Stato è ancora tale? E’ ancora degno di essere chiamato con questo nome? E l’Impero è ancora Impero?
Lo Stato capitalista è per sua stessa natura anti-Stato, in esso si adoperano forze di dissoluzione, la sua diventa sempre una missione aziendale, un’operazione di ‘franchising’, e alla sicurezza pubblica si sostituisce la sicurezza privata, la polizia svolge funzioni private rivolte essenzialmente alla tutela della proprietà. Così quando il capitalismo si fa Impero è un anti-Impero, perché il suo carattere universale è tale soltanto sul piano economico e materiale e non né ammette altri; la sua lingua mundi è il denaro, altre lingue sono vietate per legge o per induzione. Il modello imposto dall’Impero come universale, universale non lo è per nulla, è solo un modello particolare, quello americano, affetto dalle sue specifiche implicazioni.
Imperi del passato, escludendo da questa categoria le espressioni imperialiste dei secoli scorsi, a carattere coloniale e interesse nazionale, hanno avuto la necessità di affermarsi utilizzando modelli di riferimento ‘eterni’, non scindibili spesso da una condizione di sacralità che gli conferiva autorità. Da qui deriva la contrapposizione secolare del ‘Tempio’ e del ‘Palazzo’, con lotte più o meno accese a seconda dell’interpretazione del ‘le due Spade’. Le due Spade rappresentavano, nei secoli che hanno seguito la caduta dell’impero romano, una il potere Spirituale, l’altra il potere Temporale. La Spada del potere spirituale spettava senz’altro al papa, ma questi, sfruttando la falsa ‘eredità di Costantino’ pretendeva che la seconda spada, quella del potere temporale, fosse esercitata sotto sua tutela. All’arrendevolezza d’alcuni imperatori, si contrapponeva la certezza di altri, tra tutti Federico I di Svevia, per i quali il potere che esercitavano gli veniva dato direttamente dalle mani di Dio, senza necessità d’intermediari quand’anche si trattassero degli eredi di Pietro. Le lotte che ne divamparono furono lunghe e furiose, scomuniche e anti-papi con echi fino alla nostra storia recente. Gli Stati Uniti non conobbero mai niente di tutto questo, o meglio la dualità controversa non ebbe mai ragione di esistere in quanto i due poteri nella confusione, e nelle differenze del caso, coesistevano quasi coincidendo. Il potere temporale americano è il potere capitalista e questo è intriso di religiosità messianica e testamentaria, secondo le varie implicazioni puritane che quella storia ha conosciuto. Senza paradossi il potere americano,per quanto materialista, rimane un potere teocratico. Ricordate, quando l’evangelista J.W. Bush pregava per la guerra in Iraq? Non vi ricorda quel Mosè che nel dare battaglia agli Amaleciti recitava: “ La battaglia è inevitabile, io andrò con Aronne e con Hur sulla collina a pregare tenendo in mano la verga di Dio”. Fintanto Mose teneva alzate le mani, la sorte era benevola, quando poi, per stanchezza, le abbassava vinceva Amalic.
La religione americana per imporsi non ha bisogno di seminare sensi di colpa, non santi che hanno fatto miracoli, non promette paradisi nell’aldilà. Questa religione s’ingenera nel presente e in questo mondo, i suoi miracoli sono il suo stesso successo, convince con il ‘benessere’. Le punizioni e i premi sono di questa terra.
Un potere onnipotente e unico, monoteista e monocratico, che non ammette ovviamente altri dei, giudice ingiudicabile, che dispensa diritti e doveri, fonte di un nuovo diritto universale, portatore delle tavole della legge.
Ogni potere umano, al di là dalla sua vocazione al comando, ha sempre dovuto fare i conti con la dimensione temporale. Il potere come espressione organizzata, esercitata da un uomo o da più uomini, ha di per sé una natura sempre umana e quindi sempre soggetta al divenire dei tempi. Consapevole di ciò, i detentori delle leve del comando, hanno cercato di edificare opere materiali o codici, di tale spessore e resistenza da sopravvivere al suo stesso progenitore. Era questo un tentativo, consapevolmente un tentativo, di avvicinarsi all’eternità irraggiungibile, un prendere tempo nella mente degli uomini che restavano e in quelli che sarebbero venuti.
