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La lotta dimenticata per abolire le Province

di Stella Gian Antonio - 19/03/2009

«Non serve e non la voto», strilla lo slogan del Comitato per l' Abolizione delle province. Nato nel Veneto per iniziativa di Michele Bortoluzzi, il movimento può contare sul sostegno dichiarato di Massimo Carraro (candidato dall' Unione contro Giancarlo Galan alle ultime regionali), dell' imprenditrice Marina Salamon, del deputato democratico ed ex presidente di Federmeccanica Massimo Calearo, dell' amministratore delegato del Gruppo Coin Stefano Beraldo e dell' ex presidente degli industriali veneti Luigi Rossi Luciani. Tutti convinti che, ormai evaporate nel nulla le promesse elettorali della sinistra e della destra (il più deciso pareva essere Berlusconi che si era sbilanciato a dire: «delle Province non parlo perché vanno abolite») occorra dare un segnale forte: massimo impegno elettorale, visto che sarebbe diseducativo un appello a disertare le urne, ma mirato. Raggiunto il seggio per votare alle europee e alle comunali, l' elettore dovrebbe rifiutare la scheda per le provinciali: no grazie. I partiti guardano all' iniziativa con un misto di diffidenza, irritazione e ostilità: in attesa di abolirle (domani, dopodomani, l' anno prossimo, nel millennio successivo...) le poltrone è meglio conquistarle. In ogni caso, da destra a sinistra, la parola d' ordine è: ignorare l' iniziativa. Non parlarne. Non scriverne. Non occuparsene. Silenzio. Eppure, Dio sa quanto sarebbe indispensabile una svolta. L' ennesima dimostrazione arriva dall' accanita resistenza ai tagli che sta animando le province regionali siciliane dopo la chiusura dell' indagine della Corte dei Conti sulle indennità extra-stipendio distribuite ai dirigenti e ai funzionari tra il 1999 e il 2005. Indennità quasi raddoppiate nonostante il magistrato contabile Francesco Targia abbia accertato che nella larga maggioranza dei casi i premi, che avrebbero dovuto gratificare i più bravi sulla base di una precisa «pagella», erano stati spartiti senza alcuna valutazione meritocratica. Così, a pioggia. E che aumenti! Impennate da un milione e 30 mila euro a un milione e 642 mila alla provincia di Palermo, da un milione e 292 mila a un milione e 814 mila a Catania. Per non dire di Agrigento. Dove i premi ai colletti bianchi, nel giro di sei anni, sono schizzati all' insù del 383%. Merito di una produttività parallelamente quadruplicata? Magari! Come spiega il presidente Eugenio D' Orsi, un preside eletto da una coalizione di centro-destra ma oggi sempre più in urto con una parte del suo stesso schieramento, le cose funzionavano così: «Il direttore generale inviava a tutti i dirigenti (ce n' erano diciassette su 700 dipendenti: e non immaginate la battaglia per ridurli a tredici) una scheda in cui chiedeva: gentile dottore, come valuta se stesso in questo o in quel compito, questa o quella cosa? E i dirigenti rispondevano. Sapendo che dalla loro risposta dipendeva anche lo stipendio. Dopo di che il Comitato di Valutazione leggeva e, regolarmente, confermava l' auto-giudizio. Senza mai contestarlo». E che voti si auto-davano? «Ovvio: tutti bravissimi. Non c' era un solo asino. Neanche uno. E neanche un mediocre. Zero». È bastato tagliare i premi da un monte di oltre 800 mila euro a circa 600 mila, sospira D' Orsi , perché all' interno della Provincia scoppiasse la rivolta: «Avete presente Saddam Hussein? Mi pare d' esser impegnato nella madre di tutte le guerre...».