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Vertice Lega Araba: muore l'unità araba?

di Dagoberto Husayn Bellucci - 01/04/2009

 

Il ventunesimo vertice dei capi di Stato della Lega Araba svoltosi il 30 e 31 marzo scorsi a Doha ha messo sostanzialmente in rilievo le divisioni e l'incapacità dei paesi arabi di trovare punti comuni sulle tante vertenze e crisi regionali in agenda presenti nell'area geopolitica e strategica del Vicino Oriente. In particolare a Doha sono naufragate definitivamente le speranze di trovare punti d'intesa su alcune delle questioni più urgenti che interessavano in particolar modo i paesi del Golfo: l'Arabia Saudita che si presentava con una bozza d'intesa per una riconciliazione regionale ha sostanzialmente visto respinte le sue proposte.

Al vertice dell'organizzazione degli stati arabi , come già successo in altre occasioni, è mancata la volontà di mettere sul tappeto i veri problemi che rappresentano la principale incognita per il futuro dell'intero Vicino Oriente primo fra tutti la divisione storica esistente all'interno dei singoli Stati membri del sodalizio che - arrivato alla sua ventunesima assise internazionale - rappresenta oramai da tempo solamente gli interessi di alcuni governi arabi dominanti la scena in particolar modo quelli collegati direttamente a Riyad che fanno capo al Consiglio Supremo del Golfo ovvero i vari emirati arabi e le piccole petrolmonarchie determinanti l'economia regionale e insensibili dinanzi ai problemi posti anche all'ultimo vertice dai paesi più poveri o attraversati da profonde crisi locali.

Sintomo di questo malessere anche la mancata partecipazione ai lavori d'apertura del presidente egiziano Hosni Mubarak che rappresenta lo stato arabo numericamente più importante e tradizionalmente il principale vettore della politica di cooperazione all'interno della Lega Araba. La presenza di Mubarak ai lavori dell'ultimo vertice e il suo discorso hanno peraltro confermato le divergenze tra Egitto e Qatar e ulteriormente appesantito il clima , già teso, della vigilia caratterizzato da numerose polemiche: dalla presenza del leader sudanese Bashir (contro il quale è stato emesso un mese e mezzo or sono un mandato d'arresto internazionale dal tribunale de L'Aja per i "crimini di guerra" commessi nel Darfur) al contenzioso iracheno (con il consiglio degli Ulema che al vertice di Doha ha accusato l'esecutivo di Baghdad di essere "parte del problema" dell'instabilità nel vicino Iraq che ha fatto registrare negli ultimi due mesi un escalation di attentati senza precedenti nel silenzio più assoluto dei mass media internazionali con almeno 252 nel solo mese di marzo); dal problema palestinese (tragicamente ritornato in primo piano dopo l'aggressione sionista alla striscia di Gaza) alle ennesime polemiche libano-siriane per finire con alcune voci di corridoio secondo le quali il presidente siriano Bashar el Assad sarebbe pronto ad incontrare il presidente americano Obama atteso intanto nella capitale saudita a giorni.

Il vertice che si è chiuso a Doha in queste ore ha mostrato una volta di più l'inutilità di queste assisi inter-arabe, la frammentazione dei paesi membri della Lega Araba, la loro litigiosità che continua a paralizzare l'attività diplomatica di un'organismo che ha perso molte delle sue funzioni e prerogative a sessantaquattro anni dalla sua fondazione (avvenuta a Alessandria d'Egitto nel 1945).

 

In questo contesto appaiono significative le nuove polemiche siro-libanesi che hanno caratterizzato l'intervento del premier di Beirut, Fouad Siniora, e che confermano la linea dura scelta dai rappresentanti del filo-occidentale "14 Marzo" , la maggioranza di governo sotto controllo a stelle e strisce del cosiddetto "fronte di Bristol" dal nome dell'hotel di Beirut dove venne sancito il patto d'azione tra la Corrente Futura di Sa'ad Hariri, la Falange di Amin Gemayel, le Forze Libanesi di Samir Geagea e il PNSP i social-progressisti del druso Waalid Jumblatt.