Questo permetteva una stratificazione storica, culturale, secondo un asse processivo del tempo, da cui far ripartire le nuove generazioni.

L’uomo, cittadino dell’Impero odierno, o meglio dipendente della globale multinazionale, ha un grave problema: il tempo. L’origine del problema risiede nel vizio che l’Impero stesso ha di questa dimensione.
Esiste nell’Impero una presunzione d’eternità. Gli Stati Uniti esportano il proprio modello secondo una forma uguale a se stessa estranea alla storia e alla linea del tempo, ignorando deliberatamente le differenze di chiunque incontrano. Il modello imposto è egocentrico.
Avete visto un bambino, il suo mondo, i suoi movimenti e le sue abitudini? Ha spesso una riproduzione ossessiva del gesto o di un’immagine, e ripete il tutto più volte, tutto uguale a se stesso. La sua piccola vita, la sua crescita ha bisogno di ripetizione, ricerca certezze e manca di una consapevolezza temporale, per natura è egocentrico e disconosce tutto quello che non ha col tatto conosciuto, non prevede un fenomeno nuovo, ma lo fa suo solo dopo averlo sperimentato più volte. La società americana propone un modello sociale infantile, egocentrico, individualista, incosciente, e manicheo. E’ rassicurante nella liturgia e nella ripetitività dei gesti, è una società autoreferenziale, ma la sua ripetizione è fine a se stessa. Al contrario del bambino, che sperimenta per diventare uomo, in questa società la ripetizione è un fine non un mezzo, un consumo non per divenire ma un consumo per altro consumo.
Il fenomeno della dipendenza dalla ‘beatitudine dal consumo’ che produce ricchezza, è stato efficacemente indicato nel topo che corre nella ruota, un movimento continuo senza soluzione d’arrivo se non quella di ritrovarsi allo stesso posto con la ruota che ogni ciclo si ripete. Un movimento eterno, eterno finché dura, fintantoché c’è l’ingenuo topo consumatore e motore. Ma in tutta questa storia il consumatore non è il Re, come scrive Galbraith, è solo il topo che gira la ruota, incentivato da lusinghe rimane suggestionato. La ruota che gira non è la ruota della produzione, o per lo meno non lo è più, il topo in quel caso sarebbe solo il topo operaio. La ruota è quella dell’economia consumistica, in cui il topo consumatore anche quando pensa d’essere libero, contribuisce sempre alla rotazione della macchina. La ruota ha un valore assoluto e governa ogni istante della vita dell’uomo, ogni minimo aspetto, anche il più privato, è padrona persino del suo tempo libero. Il topo consumatore non ha più libere scelte e tanto meno tempo libero, il consumatore non ha tempo.
Secondo questo schema l’uomo non è confuso con il consumatore, è il consumatore, è scientificamente, deliberatamente uomo consumatore.
La democrazia dei consumi è il paravento per ridimensionare l’uomo all’unica dimensione di consumatore, all’unica libertà concessagli. Il suo linguaggio diventa quello della pubblicità, le sue idee quelle della propaganda, il suo sogno quello americano.
“Negli Stati Uniti la soppressione delle radici, gli oggetti che cessano di ricordarci l’ordine del passato, è stata percepita come aumento di libertà”. Secondo Alain De Benoist, l’Impero che ne deriva si sviluppa nello spazio, mito della frontiera, anziché nel tempo. Il suo mito fondante non sarà mai l’origine ma la conquista dello spazio.
La perdita della dimensione tempo, e del senso storico, contribuisce come prima conseguenza alla mancanza di profondità, nei rapporti così come nelle idee o nell’informazioni La mancanza di tempo non si sposa mai con la saggezza, quasi mai con l’audacia, più spesso con l’imprudenza e la superficialità. Questo stato di cose provoca a livello individuale condizioni d’ansia, nevrosi, accompagnate sempre da uno stato di solitudine concreto non dissetato dal numero di rapporti frettolosi e fugaci offerteci. La velocità è vista come caratteristica di progresso, velocità per grandi spazi, tutto in tempi più brevi, tutto riducendo il tempo.
