Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Siria: centro geopolitico del vicino oriente

Siria: centro geopolitico del vicino oriente

di Dagoberto Husayn Bellucci* - 30/03/2009





Nei rapporti geopolitici del Vicino Oriente abbiamo sempre sostenuto
l'essenziale ruolo svolto dalla Repubblica Araba Siriana e la sua centralità
nel quadro delle relazioni stabilite dall'intero mondo arabo verso l'estero. La
Siria rappresenta da oltre quarant'anni il principale bastione del fronte anti-
sionista: la saldatura determinatasi con l'avvento al potere dell'ala militare
del Ba'ath ( all'indomani dei tragici avvenimenti del cosiddetto "settembre
nero" palestinese nella vicina Giordania nel settembre 1970 ) che diede inizio
alla trentennale presidenza del compianto Hafez el Assad (scomparso nel 2000
per lasciare spazio al figlio Bashar) sarà il momento storico chiave che , dopo
anni di incertezza e tensioni politiche e sociali interne, darà al paese una
stabilità ed una normalizzazione che lo renderanno inattaccabile dall'esterno e
restituiranno ai siriani il loro tradizionale ruolo di ago della bilancia
vicinorientale.

Fin dall'epoca di Hafez el Assad la Siria , sia per la sua invidiabile
posizione geostrategica e politica sia per le caratteristiche proprie di un
regime determinato a controllare lo sviluppo della società siriana e a
confrontarsi con i vicini stati arabi e soprattutto con il nemico sionista, ha
rappresentato il cuore geopolitico del Vicino Oriente intervenendo sempre con
tempismo e determinazione per riportare ordine nella regione quando chiamata
dalla Comunità Internazionale o dalla Lega Araba come avverrà nel 1977 in
Libano e come sarebbe accaduto durante la crisi del Golfo nel 1990 quando
Damasco inviò un contingente militare in terra d'Arabia che , pur rimanendo
inattivo, rappresenterà il 'tributo' diplomatico-politico concesso da Assad per
una partecipazione simbolica siriana alla forza multinazionale che avrebbe poi
lanciato l'operazione "Desert Storm" (la tempesta nel deserto) contro Saddam
Hussein, l'Iraq e il Kuwait occupato dalle truppe irachene. Partecipazione
simbolica che garantirà alla Siria di ottenere il disco-verde per la
normalizzazione manu militari nel vicino Libano, disarmare le milizie
confessionali nel paese dei cedri e imporre gli accordi di Taif (Arabia
Saudita) che avrebbero sancito la sostanziale svolta in senso nazionale e anti-
sionista e portato agli accordi di mutua collaborazione, cooperazione e
assistenza tra i due paesi.

Ultimo Stato arabo ad opporsi all'entità sionista la Siria, dall'avvento al
potere del suo giovane Presidente Bashar el Assad, ha saputo mantenere i nervi
saldi e responsabilmente affrontare le diverse crisi aperte nella regione: 
dopo un inizio caratterizzato da numerose pressioni e polemiche internazionali,
dal complotto 'libanese' organizzato dalle centrali mondialiste attraverso la
risoluzione 1559 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (che richiederà
fin dall'ottobre 2004 il ritiro delle truppe di Damasco dal Libano) e alla
strategia della tensione sostenuta dall'Occidente e finanziata
dall'amministrazione statunitense ( che porterà all'assassinio dell'ex premier
libanese, Rafiq Hariri, alla  stagione degli attentati politici e alle
manifestazioni di piazza anti-siriane in quella "rivoluzione dei cedri" etero-
diretta da Washington e della quale rimarranno infine solamente i cedri) il
regime di Damasco ha saputo navigare a vista nelle acque tutt'altro quiete
della situazione regionale caratterizzata oltretutto dalla presenza delle
truppe d'occupazione americane nel vicino Iraq, dalla sempre instabile
situazione palestinese, dalle turbolenze spesso riapertesi ai confini
settentrionali iracheni tra le organizzazioni della resistenza curda e
l'esercito turco e dal principale ostacolo alla pace nell'area, l'entità
sionista, che di lì a poco avrebbe lanciato la sua aggressione contro il
Libano.