Mentre da un lato il Presidente della Repubblica libanese, Gen. Michel Souleiman, si esprimeva ai rappresentanti dei paesi arabi sottolineando le "ottime relazioni con la Siria" e la ritrovata "normalità" nei rapporti tra i due vicini, Siniora lanciava nuovi attacchi in direzione del governo di Damasco e del suo leader Assad. Siniora ha affermato che molte questioni devono ancora trovare una soluzione prima di definire i rapporti tra i due Stati confinanti "ottimali". In un intervista rilasciata al quotidiano panarabo "Al Sharq al Awsat" il premier libanese ha sottolineato come vi siano problemi ancora aperti tra i quali la demarcazione delle frontiere comuni: "noi non vogliamo e non dobbiamo essere una spina nel fianco della Siria e vice versa" sostenendo però che "la Siria si deve abituare all'idea che il Libano è un paese indipendente" contestando nettamente quanto affermato ventiquattr'ore prima dal suo Presidente che aveva avuto un incontro definito "cordiale" con il suo collega siriano Bashar el Assad.

Al contrario secondo il Capo dello Stato , che non ha commentato le dichiarazioni del premier libanese, le relazioni con Damasco attraversano un momento "positivo" di reciproca comprensione e fruttuosa collaborazione. Il Presidente ha anche sottolineato l'aiuto dato al Libano dai paesi arabi in questi ultimi mesi per ritrovare la via del dialogo e della riappacificazione nazionale ringraziando in particolare il Qatar , organizzatore del vertice, di aver contribuito al ritorno alla normalità dopo anni di tensioni.

Souleiman a margine del vertice ha incontrato anche i suoi omologhi venezuelano , Hugo Chavez, brasiliano, Ignazio Lula da Silve e paraguayano , Fernando Lugo ospiti a Doha nel quadro del secondo summit internazionale tra i paesi della Lega Araba e quelli del Sud America. Secondo il Presidente libanese "questi incontri tra paesi arabi e sudamericani smentiscono perfettamente tutta la propaganda e gli slogans su "scontri tra civiltà e religioni" e provano che l'umanità intera , soprattutto in tempi di difficoltà economiche globali, si può ritrovare unita su basi di collaborazione e solidarietà per sconfiggere l'oppressione al di là delle differenze di religione, razza o colore. Si tratta del miglior esempio di un incontro tra la civiltà arabo-islamica e la gloriosa civiltà latino-americana , che si inscrive a pieno titolo nella tradizione e nella cultura cristiana, per migliorare le loro relazioni e coordinare un'azione comune" sottolineando l'importanza che riveste un paese come il Libano che "può posizionarsi , attraverso la sua particolarità multietnica e multiconfessionale, come stato arabo e per l'alta percentuale di emigrati libanesi nell'America Latina , come un trait d'union tra le due comunità."

Il Presidente ha inoltre qualificato quest'incontro come "un'occasione importante per lottare uniti in favore dei valori e degli obiettivi comuni , cominciando dalla giustizia politica e sociale, la pace e la partecipazione all'elaborazione di risoluzioni internazionali equilibrate" nelle sedi opportune. "Il Libano - ha concluso il suo intervento il Gen. Souleiman - , la cui essenza è fondata sulla convivialità e l'intesa , ha annunciato in passato dalla tribuna dell'Onu il suo desiderio di essere consacrato come osservatore internazionale del dialogo tra le culture e le religioni" sottolineando che sarà possibile , lavorando nel campo della politica e della cultura, lavorare di comune accordo con i partner sudamericani contro l'occupazione israeliana dei territori arabi , per la causa palestinese e contro la minaccia permanente sionista contro il Libano ribadendo gli sforzi finora compiuti dal paese dei cedri per adempiere alla risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che sancì la tregua tra Hizb'Allah/Libano e israeliani nell'agosto 2006.

 

A margine di un vertice grigio che non ha risolto alcuno dei molti problemi che attraversano la regione vicinorientale il secondo incontro tra stati arabi e sudamericani è risultato, infine, la sola nota positiva sulla strada della reciproca collaborazione, cooperazione e solidarietà tra aree geopolitiche e strategiche vitali nella definizione di un nuovo mondo multipolare che dovrà inevitabilmente sostituire la visione unipolare e unidimensionale che ha caratterizzato dalla fine degli anni ottanta la politica estera aggressiva e terroristica degli Stati Uniti d'America costretti oggi a rivedere profondamente le proprie strategie ed i propri interessi, le loro linee guida dettate fino a pochi mesi or sono dalle teorizzazioni neo-conservatrici sullo "scontro tra le civiltà" e le guerra "preventive" e "assimmetriche" tanto care all'amministrazione Bush.

Come ha sostenuto il presidente venezuelano Hugo Chavez e ribadito anche durante i lavori del vertice con i partner arabi "è arrivato il tempo dei grandi cambiamenti della politica internazionale".

* Direttore Responsabile Agenzia Stampa "Islam Italia"

da Nabathiyeh (Libano Meridionale)