Il cattivo rapporto con il tempo genera un costante stato d’approssimazione unito ad una mancanza egoistica della previsione degli eventi. Si è spinti ad esercitare un’estensione del nostro presente, un eternizzare disumano, accordato sullo slogan ‘vogliamo il mondo e lo vogliamo ora’, perché tutto sommato s’ ignora l’esistenza di un domani.
Sant’ Agostino afferma che interrogarci su cosa faceva Dio prima di creare l’uomo, è una domanda che non ha luogo ad esistere semplicemente perché, Dio non ha tempo, a Lui spetta l’eternità. Il tempo è una condizione squisitamente del mondo, nella fattispecie è una condizione propriamente umana, è la condizione che lo lega alla consapevolezza della sua caducità. La mancanza di conoscenza della retta del tempo, o sua dimenticanza, induce l’uomo, o il sistema da lui creato, in una condizione di sopravvalutazione esagerata, gli conferisce erroneamente un senso d’onnipotenza e d’ eternità che non hanno.
I mercanti nel Tempio, hanno prodotto i templi dei mercanti, gli unici che hanno una certa concezione temporale, quella legata agli introiti dei loro interessi.
L’uomo non è onnipotente così come il suo Impero. Questo Impero, malgrado la sua convinzione messianica, malgrado il paradiso in terra, non è onnipotente, non è né sacro né eterno, spiritualmente arido. Il suo chiamarsi fuori dalla storia è a sua volta una parentesi del tempo.
Il modello dell’americanismo, nato dalla mancanza di radici, viene da noi accettato con una condizione necessaria e obbligatoria, il rifiuto della nostra identità, il taglio delle nostre radici. Quando gli ascari nostrani, di destra o di sinistra, sventolano le loro bandierine, come alla recita di una scuola materna, gridando: “siamo tutti americani”, non esprimono solo solidarietà alla loro maestria. Non è soltanto una sindrome da cortigiano. Più che altro manifestano, toccando il loro livello di massima sincerità, il grado della loro permeabilità d’animo e la loro arrendevolezza, è come se dicessero a tutti: “non possiamo più vivere, non abbiamo idee, ci vergogniamo di noi stessi, vogliamo amare soltanto il fattore A, (l’americanismo appunto), anche noi vogliamo essere cittadino USA, anche noi vogliamo vivere nel paese della cuccagna”. (Chissà se i milioni di poveri americani, o i neri abbandonati nel fango, mentre i loro padroni bianchi scappavano in elicottero privato da New Orleans, la pensano allo stesso modo?).
L’Impero esige uniformità, e questo al di là delle motivazioni economiche, lo fa anche perché in essa ricerca la sua condizione di presunta eternità, l’aver raggiunto un modello unico e insuperabile. Il modello dell’Impero è sempre uguale a sé stesso, lo è nel tentativo di costruire case colorate ma tutte ugualmente di cartongesso, nel nutrirsi senza varianti in tutti i Mc Donald’s del mondo. Marchiati come bestie da pascolo, con le iniziali del padrone, con abiti marcati da sigle, società di torturatori, CIA, FBI, o sconosciute università, tutti vestiti come a ‘happy days’, tutti a far girare la ruota della nuova scienza chiamata: consumismo.
Questa presunzione d’invincibilità non è preoccupata dall’erosione del tempo, quello che produce non deve essere duraturo, città finte di compensato tutto come una maschera, tutto rapidamente distruttibile e risostituito con sé stesso.
La mancanza di tempo coniuga impropriamente il nostro contesto in una condizione di eternità, ma più propriamente cela soltanto la perdita di libertà e la devozione verso un dio fasullo: il denaro.
Una finzione di eternità e di grandezza, l’onagro contro il leone, il cartongesso contro la pietra squadrata, l’egoismo contro la socialità, la tecnologia contro la civiltà. Tutto questo a guardarlo bene è ‘il nano’ sulla porta dell’attimo, tutto reca in sé il moto di chi si agita per distruggere il caduco e riproporre il caduco. Un andare e venire che non porta da nessuna parte, perché non ha il carattere dell’Essere. Un andare e ritornare, il ripiegarsi su sé stesso che offre loro un malato senso di eternità e a noi rivela la debolezza che li ucciderà.