Avvenimenti che, anzichè scalfire o minare l'autorità presidenziale e il
ruolo siriano nell'area, hanno finito con il determinare il rilancio del ruolo
centrale della Siria quale principale referente per una normalizzazione delle
tensioni: immediatamente dopo la fallimentare aggressione israeliana contro il
Libano nell'estate 2006 era chiaro che isolare, come tentavano di fare il
governo libanese e i suoi alleati statunitensi, la Siria da qualsiasi gioco
diplomatico per quanto riguardasse uno dei diversi fronti 'caldi' del Vicino
Oriente equivaleva ad un suicidio politico e ad un fallimento di qualunque
negoziato.

Nel mirino del terrorismo di matrice jihaidista fin dal 2005 , all'interno
del paese opereranno diverse organizzazioni di matrice salafita (da Jund al
Shams fino alla stessa Fatah al Islam, responsabile della rivolta armata al
campo profughi di Nahr el Bared a Tripoli nel Libano settentrionale,  i cui
elementi - per la stragrande maggioranza provenienti dai diversi Stati arabi e
con un passato di guerriglieri sul fronte iracheno - si riveleranno già
incarcerati o ricercati dalle autorità siriane per attività sovversive e
terrorismo internazionale), la Siria ha saputo destreggiarsi abilmente tra le
diverse crisi regionali riprendendo il proprio posto nell'arena diplomatica
internazionale con l'organizzazione del vertice della Lega Araba del marzo 2007
che , se da un lato sancirà il definitivo rilancio delle relazioni diplomatiche
con Arabia Saudita e Egitto (tese dopo l'aggressione al Libano), consentirà a
Damasco di ribadire la sua posizione rispetto ai diversi problemi regionali.

Il governo siriano non ha mai nascosto la sua disponibilità alla ripresa di
un negoziato internazionale con l'entità sionista per il recupero dei territori
siriani delle alture del Golan sottratti da "Israele" durante il conflitto dei
sei giorni del 1967: sono oltre quarant'anni che Damasco rivendica la
sacrosanta paternità su quelle alture strategicamente fondamentali per l'entità
sionista per controllare il potente e più temuto vicino arabo contro il quale
non sono, recentemente, mancate le provocazioni (con il raid aereo del
settembre 2007 contro presunte installazioni di ancor più presunti "materiali
chimici", raid terroristico verso il quale il Governo siriano si è riservato -
anche in sede Onu - di rispondere "al momento opportuno e nei modi opportuni"
considerandolo un "atto di guerra" lanciato da Tel Aviv contro lo spazio aereo
siriano e le sue installazioni militari).

La posizione di Damasco è chiara: nessuna interferenza negli affari interni
iracheni (dal vicino paese mesopotamico sono comunque approdati in Siria oltre
due milioni e mezzo di profughi, tantissimi cristiani in fuga dal conflitto
civile e dalla guerra di liberazione condotta dalla Resistenza contro gli Stati
Uniti ed i loro alleati fin dalla primavera 2003) ma solidarietà al martoriato
popolo iracheno e alla sua resistenza; riapertura di trattative con lo stato
ebraico alla condizione che sia riconosciuto il diritto al ritorno dei
palestinesi nei loro territori e posta al centro dei negoziati la questione del
Golan; collaborazione e mutuo soccorso con Teheran e Ankara per qualsiasi
situazione di crisi nell'area e soluzione diplomatica e ritorno alla normalità
delle relazioni con il vicino Libano dove Damasco ha sempre sostenuto i partiti
nazionalisti dell'Opposizione e il diritto della Resistenza Islamica di
mantenersi in armi ai confini meridionali in funzione di deterrente militare
anti-sionista.

Il sostegno della Siria ha Hizb'Allah e al fronte dell'Opposizione
Nazionalpatriottica libanese è sempre stato palese contrariamente a quanto
affermato dalle agenzie di stampa internazionali e dalle 'veline' fornite dalle
centrali di disinformazione atlantico-sioniste.

