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Ecco come nacque lo stato banchiere

di Massimo Mucchetti - 05/02/2009

     
 
Alla luce del libro Beneduce, il finanziere di Mussolini, di Mimmo Franzinelli e Marco Magnani, Massimo Mucchetti ricostruisce la nascita del capitalismo di stato durante gli anni ‘30 dovuta all’azione politico-economica congiunta di Mussolini e Alberto Beneduce.
Beneduce fu inizialmente un socialista riformista e nazionalista. Con il fascismo e dopo la crisi del 1929, Beneduce fu l’artefice, nel 1933, della costituzione dell’Iri e della nazionalizzazione del credito e, nel 1936, della ridefinizione in senso statale del capitalismo italiano grazie alla riforma della Banca d’Italia. Mentre l’attività bancaria commerciale fu separata rigidamente da quella d’investimento finanziario, il credito a medio e lungo termine fu riservato unicamente a istituti pubblici appositamente creati.


Lo storico del fascismo, Mimmo Franzinelli, e l’economista della Banca d’Italia, Marco Magnani, hanno pubblicato un’accurata biografia dell’architetto del capitalismo italiano novecentesco. Il titolo, Beneduce, il finanziere di Mussolini, [...] evoca il padrinaggio politico di quella costruzione, ma forse dà un’idea delle relazioni tra i due uomini meno complessa di quanto sia stata nella realtà e nella stessa rievocazione fatta dagli autori. Se fosse stato pubblicato due anni fa, questo libro sarebbe finito nel recinto della pura ricerca archivistica tanto era diffusa l’ostilità contro lo Stato imprenditore. Oggi, invece, mentre le nazionalizzazioni vengono invocate dai banchieri anglosassoni e i soccorsi di Stato implorati dai costruttori di auto americani ed europei, Franzinelli e Magnani offrono un punto di riferimento utile per la formazione di un pensiero politico nel quale la memoria aiuti a distinguere il giudizio informato dal pregiudizio ideologico.
La rilettura di Beneduce in chiave contemporanea non può non partire dal rapporto del tecnico con la politica. Professore di statistica assai stimato anche da un fiero avversario come
Luigi Einaudi [...], socialista riformista e nazionalista, interventista ma lontano dalle trincee della Grande Guerra, grado 33 della massoneria del Grande Oriente d’Italia, Alberto Beneduce si risolve a prendere la tessera del Fascio dell’Urbe solo nel febbraio 1940, quattro anni prima di morire: nel 1936 un ictus ne aveva indebolito la tempra fino a costringerlo, nel 1939, a dare le dimissioni dall’Iri e da tutte le altre società eccezion fatta per la presidenza della finanziaria Bastogi. Pur manifestando il più grande ossequio per il duce, che nel 1912, da socialista massimalista, aveva contribuito all’espulsione dei moderati riformisti dal Psi, Beneduce conserva sempre, almeno fino a quando resta grand commis d’Etat, una formale distanza tra se stesso e il Partito nazionale fascista. Con la costituzione dell’Iri e la nazionalizzazione del credito nel 1933 e la riforma della Banca d’Italia del 1936, Beneduce tiene a battesimo lo Stato imprenditore e lo Stato banchiere. E con ciò ridefinisce anche il perimetro del capitalismo privato residuo in un quadro regolatorio nuovo, dove il credito a medio e lungo termine è riservato a istituti pubblici specializzati mentre l’attività bancaria commerciale viene radicalmente separata da quella d’investimento. Le radici politiche e culturali di questi interventi risalgono al Beneduce social-riformista [...]. La legge bancaria italiana, inoltre, ricalca il Glass Steagal Act dell’America roosveltiana. Tanto basta a rendere evidente un’autonomia professionale che accresce il rilievo del potere economico formale riunito nelle mani di Beneduce. Un potere emancipato dalle intrusioni della nomenclatura del regime e tuttavia accettabile dalla sua fonte istituzionale perché in quella fonte, impersonificata dal capo del governo, si concentra un altro potere, quello politico, in misura ancora maggiore. [...]
Mussolini e il suo finanziere, dunque, modernizzano l’Italia degli anni Trenta in un contesto fortemente elitario, privo di ogni obbligo di rendicontazione pubblica. Ed è questo il dato che, ben illustrato da Franzinelli e Magnani, fa emergere la grande differenza tra il passato e il presente dell’intervento dello Stato. Nell’attuale società democratica della comunicazione, la concentrazione del potere politico non potrà mai essere pari a quella possibile in una dittatura all’epoca della propaganda di Stato. Il privato può provare a nascondere i suoi hedge funds in un paradiso fiscale. La mano pubblica no. E se concentra maggior potere economico, come sta accadendo alla Federal Reserve da quando si è messa a prestare direttamente denaro, si riapre subito la questione della sua accountability di fronte ai parlamenti.

Mimmo Franzinelli e Marco Magnani, Beneduce, il finanziere di Mussolini, Mondadori 2009, pp. 330, € 20.