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I giudici e la corporazione giudiziaria

di Sergio Romano - 23/01/2009

Finalmente si comincia a diffondere la consapevolezza che la degenerazione correntizia del Consiglio superiore della magistratura è una delle cause principali dei guai della giustizia italiana. È merito da ultimo del Vicepresidente del Csm, sen. Mancino, averlo detto apertis verbis. Sul tavolo ci sono essenzialmente tre proposte di riforma: quella di rendere prevalente il numero dei consiglieri laici rispetto a quelli eletti dalla magistratura, quella di introdurre un diverso sistema elettorale per i consiglieri togati, quella di sorteggiare i componenti togati del Csm. La prima non mi convince perché, se ho poca fiducia nel Csm come è composto oggi, non so se potremmo averne di più qualora le nomine di origine politica divenissero prevalenti. Circa la seconda, cui lei ha accennato in risposta a un suo lettore, la mia riserva è che qualunque sistema elettorale si adotti, gli eletti sapranno sempre di dovere la loro elezione a questa o a quella corrente della magistratura che si è battuta per loro e che avrebbe quindi titolo, come avviene oggi, a essere «ricompensata» in sede di assegnazione degli incarichi o «protetta» in sede disciplinare. Resta la terza soluzione - quella che preferisco, come ho scritto qualche giorno fa su La Stampa - ed è il sorteggio. Le ragioni le ha riassunte bene il lettore Pietro Di Muccio de Quattro ed a esse mi rifaccio. Una selezione casuale fra i magistrati eliminerebbe tanto il vincolo delle correnti quanto la tendenza della politica a mettere le mani sulla magistratura. Quale è la controindicazione?
Il rischio di sorteggiare un incapace o un fazioso?
Sarebbe solo uno fra tanti magistrati che sarebbero chiamati dalla sorte a dare buona prova di sé.


on. Giorgio La Malfa,


Caro La Malfa,
E' possibile che lei abbia ragione e che la formula del sorteggio, alla fine di questa dibattito, si dimostri, nonostante i suoi difetti, la più neutrale delle soluzioni possibili. Mi chiedo tuttavia se questa complicata discussione sul modo in cui scegliere i membri togati del Consiglio superiore della magistratura non nasconda la nostra riluttanza a riconoscere che il vero problema è rappresentato dall'esistenza di qualcosa che non dovrebbe esistere e che è per molti aspetti all'origine della questione. Mi riferisco all'Associazione nazionale magistrati.
L'Anm non è prevista dalla costituzione ed è quindi una privata associazione sindacale, sorta per rappresentare gli interessi di una categoria. Non so se i magistrati, a cui la costituzione ha già concesso un organo di autogoverno che tutela le loro funzioni di fronte all'esecutivo e al Parlamento, abbiano veramente bisogno di un sindacato. Ma suppongo che il quesito, in queste circostanze, sarebbe inutilmente provocatorio. Il vero problema, tuttavia, sorge nel momento in cui l'Anm, anziché comportarsi come un sindacato, diventa il partito d'una corporazione e si suddivide a sua volta in un certo numero di sottopartiti. Posso ammettere, controvoglia, che anche i magistrati vogliano disporre di un organo a cui affidare il problema sindacale dei loro emolumenti e dell'organizzazione del lavoro. Ma l'Anm preferisce parlare di questioni - la separazione delle carriere, la diversa organizzazione del Csm, l'obbligatorietà dell'azione penale - che investono l'organizzazione dello Stato e appartengono alla competenza del Parlamento.
Ne abbiamo avuto l'ennesima conferma negli scorsi giorni quando il presidente dell'Associazione ha dichiarato: «Siamo pronti a discutere di leggi ordinarie, ma davanti alla modifica della Costituzione allestiremo la nostra linea Maginot ». A proposito di questa frase un lettore, Giorgio Tescari, mi ha scritto: «Poiché per la revisione della Costituzione sono necessarie due deliberazioni di entrambe le Camere a maggioranza assoluta di ciascuna, l'affermazione del magistrato non sembra alquanto sorprendente?». La domanda mi sembra calzante. Aggiungo che la faccenda diventa ancora più imbrogliata nel momento in cui questi sottopartiti, per dimostrare la loro forza, si servono del Consiglio superiore per collocare i loro i loro uomini nelle posizioni più autorevoli. Questo atteggiamento ha l'effetto di trasformare il Csm in una sorta di Camera sindacale della magistratura, come se un ordine dello Stato avesse il diritto di avere il proprio governo e il proprio Parlamento. I magistrati dell'Associazione si dichiarano spesso paladini e difensori dello Stato di diritto. A me sembra che con questi metodi di lavoro difendano piuttosto la filosofia dello Stato corporativo.