Alle accuse di fomentare conflitti civili in Iraq e Libano la Siria ha sempre
opposto la sua volontà di riprendere negoziati aperti con i governi interessati
nel mantenimento di buone relazioni e sulla base di un reciproco rispetto e di
un'attiva collaborazione, atteggiamento finora venuto meno soprattutto
dall'esecutivo libanese appiattitosi sulle posizioni statunitensi con il
premier Fouad Siniora e la coalizione dei partiti di maggioranza fortemente
anti-siriani (anche l'apertura un mese or sono del Tribunale Speciale con sede
a l'Aja - che dovrà giudicare eventuali responsabili dei crimini politici
avvenuti in Libano tra il 2004 e il 2007 - rappresenta un'ennesimo affronto
verso Damasco che comunque si è detta pronta ad una piena collaborazione
qualora cittadini siriani risultassero coinvolti in uno o più dei tanti omicidi
politici che hanno contrassegnato la recente storia libanese).

La svolta nelle relazioni con gli Stati Uniti, dopo anni di gelo e dopo che
in America i beni di numerose personalità della politica siriana e di cittadini
della R.A.S. saranno congelati su indicazione dell'amministrazione Bush, il
ritorno a Damasco di autorevoli delegazioni statunitensi, la visita del
Presidente del Senato USA , signora Nancy Pelosi, un anno e mezzo fa e il
successivo invito alla conferenza internazionale sull'Iraq e ad Annapolis per i
nuovi negoziati sulla Palestina (miseramente naufragati e affossati nel sangue
sparso nella striscia di Gaza nel gennaio scorso dal terrorismo sionista)
dimostreranno una volta di più l'impossibilità di pervenire ad un qualsiasi
accordo e ad una soluzione negoziale dei conflitti regionali senza la presenza
siriana.

La Siria di Bashar el Assad, rieletto a furor di popolo nel referendum della
primavera 2007 con un 97.62% di "si" , si trova in una posizione di forza
rispetto agli anni passati: ottime le sue relazioni con l'Unione Europea, più
che ottime quelle con la Russia di Putin e l'Iran di Ahmadinejad, fondamentale
il suo ruolo all'interno della Lega Araba e degli organismi internazionali
istituiti dall'Onu per la soluzione delle diverse crisi regionali.

E che Damasco intenda giocare un ruolo costruttivo in un processo di
pacificazione regionale sembra chiaro anche dalle recenti iniziative che hanno
coinvolto la Repubblica Araba: dal Libano all'Iraq alla Palestina non esiste
soluzione che non passi dalla strada damascena come sembrano essersi accorti
anche a Washington. Sarà l'atteggiamento statunitense, la nuova politica di
distensione e dialogo annunciata dall'amministrazione Obama (che dovrà dar
prove concrete di questa che, per il momento,  è solamente una dichiarazione di
volontà; purtroppo ancora non sono seguiti i fatti alle frasi più o meno "ad
effetto" che da queste parti non incantano nessuno tantomeno i siriani o i loro
alleati libanesi e iraniani) e lo sviluppo della situazione sul campo - dove
non mancano le provocazioni e le quotidiane minacce da parte della dirigenza
sionista - a dare la risposta ai perchè rimasti tali dell'agenda politica del
Vicino Oriente.

In Libano nonostante l'apertura del Tribunale Speciale e una campagna
elettorale di giorno in giorno sempre più polemica la Siria ha normalizzato la
sua posizione, come richiesto dalla Comunità Internazionale, con l'apertura
della prima sede diplomatica a Beirut. Come si ricorderà Libano e Siria non
avevano mai avuto scambi diplomatici fin dall'indipendenza nazionale libanese
(1944). Il completamente del processo di stabilimento di relazioni diplomatiche
tra i due vicini è stato accolto con soddisfazioni dall'intera comunità
internazionale e come un segnale di rinnovamento e apertura, distensione e
collaborazione, offerto da Damasco al vicino libanese.

Come ha sottolineato il coordinatore speciale dell'Onu per il Libano, Michael
Williams "questo passo contribuirà ulteriormente alla stabilità del paese dei
cedri" concetto ribadito dalle principali cancellerie europee a cominciare
dall'Eliseo, antica potenza mandataria nella zona, sempre attento alla
situazione libanese.

