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Banca d’Italia, fascismo, antifascismo e i pescecani dell'oggi

di Antonino Amato - 15/03/2009

Fonte: Antonino Amato


 


Il sistema liberalcapitalista ci ha regalato le crisi finanziarie del 1929 e del 2008. E molti commentatori a sostenere: “Malgrado tutto, il sistema liberalcapitalista è il migliore possibile”. Su questo conviene intendersi. Il problema non sta in chi “possiede i beni”, ma in chi “fabbrica i soldi”. E, dunque, nelle Banche. Non tutte le Banche, ma le Banche che “stampano i soldi”.

Sia chiaro: la moneta circola grazie alla pubblica fiducia e perché lo Stato sanziona con norme penali chiunque stampa ed immette in circolazione moneta falsa. Ne viene che la moneta circola grazie all’autorità dello Stato. E questo sarebbe il “signoraggio”, una delle manifestazioni della “sovranità” dello Stato. In Italia, poiché la “sovranità” è riposta nel “popolo”, è al “popolo sovrano” che dovrebbe essere riconosciuto il “signoraggio”, quella particolare potestà di stampare moneta ed immetterla in circolazione.

Questo in teoria e fino ad un certo punto. Fu così che si stabilì durante il Fascismo. Poi venne la guerra e la disfatta, ma la legge bancaria non cambiò. Dai “fascisti” si passò agli “antifascisti”, ma la legge bancaria non subì mutamenti. Solo che, dai 1990 in poi, subentrarono i “servitori delle banche” (gli Amato, i Ciampi, i Dini, i Prodi e Compagnia cantante): le banche di “diritto pubblico” furono vendute a privati. E furono vendute senza avere l’accortezza di stornare altrove le azioni della Banca d’Italia, in mano alle stesse. Con la conseguenza che la Banca d’Italia non è più del “popolo italiano”, ma di alcune banche private.

Arriva la crisi finanziaria del 2008, crisi provocata dal sistema bancario americano. Ed è giocoforza che lo Stato immetta moneta in circolazione per difendere l’economia e sostenere i consumi. Solo che, così facendo, lo stato dovrebbe aumentare il “debito pubblico”, pagando interessi sulla “moneta” che circola grazie alla sua autorità. Tremonti, Ministro dell’Economia, ben conosce il problema: ha sul tavolo un fascicolo che prevede la “nazionalizzazione delle azioni della Banca d’Italia che sono finite nelle mani di privati”, lo sfoglia e non sa decidersi. Anche perché Draghi, governatore della Banca d’Italia, preferisce stare nelle mani dei suoi amici banchieri piuttosto che nelle mani dei politici, rappresentanti del “popolo sovrano”. Sfoglia il fascicolo, incontra delle resistenze e rimanda la decisione.

Anche perché i politici di questa amena Repubblica, a parole, sono “per il popolo” ma, nei fatti, fanno il tifo per i banchieri. L’esempio più clamoroso e sconcertante lo offre Franceschini, segretario del PD. Non passa giorno che Franceschini non proponga: diamo più soldi alla povera gente, diamo più soldi ai disoccupati. Discorsi meritevoli di considerazione se Franceschini si preoccupasse anche del reperimento delle somme necessarie. Succede, invece, che lo Stato vari 10 miliardi di Euro (Tremonti bond) da dare alle banche perché sostengano le imprese e i privati. E deleghi i prefetti ad avviare un “osservatorio” per monitorare, sul territorio, l’operato delle banche.

Resistono le banche; resiste Draghi, governatore della Banca d’Italia, con lo specioso motivo che “il controllo delle banche spetta alla Banca d’Italia”. Dimenticando che, stranamente, in Italia le azioni della Banca d’Italia (l’improbabile “controllore”) sono nelle mani delle banche (le improbabili “controllate”). E questa resistenza non desta scandalo: sono dei privati abituati a mungere, ingrassandosi, le povere vacche. Ma desta scandalo che Franceschini dichiari: “Litighiamo pure tra maggioranza ed opposizione, ma lasciamo fuori la Banca d’Italia. Nessuno ne tocchi l’autonomia e la libertà” (1).

Io non so dove “ha studiato” Franceschini. Noto, però che, così dicendo, non rispetta i “fascisti”, ma non rispetta neppure gli “antifascisti”. E mi confermo che “quel giuramento davanti ai martiri ferraresi uccisi dai fascisti” fosse solo una “lugubre pagliacciata”. Era “legge fascista” che le principali banche italiane (a principiare dalla Banca d’Italia) fossero di “diritto pubblico”. Legge fascista che gli antifascisti lasciarono immutata. E tale restò fino al 1990. Furono i “servitori dei banchieri” a stravolgerla vendendo le banche ai privati. E, con le banche, anche le azioni della Banca d’Italia. Resta la domanda: con chi sta Franceschini, leader del PD? Non con i “fascisti”. Non con gli “antifascisti”. Che Franceschini stia coi banchieri? Forse è per questo che taluni del PD dicono: “Franceschini, finalmente, dice cose di sinistra”. Già: da quelle parti ci sono tanti “sinistri figuri”.

E le mie, che nel PD ci sono tanti “sinistri figuri”, non sono parole in libertà. Ce lo rivela un altro episodio. Succede che a None (Piemonte) la Indesit chiude uno stabilimento licenziando 600 lavoratori perché ha aperto uno stabilimento in Polonia, dove gli operai accettano il lavoro in cambio di un tozzo di pane. Uno dei proprietari della Indesit è Maria Paola Merloni, deputato del PD. Che riscuote la solidarietà di Massimo Calearo, altro deputato del PD: “Che ci si aspetta da Maria Paola Merloni? E’ una imprenditrice che vive di mercato e deve fare i conti con la crisi….. Se si è costruito un partito moderno, sul modello dei democratici americani, che raccoglie sindacalisti ma anche imprenditori, possono esserci situazioni di questo genere” (2).

Con tanti saluti ai “martiri ferraresi uccisi dai fascisti”, agli “antifascisti”, ai “comunisti” e agli Italiani tutti. In Italya, se non si è pescecani, non si fa carriera. 
  
(1) “Franceschini: si litighi ma Palazzo Koch non venga coinvolto” in “Corriere della Sera” del 14 marzo 2009, pagina 5;

(2) “Indesit, Colaninno Jr e Calearo difendono Paola Merloni” in “Corriere della Sera” del 14 marzo 2009, pagina 6.