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In Tibet 50 anni di inferno sulla terra

di Valeria Gelsi - 11/03/2009

Fonte: Secolo d'Italia

Lhasa ieri è rimasta tagliata fuori dal mondo. Nel giorno del 50esimo anniversario della rivolta contro l`invasione cinese, l`unica voce abilitata a parlare dalla capitale tibetana è stata quella dell`agenzia governativa Nuova Cina. E non ci vuole molto a capire che era Pechino a farsi sentire. «La vita del tibetano medio - ha scritto l`agenzia - sembra non essere cambiata nonostante l`attenta osservazione della stampa straniera in questa data speciale». La città si sarebbe presentata «tranquilla e pacifica», con «la famosa via del mercato di Pogor affollata di ambulanti che vendono souvenir a prezzi da suicidio». Le poche testimonianze che sono filtrate, però, hanno confermato quello che già si sapeva: Lhasa è sottoposta a una legge marziale non dichiarata. Non in questi termini, almeno. Perché lo stesso governo cinese nei giorni scorsi ha annunciato misure straordinarie in vista delle date sensibili. Il Tibet «tranquillo» raccontato da Nuova Cina, in realtà, è un Tibet totalmente militarizzato, con frontiere chiuse, carri armati, posti di blocco e 100mila militari a controllare strade e monasteri, secondo l`agenzia Asianews, che ricorda anche l`oscuramento di internet. Il Club dei corrispondenti stranieri in Cina, inoltre, ha denunciato «almeno sei casi» di cronisti detenuti in violazione della legge cinese sulla stampa. Tre reporter dell`agenzia francese Afp, poi, sono stati fermati mentre intervistavano alcuni monaci di La Jia, nel Qinghai, la stessa regione del monastero di An Tuo, quello dei 109 monaci arrestati il 25 febbraio. Non si sa se in questa "grande muraglia", come l`ha definita il presidente cinese Hu Jintao, sia filtrato qualcosa delle manifestazioni di solidarietà che si sono svolte in tutto il mondo e del discorso che il Dalai Lama ha tenuto davanti a migliaia di persone a Dharamsala, la città indiana capitale del Tibet in esilio. Un discorso duro, nel quale il leader spirituale tibetano ha puntato l`indice contro le campagne di repressione che la Cina ha condotto dal 1959 a oggi, «torture e tremendi patimenti», che hanno «gettato i tibetani in uno sconforto e in una sofferenza da inferno in terra». Eppure il Dalai Lama non ha chiesto l`indipendenza della regione, ma la sua «legittima e concreta autonomia, che abiliterebbe i tibetani a vivere entro la struttura della Repubblica popolare», come prescrive la stessa Costituzione cinese. E ancora il 73enne premio Nobel si è rivolto tanto alla popolazione cinese quanto a quella tibetana, esortando sentimenti di "fratellanza" e spiegando che «dobbiamo sperare per il meglio e prepararci per il peggio». «Vorrei esprimere un forte desiderio - ha detto - affinché ì nostri fratelli e sorelle cinesi non siano influenzati dalla propaganda, ma comprendano gli accadimenti del Tibet in modo imparziale. I tibetani dovrebbero anche continuare a lavorare per l`amicizia con il popolo cinese». L`appello ai popoli, del resto, sembra l`unica strada che rimane per il dialogo, anche alla luce della replica sprezzante che riservata al discorso dalle autorità cinesi. «La cricca del Dalai Lama - ha commentato il ministro degli Esteri, Ma Zhaoxu - diffonde menzogne e confonde il bianco con  il nero». Contestualmente sono partiti anche i soliti anatemi contro le manifestazioni di solidarietà occidentali. Al congresso americano Pechino ha chiesto di non votare una mozione per «il riconoscimento della disperazione del popolo tibetano»; l`ambasciatore cinese in Australia, Junsai Zhang, poi, ha scritto una lettera al deputato laburista Michael Danby, che presiede il gruppo parlamentare multipartitico per il Tibet, per dissuaderlo dal partecipare a una iniziativa di piazza. In Italia, ieri, la Camera ha votato all`unanimità una mozione a sostengo del Dalai Lama e del suo popolo e sui banchi del Pdl è spuntata anche una bandiera del Tibet, accanto alla quale c`erano fra gli altri Carlo Ciccioli e Lucio Barani. Almeno fino al tardo pomeriggio di ieri, non ci sono state reazioni ufficiali di Pechino, ma non è escluso che siano arrivate dopo il sì alla mozione o che possano arrivare nelle prossime ore, anche perché Roma ha preso una posizione molto ferma. L`altro ieri ci sono state le parole del presidente della Camera Gianfranco Fini, ieri la notizia del rastrellamento tra i monaci ha provocato «molta preoccupazione» nel ministro degli Esteri Franco Frattini e una dura stigmatizzazione da parte della presidente del Comitato parlamentare Schengen e deputata del Pdl Margherita Boniver. «Mi auguro che la Farnesina - ha detto la Boniver - convochi immediatamente l`ambasciatore cinese per esprimere la più viva preoccupazione. C`è un limite oltre il quale il silenzio delle cancellerie europee rischia di diventare connivenza». Numerose, poi, sono state le manifestazioni a livello locale, il cui epicentro è stato la Capitale. Qui si sono tenute la maratona oratoria e la fiaccolata al Colosseo, ma anche un presidio davanti all`ambasciata cinese dove i consiglieri comunali del Pdl Ugo Cassone e Luca Gramazio si sono incatenati e sono stati identificati dalla polizia. Anche il primo cittadino ha lanciato un messaggio forte: Il Dalai Lama è cittadino onorario di Roma e da  sindaco - ha detto Gianni Alemanno - non posso tacere su questa vicenda. Invito fermamente il governo italiano ad avviare un`iniziativa politica in sede europea e internazionale perché la situazione in Tibet deve trovare una svolta». Intanto domani il Parlamento di Strasburgo voterà una risoluzione proposta del radicale Marco Cappato. Ieri molti eurodeputati hanno esposto la bandiera tibetana sui propri banchi e il presidente di turno della seduta, il conservatore britannico Edward McMillan Scott, si è presentato in aula con una bandiera ben visibile nel taschino della giacca. Ma ottenere il voto non è stato un automatismo e lo stesso Cappato ha denunciato «il tentativo maldestro dei socialisti europei di non approvare la risoluzione sul Tibet».