La nomina dell’ambasciatore siriano, che segue quella del rappresentante
libanese a Damasco, avvenuta a inizio anno, ha sottolineato Williams, “è uno
sviluppo davvero benvenuto”, essa “completa il processo di stabilimento di
rapporti diplomatici” tra i due Paesi, che non ne avevano mai avuti nei 60 anni
dalla loro indipendenza. Ciò è stato fin qui dovuto all’affermazione siriana di
“speciali legami” con il Libano, sul quale Damasco ha sempre avanzato mire e
che ha militarmente e politicamente dominato per quasi 30 anni, fino al 2005.
La notizia della nomina dell’ambasciatore siriano ha avuto larga eco non solo
sulla stampa araba: la cinese Xinhua, ad esempio, ricordando la già avvenuta
apertura dell’ambasciata libanese a Damasco nota che “la bandiera libanese
sventola nel vicino Paese dopo decenni di rapporti turbolenti”.
Da parte araba, Gulfnews ricorda che “la Siria si è trovata di fronte a
pressioni internazionali perché stabilisse formali rapporti diplomatici col
Libano” e che lo stabilimento di tali relazioni “è stata la richiesta centrale
avanzata dai partiti antisiriani che hanno vinto le elezioni del 2005”.
Il primo ambasciatore siriano a Beirut, che ieri ha avuto il “gradimento” del
presidente libanese Michel Suleiman, sarà Ali Abdel Karim Ali, 56 anni, dal
2004 rappresentante di Damasco in Kuwait. In precedenza è stato direttore della
radio di Stato, poi della televisione e dell’agenzia ufficiale SANA.
La sua nomina arriva cinque mesi dopo il 15 ottobre del 2008, quando i due
Paese avevano stabilito di avere normali relazioni diplomatiche.
La prima ambasciata libanese a Damasco è stata aperta la settimana scorsa e
ambasciatore è stato nominato Michel Khoury, attuale rappresentante libanese a
Cipro. Diplomatico di carriera, egli è stato ambasciatore in Olanda e, prima
ancora, ha prestato servizio in Gran Bretagna, Brasile e Messico. E’ stato
anche direttore degli Affari amministrativi e finanziari del Ministero degli
esteri.
A conferma di un nuovo stato delle relazioni diplomatiche con l'Unione
Europea giunge la notizia inoltre della prossima visita a Damasco del nostro
ministro degli Esteri , on. Frattini, che - secondo quanto ha affermato la
Farnesina dovrà analizzare e valutare la situazione dei rapporti bilaterali
italiano-siriani, fare il punto sulla situazione libanese all'interno della
quale operano i soldati del contingente Unifil nel sud del paese.
Una visita particolarmente attesa quella del ministro Frattini anche per il
rilancio dei rapporti economici e commerciali tra i due paesi: nonostante la
crisi globale l'interscambio tra Siria e Italia è aumentato e nell'ultimo anno
c'é stata in Siria un'autentica esplosione del turismo di matrice religiosa che
ha contribuito alla crescita del mercato italiano, oggi al primo posto
nell'incoming, con un aumento dell'80%.

Secondo quanto riportata dalla rivista "Globe" la rappresentante del
Ministero del Turismo siriano, dr.ssa Nuhad Makkoul, ha sostenuto che sono
state sviluppate numerose iniziative a livello di interscambi nei settori
archeologico-turistici e turistico-religiosi volti , come ha dichiarato la
stessa , "a far conoscere meglio la destinazione, ricca di siti archeologici e
monumenti cristiani, ai visitatori europei".

Infine sul fronte delle relazioni con il vicino Iraq è di pochi giorni or
sono, del 25 marzo scorso ,la visita a Baghdad del ministro degli Esteri
siriano Waleed Moallem che ha incontrato il premier iracheno Nouri al Maliki
per discutere delle questioni relative alla sicurezza, all'interscambio
commerciale e all'economia dei due paesi. Secondo un responsabile del ministero
degli Esteri iracheno "i colloqui hanno riguardato soprattutto i mezzi per
incrementare le relazioni economiche tra i due paesi soprattutto nei settori
dell'acqua, dell'elettricità e del petrolio" oltre a "discutere del controllo
della loro comune frontiera rafforzando il coordinamento sulla sicurezza e il
pattugliamento della zona" vasta oltre 700 km e spesso al centro delle accuse
lanciate dall'amministrazione statunitense verso Damasco di "finanziare" o
"lasciare libero l'accesso" verso l'Iraq a elementi jihadisti della galassia
terroristica al-qaedista.

Questa visita e queste discussioni sulla sicurezza tra i due paesi cade in un
momento particolarmente delicato per il futuro delle relazioni bilaterali e
soprattutto per quelle che saranno le linee guida della politica estera siriana
verso Washington presente in forze nel vicino Iraq. Come si ricorderà alla fine
di ottobre i soldati americani, provenienti in elicottero dall'Iraq,
effettuarono un raid aereo attaccando un edificio di un villaggio siriano a
otto chilometri dal confine e uccidente otto civili. L'amministrazione Bush ha
sempre smentito il raid e finora nessuno a Washington ha mai riconosciuto
ufficialmente quell'iniziativa militare anche se, sotto la copertura
dell'anonimato, un responsabile americano aveva confermato la notizia
annunciata dalla televisione siriana e dai mass media arabi.

Damasco dichiarò di attendersi spiegazioni sia dall'amministrazione
statunitense che dal governo iracheno inviando una lettera di protesta alle
Nazioni Unite. Oggi con una accelerazione dei rapporti di normalizzazione tra
Siria e Iraq il governo di Damasco spera di ottenere qualche informazione utile
anche su quell'odioso crimine.

Normalizzazione che, come per il Libano, passa anche attraverso il reciproco
riconoscimento diplomatico tra i due paesi. Le relazioni diplomatiche tra Iraq
e Siria come si ricorderà vennero interrotte nel 1980 a seguito della guerra di
aggressione lanciata da Saddam Hussein contro l'Iran. La Siria, tra i pochi
paesi della Lega Araba, accuserà in quell'occasione il "rais" iracheno di
distogliere forze ed energie del fronte arabo dal principale perimetro
geopolitico, bellico e strategico della Nazione Araba - la Palestina occupata
dai sionisti - e di colpire un alleato fondamentale rappresentato all'epoca
dall'Iran rivoluzionario khomeinista.

Hafez el Assad si schierò risolutamente con Teheran mentre il blocco dei
paesi arabi moderati (dall'Egitto alla Giordania alle petrolmonarchie del
Golfo) sosterranno lo sforzo bellico iracheno finanziato e militarmente
sostenuto dall'amministrazione Reagan (con la quale Saddam aprirà ufficialmente
relazioni diplomatiche nel 1985), dai paesi dell'Europa occidentale e da quelli
del blocco sovietico (principali fornitori di armamenti e materiale nucleare
dell'Iraq ba'athista).

Oggi , a distanza di quasi trent'anni da quell'interruzione causata da eventi
bellici di portata storica per tutto il Vicino Oriente, i rapporti diplomatici
siro-iracheni sono ritornati su un binario di normalità con l'invio lo scorso
novembre di un ambasciatore siriano a Baghdad e l'arrivo, lo scorso 4 febbraio,
del suo omologo iracheno a Damasco.

Dalla Palestina occupata (della quale Damasco è la principale sostenitrice e
il primo alleato delle formazioni della Resistenza palestinese che - da Hamas
al FDLP, dal FDPLP al Comando Generale passando per la Jihad Islamica -
ricevano ospitalità e hanno loro uffici in terra siriana) al Libano, dall'Iraq
alla Turchia fino alle relazioni con i paesi della Lega Araba e con la
confinante Turchia; appare evidente, lapalissiano, il peso geopolitico e
strategico della Repubblica Araba Siriana, l'autorità e la determinazione dei
suoi dirigenti e il ruolo di primo piano che verrà svolto dalla Siria nei
futuri assetti regionali.

Damasco rimane inevitabilmente la "porta dell'Oriente".


*Direttore Responsabile Agenzia di Stampa "Islam Italia"

da Nabathiyeh - Libano Meridionale